VIII

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VII IX


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VIII.



Era passato del tempo! Babbo la Ferlita era morto; Giorgio avea preso moglie; noi eravamo invitati per un’altra festa di famiglia, la nascita del suo primogenito.

C’erano i medesimi invitati, le medesime signore con degli altri vestiti, i medesimi signori con le stesse cravatte bianche, la stessa suocera, che andava e veniva nella camera della sposa collo stesso fazzoletto ricamato e più giallo che mai, la medesima sposina bella come allora, sorridente come allora, ma in un’altra maniera, un po’ pallida ancora, seduta nella sua gran poltrona, [p. 91 modifica]e infine quel medesimo sposo, bel giovane sempre ed elegante, in giubba e cravatta bianca, ma che avea un’aria singolare con quel fagotto di batista e di trine che portava attorno fra le braccia, trionfante senza accorgersene ma di buona fede, facendo ammirare a coloro che lo volevano e a coloro che ne avrebbero anche fatto a meno una cosina informe che si moveva con contorcimenti bruschi, impacciati, che faceva delle smorfie, e di quando in quando metteva una specie di belato.

— To’! par vero? Eppure è proprio La Ferlita col suo marmocchio in braccio! borbottò Crespi, scapolo impenitente, mentre che Giorgio ci passava vicino.

— Lascia vedere! ha diggià i capelli! esclamò un invitato ufficioso per soffocare l’osservazione del Crespi.

— Sì, rispose Giorgio sorridendo, è biondo.

— Tutti i bambini sono biondi, disse Vernetti.

— Come te, tutto te, la fronte, il naso... guarda se non è il naso di Giorgio, eh? [p. 92 modifica]— Ma di naso sembra invece che non ne abbia punto.

— Strano! come siam fatti... quando veniamo al mondo!

— Caro Crespi, disse alfine La Ferlita; quando avrai dei figliuoli sarai anche tu come me, te lo dico io, e sarai scioccamente giulivo di sentirti sgambettare fra le braccia il tuo piccolo bamboccio.

— Eh!... lo credo, rispose Crespi colle mani in tasca - quando li avrò.


Nell’altra camera le intime amiche e le matrone facevano corona alla moglie di Giorgio, colmandola di carezze, di suggerimenti e di consigli; il bambino passava di mano in mano come un balocco. Giorgio quando la moglie era sola le si avvicinava, si chinava sul bambino che ella tenevasi in grembo, le sorrideva e le diceva qualche parola sottovoce. Attraverso le tende dell’uscio quella grande poltrona foderata di guanciali, [p. 93 modifica]in quella gran camera debolmente illuminata, quella donna vestita di bianco, col viso abbattuto e giulivo, e quei baffi biondi messi lì vicino, con quel vagito sottile che si udiva, e quella mano candida come cera che si posava su quella giubba nera, visti da quella sala riboccante di luce e affollata di signore eleganti, coperte di trine, scintillanti di gemme e colle spalle nude, e di giubbe nere che ronzavano e s’aggruppavano come mosconi in un meriggio d’estate «facevano un effetto singolare», diceva Crespi. — In parola d’onore, quando avrò moglie e figliuoli, come dice Giorgio, voglio mettere tanto di catenaccio alla porta di casa! borbottò cavando finalmente le mani di tasca.

Gli uomini, almeno quelli che non avevano a chi fare la corte, a poco a poco s’erano ridotti nel gabinetto di Giorgio, a fumare e a ciarlare di donne e di politica. Falchi aveva comperato una bellissima pariglia e ve la fece entrare a rimorchio delle voci di guerra, delle rimonte della cavalleria, e delle spese enormi che sostiene lo [p. 94 modifica]Stato pei depositi di stalloni. Bassano avea fatto un’eccellente speculazione sulla rendita lo stesso giorno, e tirò in campo il listino della Borsa a proposito di quanto costano le donne. Giorgio andava e veniva. — La Ferlita ci parlerà di balie, disse Crespi all’orecchio del suo vicino. Ne ho abbastanza, caro mio; preferisco andar a discorrere di mode con quelle signore.

