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Erano passate due settimane; la primavera era alquanto inoltrata, e la signora Erminia, cui cominciava a rifiorire nuovamente la salute sulle guance, cominciava a ricevere e ad uscire in carrozza nelle ore più calde del giorno; ella era felicissima, si baloccava da mane a sera col suo bimbo, anzi erano in due a baloccarsi, sebbene Giorgio credesse farlo per compiacenza e ci mettesse una goffa serietà, ed Erminia pretendeva che già il bambino conoscesse il babbo alla voce ed al riso. La mamma Ruscaglia era sempre per casa, contenta come una pasqua del bel maschietto [p. 108 modifica]che veniva in linea più o meno retta da lei, e un mattino entrò con un viso da sorpresa a dire alla figliuola: - Indovina chi è arrivato? tuo cugino Carlo, in permesso per due mesi. Se vedessi che bel giovanotto, e come gli va bene la montura! È stato a Lissa, povero ragazzo, è stato di quelli del Re d’Italia, e fu pescato dopo quattordici ore ch’era in mare! Insomma, cose da far drizzare i capelli sul capo! Sentirai quando ti racconterà; ora viene dalle Indie, dall’America, che so io; insomma ha girato il mondo, e con tutto ciò non m’ha fatto suggezione; m’è parso di vederlo tal quale è partito pel collegio, e l’ho baciato proprio come un ragazzo. M’ha domandato di te, e m’ha detto che verrà oggi stesso.

La Ferlita era uscito, e la signora Erminia era sola, cucendo dei nastrini su di una cuffietta del suo bambino. Ascoltava la mamma con tanto d’occhi aperti, e senza sapere ella stessa il perchè non potè dire una sola parola, si fece bianca, e posò le mani e la cuffietta sulle ginocchia. [p. 109 modifica]La signora Ruscaglia chiacchierava sempre; Erminia pensava vagamente che infine era naturale che Carlo tornasse tosto o tardi, che ella l’aveva sempre preveduto, e che solo il sentirsi annunziare così all’improvviso il suo arrivo le cagionava quella sorpresa. Sua madre dopo aver ciarlato ancora una mezz’ora se ne andò. Erminia rimase un po’ turbata dalla visita che aspettava; avrebbe desiderato quasi che non avvenisse, o che almeno ritardasse di qualche giorno; soffriva in anticipazione l’imbarazzo del primo trovarsi insieme col cugino, e delle prime parole; non sapeva se avrebbe dovuto dargli ancora del tu; avrebbe e non avrebbe voluto che suo marito si fosse trovato presente a quell’incontro. Finalmente si udì la famosa scampanellata ed il famoso passo. Carlo era un bel giovinotto, assai bruno, anche per un siciliano, ma di fisionomia simpatica ed aperta; ei le si avvicinò così rapidamente, le prese le due mani e le scosse a più riprese con tanta cordialità, con tanta franchezza, che l’imbarazzo della cugina non ebbe tempo di [p. 110 modifica]manifestarsi, e svanì istantaneamente. Carlo sedette accanto a lei su di una sedia bassa, abbordò da buon marino la spinosa difficoltà del tu, e si misero a discorrere come se la loro conversazione fosse stata interrotta soltanto dal giorno innanzi. Ella respirava liberamente e gli sorrideva quasi per ringraziarlo del gran peso che le toglieva dal petto. — Sai, le diceva il cugino; mi facevi un po’ suggezione prima di rivederti; adesso sei una matrona, hai dei figli! È bello il tuo bambino? Se non fosse stata la zia avrei rimandato la mia visita a domani, come un poltrone che piglia tempo. Appena t’ho vista m’è sembrato che ti avessi lasciata ieri, in quella piccola anticamera gialla, ti rammenti? e ti ho dato subito del tu come allora, perchè ti ho trovata sempre la stessa... cioè no, adesso ti sei fatta più bella. E il tuo bambino, me lo fai vedere?

— Sì, anzi, desinerai con noi; ti presenterò a mio marito.

— Lasciamolo là il marito, è sempre una bestia antipatica. Ti pare che potrei darti del tu se egli [p. 111 modifica]fosse presente? e che saresti per me la stessa cuginetta d’allora? Quel signore che non mi conosce mi farebbe gli occhiacci, e francamente io lo troverei brutto perchè mi ha rubato la mia Erminia; chè noi dovevamo essere marito e moglie, non è vero? Già dico così per ridere; eravamo proprio ragazzi! E abbiamo fatto benissimo a fare quel che abbiamo fatto tutt’e due; è passato tanto tempo! Tu eri una ricca signorina, ed io non aveva in prospettiva che i galloni di tenente, magri galloni, cugina mia! e nella mia carriera bisogna scacciare come il diavolo la tentazione del matrimonio. Se sapessi che bella e avventurosa vita, cara Erminia! e su quanti luoghi del mondo tuo cugino si è rammentato di te! Ti racconterò poi tutto quel che ho visto, qualche giorno... ne ho visto delle belle e delle brutte; ma sai, quando si hanno i primi galloni alle maniche anche le cose brutte sembrano belle. Li racconterò a te e a tuo marito, giacchè infine mi presenterai a tuo marito; sarebbe strano che non mi presentassi a tuo marito. E tu come stai? sei contenta? sei felice? [p. 112 modifica]Adesso, vedi, non posso adattarmi a chiamarti con quell’altro nome... madama La Ferlita... No!

— Ora ti farò vedere il mio Giannino, disse Erminia suonando il campanello.

— C’è tempo, perchè starò qui due mesi, e verrò a trovarti tutti i giorni. Me lo permetti?

