Timeo/Capitolo XLIV

Capitolo XLIV

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Capitolo XLIII Nota del Martin
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XLIV.

Oggimai quasi è compiuta l’opera assegnata a noi da principio, cioè di ragionare dell’universo insino alla umana generazione. Or s’ha a dire brevemente come furono nati gli altri animali, salvo che non sia necessità di allungare: per tale modo noi potremo far ragione di aver serbato in questa sposizione un po’ di misura. Quelli, infra gli uomini, codardi e che passarono loro vita iniquitosamente, nella seconda nascita si trasnaturarono, secondo verisimiglianza, in femmine. E crearono però a quei tempo gl’Iddii l’amore del congiugnimento, facendolo animato e vivo: uno in noi, l’altro nelle fe [p. 125 modifica]mmine, in tale forma. Da poi che la bevanda discendendo per lo polmone sotto alle reni, si accoglie nella vescica, e poi, premuta dall’aria, ne va fuori; quella parte propriamente per la quale ne va fuori per tale modo forarono gl’Iddii, che riescisse il foro nella spessa midolla che scorre dalla testa giù per lo collo e la spina, e alla quale fu posto nome di seme. E da poi che il detto seme è animato e respira, in quella parte proprio, per la quale ei respira, Iddio avendo messo viva brama di espandersi, si ebbe fatto l’amore generativo. E però quello negli uomini, dove è vergogna, è disubbidiente, imperioso, e come animal sordo a ragione con sue furenti libidini ismania di sommettere a sè tutto. E nelle femmine la matrice, così detta, e vulva, essendo per queste ragioni medesime anche ella animal bramoso di aver figliuoli, quando gran pezzo in là dalla stagione si rimane infruttifera, si sopporta molestamente e si corruccia; ed errando per tutto il corpo e le vie dello spirito affogando e non lasciando respirare, gitta in crudelissime angosce, facendo ogni specie di morbi: insino a tanto che il desiderio e l’amore di tutt’e due gli animali lasciando, così come da albero, spuntare un frutto, e cogliendolo poi, e come in un campo seminando nella matrice animaluzzi invisibili dalla picciolezza e informi, e poi affigurandoli e nutricandoli e crescendoli e mettendoli in luce, non compia la generazione di animali.

Le femmine, dunque, e tutto il sesso femmino, così [p. 126 modifica]sono nati. Gli uccelli sono poi nati dagli uomini per trasmutamento, mettendo penne in iscambio di capelli: dagli uomini non malvagi, ma leggieri e di ragionar vaghi delle cose del cielo; immaginandosi, a cagione della semplicità loro, ch’elle mostrar si potessero per lo vedere molto securamente. Le pedestri fiere furon nate di coloro che niente si giovarono della filosofia e niente contemplarono delle cose del cielo, non essendosi approdati de’ giri che sono nel capo e seguito avendo come duci le parti dell’anima che hanno albergo dentro il petto. E per coteste loro basse voglie alla terra traendo per la parentela loro con essa le membra davanti e i capi, ivi li pontarono, slungando e in molte maniere difformando i cocuzzoli, dove si furon propriamente ristretti in ciascun di loro i giri della mente per loro pigrizia. La quatrupede specie e quella dai molti piedi si generò, dunque, per la mentovata ragione; e Iddio sottopose ai più dementi più sostegni, acciocchè eglino fossero tirati più a terra. E quelli di loro dementissimi, gittanti a terra tutto il lor corpo, non avendo pure alcuno bisogno di piedi, sì li ebbero fatti gl’Iddii senza piedi e volventisi e striscianti in terra. La quarta specie, l’acquatica, generossi di quelli in tutto dementissimi e sommamente salvatichissimi, i quali i trasformatori non degnaron nè anche dell’aere puro, come quelli che polluto aveano in ogni peccato l’anima loro; e, anzichè nella fine aria e chiara, la cacciaron giù a respirar la torba e cupa acqua. È nata di loro la generazion de’ pesci e delle [p. 127 modifica]ostriche e di tutti gli animali acquatici, ai quali toccarono in sorte le estreme abitazioni in pena della estrema loro ignoranza. In siffatto modo e allora e presentemente si mutan tutti gli animali gli uni negli altri; e si fa il mutamento secondo ch’eglino perdono o acquistano intendimento o stoltizia.

Diciamo oggimai che finito è il ragionamento nostro su l’universo: imperocchè avendo questo mondo ricevuto mortali animali e immortali, ed essendo compiuto, sì egli divenne visibile animale che accoglie in sè tutt’i visibili animali; sensibile Iddio, immagine dell’intelligibile Iddio; grandissimo e bonissimo; bellissimo e perfettissimo; quest’uno cielo unigenito.