Quei giovinotti azzimati e in cravatta bianca, sdraiati sui canapè e sulle poltrone col sigaro in bocca, avevano finito col parlar tutti di donne, senza molti riguardi, come se di là non ci fossero ancora delle signore cui avean rivolto cinque minuti prima delle cose profumate e vaporose, arrotondando le frasi e l’atteggiamento. Ciascuno diceva la sua, spesso tutti in una volta, spifferandone di tutti i colori colla maggior disinvoltura. Se quelle dame si fossero data la pena di origliare dietro l’uscio, ne avrebbero sentite delle belline. — La donna è il più bell’animale della creazione, ma ha degli istinti troppo complicati. — Crespi perde il suo tempo colla baronessa, senza accorgersi [p. 95 modifica]che Giulio è arrivato col primo treno. — Sentite, mio caro, io sto per l’emancipazione della donna; allora verrà la nostra volta di essere corteggiati, e di permetterci dei capricci, e dei nervi. — Sai di Alfonso? Alfonso il bello? è proprio una disgrazia! Sembra che il suo cameriere non sia più un ladro, e che la padrona ne sapesse già qualche cosa anche prima che i questurini gli abbiano messo le unghie addosso; insomma, il fatto è che Alfonso in persona ha dovuto sbracciarsi per farlo mettere in libertà, per timore di peggio. — Crespi è un imbecille con tutto il suo spirito, la baronessa lo mena pel naso e gli fa toccare con mano che Giulio e i suoi tre predecessori non sono mai stati altro che degli amici. — Quel povero barone ne vede di tutti i colori! — O piuttosto non vede nulla di nulla. — I Turchi sono la gente più spiritosa del mondo. — Hai visto la marchesa stassera? che spalle! — E quanta polvere di riso! — E la Stael da strapazzo, con quei ricciolini e quell’aria ispirata che la fa sembrare colpita da cataratta: — Non ho voluto [p. 96 modifica]più saperne di Ersilia; mi annoiava, caro mio, era sempre la stessa cosa! — Caro Bassano, la donna è un oggetto di lusso, quando potrò permettermi sei cavalli in scuderia invece di due, allora mi regalerò un’amante. — Amici miei, voi dite delle bellissime cose, ma io ho amato due volte, e ne ho abbastanza, la prima era una civetta che mi faceva stracciare un paio di guanti tutti i giorni; la seconda una sentimentale gelosa del zeffiro e del fumo del mio sigaro, cui bisognava dare delle spiegazioni pel mazzolino che mi regalava la fioraia, e che mi versava periodicamente delle lagrime sulla cravatta; in fede mia preferisco il celibato dell’anima, a meno che non trovi una Venere bestia come un’oca. — E La Ferlita! Chi avrebbe potuto prevederlo? — Io lo avevo previsto, chè lo vedevo a Firenze spendere a rotta di collo. — Ecco quel che si chiama fare una fine! — È una vera fine, con tanto di croce. — Ma, amici miei, interruppe De Natale, ch’era tagliato un po’ alla carlona, voi altri parlate come se non aveste nè madri, nè [p. 97 modifica]spose, nè sorelle. — Oh! quanto alle spose... se ci fosse al mondo un’altra poveretta buona e dolce come la mia, consiglierei a tutti i miei amici di sposarla. — Caro De Natale, una sorella non è una donna, ecco perchè accanto alla mia, francamente e modestia a parte, mi trovo un poco di buono. — So anch’io che esistono delle donne perfettamente degne di essere amate, e perfettamente rispettabili; ma lo so per caso! disse Falchi. - Or bene, giacchè per caso avete sotto gli occhi tante eccezioni quanti siete voi altri, incluso lo scettico Crespi che perde il suo scetticismo dietro la baronessa, perchè vorreste negare che La Ferlita possa essere felice anche colla catena del matrimonio al collo? — Chi dice di no? Dammi un altro sigaro. — È quistione di gusti. — Hai detto catena! — Io domando di essere felice più tardi che si può. — Sì, quando tua moglie non sarà bella che per farti geloso, a torto o a ragione, e quando i figli non ti verranno che per darti le ansie e le paure di lasciarli orfani troppo giovani. È un egoismo sbagliato, caro [p. 98 modifica]Falco, e lo pagheresti troppo caro. — Insomma, De Natale, anche tu sei un marito convinto e contento: contento tu, contenti tutti. Non è vero, signori? — Eh, eh! — Però bisogna domandarne anche a Giorgio in confidenza, e dandogli promessa che sua moglie non ne saprà nulla. — Amici miei, sono un egoista anch’io come Giorgio. Anzi, la nostra felicità non ci costa nulla, è facile, semplice e tranquilla. Quando vi sarete rotte le gambe a correre dietro la vostra felicità, ciascuno alla sua maniera, mi darete ragione. Sai perchè non mi dà soggezione la tua aria sardonica, Falchi mio? nè me ne dà il modo in cui Bassano mi buffa il fumo sul viso? Perchè so che in questo momento in cui mi state ad ascoltare col sigaro in bocca e colle mani nelle tasche, sprofondandovi nelle poltrone e sorridendo sotto i baffi, tu pensi a quel che ti costa la tua Giuditta, tu che la tua baronessa si fa corteggiare da un altro, e tu che la tua relazione con quella signora che tu sai comincia ad annoiarti, e che ha durato troppo. — Tutte coteste saranno ottime ragioni per te [p. 99 modifica]che non ti sei rotte mai le gambe, De Natale mio, ma Giorgio se le ha altro che rotte, lo so io che l’ho trovato a Firenze in tale stato da sembrarmi più adatto per San Bonifazio che pel ministero di Palazzo Vecchio! — Di’, Bassano, hai conosciuto quella russa che gli ha fatto girare la testa come un molinello. — No, quella lì era invisibile; si diceva che fosse così malandata da essere costretta a tenere anche Giorgio al regime omeopatico. — Si diceva anche ch’era una bella donna! - Chi dice sì e chi dice no... Ma infine, sapete, una donna che vi cura colla omeopatia? — E Giorgio l’ha piantata? — No, è stata lei che l’ha piantato. Il danno, le beffe, e l’uscio addosso! — Giorgio s’è dato pace però. — Ed ella è andata a morire in un angolo di qualche albergo, come tutte coteste gran signore tisiche. — A proposito di tisiche e di gran signore, ne ho conosciuta una all’Albergo dei Bagni di Acireale, e sarebbe una bizzarra combinazione che fosse l’amante di La Ferlita, tanto più che è proprio russa! aggiunse Bassano. — [p. 100 modifica]Bella? — Tisica, mio caro, ossa e pelle, e dagli occhi grigi grandi così. — La conosco, disse il dottor Rendona, è sotto la mia cura. — Come si chiama? — Chi lo sa? Si fa passare per signora Conti, ma pronunzia questo nome come se fosse turco. — Anche quella di La Ferlita nascondeva il suo vero nome sotto uno pseudonimo. — Credo dev’essere stata infatti una bella donna; ha ancora dei begli occhi. — E nessuna speranza? — Quel che si dice nessuna; siamo al terzo grado, anzi alla fine del terzo grado; del polmone sinistro non gliene rimane quanto il pugno d’un ragazzo, il destro è andato del tutto. Quando faccio la mia ascoltazione medica le bollicelle scoppiettano come un fuoco d’artifizio. Tutta la mia scienza non potrà giovare che a vincere la morte per due settimane o tre. Non capisco perchè i medici di laggiù mandino qui i loro malati quando sono a questo estremo. Figuratevi un viaggio così lungo fatto in quello stato! È vero che non ripartirà più.