— Anzi! - La balia entrava col bambino - Che te ne sembra? Non è bello come un amore? domandò Erminia appena la nutrice fu uscita.

— Somiglia a suo padre.

— Ma se non lo conosci!

— Allora non somiglia nè a te nè a lui.

— Il poverino non sta bene da due giorni! è un po’ pallido, non ti sembra?

— Come vuoi che sia bello o no a quell’età? Tuo marito è un bell’uomo?

— Lo vedrai.

— Gli vuoi bene? - Già, guarda che sciocco! come si fanno queste domande? È geloso?

— Niente affatto.

— Manco male. Ma sai che col tuo bamboccio in grembo mi fai un effetto singolare! [p. 113 modifica]— Signor tenente, lei è pregato di non chiamare bamboccio il mio Giannino.

— Scusami! Cosa vuoi? non so abituarmi all’idea di vederti madama La Ferlita. Se tu avessi avuto quindici o venti anni di meno, o se io fossi stato contrammiraglio!... Ti rammenti di quel tavolinetto presso il quale tu solevi ricamare? Infine quel che è stato è stato, e non gliene voglio a cotesto signor La Ferlita, a patto che ti renda felice. Non ti dirò che quando la zia mi ha scritto del tuo matrimonio, non m’abbia sentito qualcosa qui. Già, sai come siamo noi altri giovanotti della marina! un po’ del collegio c’è sempre a bordo, e i lunghi quarti passati a guardare le stelle danno delle grandi malinconie. Non ti dico che tutti gli ufficiali si somiglino... quelli di cavalleria per esempio! altro che fanciulli! Se tu li avessi sentiti al caffè d’Europa o alla Concordia! Se io fossi in cavalleria forse l’avrei presa per un altro verso, e adesso invece di avermela con tuo marito cercherei di farti la corte.

— Carlo!... [p. 114 modifica]— O perchè diventi rossa? Vedi che non te la faccio la corte, e che preferisco essere il tuo buon cugino di una volta, meno i castelli in aria. E poi, starò qui così poco che non abbiamo il tempo d’andare in collera. - Erminia gli stese la mano con un sorriso, mormorando fra le labbra - Matto! - ma il rossore tardò alquanto a dileguarsi dalle sue guance.

In questo momento entrò un signore biondo, senza farsi annunziare. - Mio cugino Carlo, disse Erminia. - Mio marito.

Giorgio accolse il cugino a braccia aperte e lo invitò a desinare. Carlo si scusò col pretesto di un pranzo di amici. Parlarono di viaggi e di cose diverse, e quindi La Ferlita li lasciò soli.

— Tuo marito non mi piace, disse il cugino accomiatandosi.

— Cosa gli trovi?

— Nulla, è un bellissimo giovine, ma non mi piace.

— Insomma a te non piace nè mio marito nè il mio Giannino. Cosa ti piace dunque? [p. 115 modifica]— Ma chi ti ha detto che non mi piaccia il tuo Giannino? e anche tuo marito... Anzi, se non fosse tuo marito mi sarebbe simpatico. Vuoi che te la dica? mentre egli era qui sembrava che tu fossi a cento miglia... Non ti sei accorta che bordeggiavamo sempre per non approdare al tu... Mi secca, ecco!

Rimasta sola l’Erminia stette alquanto pensierosa, col bimbo sulle ginocchia. Da lì a poco Giannino si mise a sgambettare e ad agitare le piccole braccia. Ella si scosse come se il suo pensiero partito dall’anticameretta gialla che il cugino aveale rammentato ritornasse ad un tratto da un lungo viaggio fatto nelle lontane regioni di cui Carlo avea parlato con suo marito, e tutta rossa in viso si chinò sul suo bambino, a ridere ed a giuocare con lui.


Il cugino venne tutti i giorni come avea promesso; ma ora la sua venuta non produceva più sull’Erminia l’imbarazzo della prima volta, e non [p. 116 modifica]le lasciava quell’inesplicabile turbamento che le avea lasciato la prima visita. Adesso si davano del tu anche in presenza di Giorgio. Avevano rivisto insieme quell’anticameretta gialla, che non sembrava più quella neppur essa dopo tanto tempo; Carlo aveva finito per trovare bellino il bamboccio di prima, e veniva sempre con le tasche piene di confetti e di giocattoli che avrebbero potuto servire al più presto fra due o tre anni. La zia Ruscaglia era sempre in giro col suo nipote ufficiale, di cui era superba, e raccontava a tutti la storia delle quattordici ore passate in mare, e dei viaggi che non finivano più. Quindi per un motivo o per l’altro i due cugini si vedevano tutti i giorni - ne avevano così poco da stare insieme! Però con tacito accordo non avevano più tornato sul «ti rammenti,» dopo che una volta Erminia, seria seria e chinando gli occhi, avea risposto a lui che le parlava d’un certo volume del Prati: — Non mi rammento più. Adesso ho da pensare a mio figlio, e non leggo che di rado.

Carlo era proprio un buon ragazzo e avea tutte [p. 117 modifica]le giovanili delicatezze dell’alunno del collegio di marina, come avea detto. Ei le strinse la mano, un po’ rosso in viso, e da quel giorno non le disse altro. Ma la cugina in fondo gli volea sempre bene, gliene fu grata dall’interno del cuore, e glielo dimostrò tornando ad essere con lui affettuosa e gentile.

Ma quello che proprio non andava giù a Carlo era il cugino. - Cosa diavolo ha tuo marito? domandava ad Erminia. - Sembra che abbia perso la bussola!