Teoria della relatività/La relatività particolare/La spiegazione di Lorenz/Critica
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b) Critica
Nonostante l’ammirazione che ispirano l’audacia e la logica della concezione di Lorentz, non ci si può sottrarre, nello studiarla, da una certa perplessità che un piú preciso esame non fa che aumentare. L’ipotesi, a prima vista, assai strana di un cambiamento di volume per il solo effetto del movimento, non può essere che una difesa contro il brutale disaccordo che noi abbiamo esposto. È spiacevole che una teoria fisica di tale importanza non permetta, per la sua natura tutti i tentativi di verifica o di confutazione, perché questi sono resi impossibili dalla contrazione simultanea del regolo di raffronto. Ciò ricorda, se ci si permette un paragone non gradevole ma chiaro, il famoso bambino prodigio che ad un anno leggeva alla perfezione; disgraziatamente egli non sapeva né pronunciare né scrivere nemmeno una parola, cosí che i presenti, stupiti, non avevano alcun mezzo per constatare le sue capacità: non vi è dubbio che alla loro piacevole ammirazione fosse unita una certa pena.
Ma ecco il punto piú spinoso della teoria del Lorentz. Supponiamo che un fisico osservi il treno che passa davanti a lui, ch’egli metta in evidenza il suo accorciamento e sia lieto ch’esso non subisca questa contrazione. Poi, non contentandosi piú della fisica, si lancia nell’astronomia, studia il sistema di Copernico, constata forse che il movimento della terra (o meglio la resultante dei due movimenti della terra) e quello del treno si neutralizzano. Il treno che gli sembrava in movimento è dunque fermo, ed è egli stesso che si muove; è quindi il treno che conserva la sua lunghezza naturale, mentre invece la terra intera e lui stesso si contraggono. Se il nostro amico continua i suoi studi astronomici, forse un giorno si accorgerà del movimento del sole e di tutto il suo séguito di pianeti attraverso lo spazio sidereo; la questione si presenterà ancora in una maniera differente: forse, si risolverà in senso inverso. Benché le nostre attuali cognizioni astronomiche si fermino a questo punto, nessuno ci può impedire di spingerci piú oltre e di concepire dei sistemi sempre piú vasti.
Il nostro proprio stato di contrazione dipenderebbe dunque dalla soluzione dei problemi relativi a degli oggetti estremamente lontani, insolubili con i metodi fisici. A ciò Lorentz poteva ribattere che i cambiamenti ora accennati hanno realmente un significato fìsico, sono cioè cambiamenti dello stato di movimento del sistema considerato in rapporto all’etere. Questo etere, è per dirla col Lorentz, l’armatura di tutto l’universo. Ma non si conosce nemmeno una proprietà di questo etere, se ne ignorano i suoi limiti cosmici, la sua stessa esistenza quando è dimostrata da un’esperienza, questa è contestata: se quella del Michelson almeno avesse avuto un risultato positivo, si sarebbe potuto vedere in essa una specie di prova di questa esistenza.
Piú uno vi riflette, piú si persuade che in ogni dove noi non vediamo se non dei movimenti relativi, solo i nostri dati, di cui abbiamo immediata conoscenza possono unicamente essere da noi seguiti sperimentalmente, e sono questi dati reali che la scienza nel suo cammino empirico deve prendere come elementi di questa teoria.
Era dunque naturale che la teoria del Lorentz perdesse rapidamente terreno, quando A. Einstein, con la sua spiegazione geniale, permise di nuovo una concezione puramente relativista, della quale non si sperava ormai piú la possibilità.