Giorgio che era entrato da qualche momento [p. 101 modifica]ascoltava Rendona colle spalle appoggiate allo stipite dell’uscio, e senza dire una parola. Quando il dottore ebbe finito la sua narrazione fatta con l’indifferenza di un uomo abituato a parlare di queste cose, ma che nondimeno avea gettato come un’ombra nella gaiezza un po’ turbolenta della comitiva, successe un istante di silenzio. La Ferlita si passò a più riprese la mano sulla fronte, e cercò di ravvivare la conversazione egli stesso. Parecchi cominciarono a cavare gli orologi e ad andarsene. Mentre il padrone di casa distribuiva strette di mano a dritta ed a sinistra, disse al dottore: - Fermati ancora, Rendona, sembrami che Erminia abbia un po’ di febbre. - Crespi, ch’era rimasto l’ultimo, uscì sogghignando. Mentre Giorgio mi stringeva la mano mi fermò un istante, fissandomi in viso quasi volesse dirmi qualche cosa, ma non aprì bocca, poi mi serrò la mano due o tre volte con forza, dicendomi: — A rivederci, e presto, non è vero?

Rendona mi raggiunse sulle scale, poichè solevamo fare la strada insieme. — Ha un po’ di [p. 102 modifica]febbre, è vero, mi disse, è ancora debole, e tutta questa gente e tutte quelle signore le hanno intronato la testa. Ma che diavolo ha suo marito? Mi ha fatto cento domande sulla mia ammalata di Acireale. Che il diavolo ci abbia messo proprio la coda? Ad ogni modo non ce la metterà per molto tempo.