XIII

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XII XIV
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XIII.

Era la sera d’una domenica. Fulvia non doveva cantare, ed era rimasta in casa. Giorgio, un altro amico ed io passavamo la sera con lei. La via Manzoni brulicava di folla elegante. «Usciamo sul terrazzo a vedere le signore che tornano dal Corso» disse Fulvia. Ed uscì. Io me le posi a destra, l’altro signore a sinistra. Il resto del terrazzo era ingombro di fiori. Giorgio rimase dietro a lei. [p. 44 modifica]

Egli era sempre melanconico anche quando scherzava, e scherzava molto per nascondere la sua pena. Si dissero amenità, si fece sfoggio di spirito a spese dei signori e delle dame eleganti che passavano nella via, si rise molto. Ed intanto si fece buio buio e la folla s’andò diradando. E colla folla e colla luce scomparve la vivacità del nostro spirito. La mia voce aveva ripresa quella nota profonda che aveva avuta già l’ultima volta che m’ero trovato solo con Fulvia; ed ella pure parlava con quell’altra nota di petto che, fin da quel giorno, aveva fatto riscontro alla mia.

Per appoggiarsi al terrazzo ella aveva conserte le braccia, e la sua mano sinistra rimaneva pendente sotto il gomito destro, e la destra sotto il sinistro. Io aveva preso la stessa posizione, sicchè la mia mano destra e la sua sinistra erano vicine, e la mia carezzava senza posa la sua, che non si ritirava punto, e riceveva passiva le mie carezze.

Ad un tratto, dopo averlo lasciato sino allora in piedi dietro a noi, Fulvia fu presa da un’improvvisa pietà per Giorgio.

— Ed il povero Albani, esclamò, che se ne sta dietro tutto solo! Facciamogli un po’ di posto. E così dicendo si strinse, non presso il suo vicino a sinistra, ma presso me, e, certo per fare che le braccia occupassero meno spazio, passò il suo nel mio e mi si serrò daccanto. [p. 45 modifica]

In quel momento il mio cuore prese a battere con tal violenza, che me ne echeggiavano i sussulti alla gola ed alle tempia. Premevo il braccio di Fulvia con sì vivo trasporto, che certo ella dovette sentire i miei palpiti. E la mia mano continuava a premere la sua.

Oh! tutta la mia vita per un’ora come quella! Le nostre persone aderivano, e le mani erano congiunte, e la mia testa sovrastava alla sua, ed il mio alito cadeva sui suoi capelli. Ella non mi guardava ed io non guardavo lei. Tutti e due avevamo gli occhi intenti giù nella via, dove non vedevamo nulla. Dicevamo cose insensate cogli altri amici, e si faceva un gran ridere.

Ma Fulvia ed io ridevamo non di allegria, di gioia; perchè omai una fase nuova era cominciata per noi; perchè sentivamo d’amarci e d’esserci rivelato a vicenda il nostro amore. Le nostre mani si stringevano con passione, si isolavano dalla conversazione, parlavano tra loro, si davano del tu. Quella di Fulvia diceva:

— Non più misteri fra noi, nè peritanze; io so che mi ami, e ti amo.

E la mia rispondeva:

— Sì, cara; ti amo con tutta l’anima, e sono felice.

Ed oasi inebrianti mi balenavano allo sguardo, [p. 46 modifica]e mi pareva ad ogni istante che gli altri due dovessero scomparire, e noi rimanere soli; soli in faccia l’uno all’altra; e guardarci finalmente, e cercarci negli occhi e sulle labbra tutto quanto ci eravamo detti colle strette delle nostre mani, e dirci: È vero.

Poi m’indispettivo che i miei amici si frapponessero tra me e lei; tra noi ed il nostro amore. Eravamo sempre appoggiati al balcone. Un momento pensai:

— Se l’inferriata del balcone cadesse, e li trascinasse con sè!

E, traendo meco la giovane che mi dava il braccio, mi rizzai per lasciarli cader soli. Oh, l’egoismo dell’amore!

Ma il terrazzo non cadde, nè i miei buoni amici con esso. Il tempo passava, ed io non pensava punto punto a spiccarmi di là. Ivi era la felicità; non avrei osato fare un movimento per timore di metterla in fuga. Fulvia mi strinse la mano ancora una volta, poi sciolse il suo braccio dal mio, e rientrò nella camera; i miei amici la seguirono.

Io rimasi immobile; e mi parve ch’ella fosse già troppo fredda, per aver saputo strapparsi spontaneamente a quella suprema gioia.

Un momento prima sentiva che quella donna mi amava; l’avrei giurato pel cielo e per la terra. Ed ora, [p. 47 modifica]a due passi di distanza, rinascevano tutte le mie dubbiezze. E pensavo:

— Forse quello ch’io credetti lo slancio irresistibile della passione, non fu che un atto di civetteria. Forse l’avrebbe fatto con un altro come lo fece con me. Infine una stretta di mano non può avere che un valore relativo. Ogni giorno ella stringe la mano a tutti i suoi conoscenti... Fui uno sciocco a lusingarmi per una stretta di mano...

Oh! una stretta di mano! Furono molte strette, e furtive! È ben altra cosa. No; senza un grande e prepotente amore, una donna non può far violenza al proprio ritegno fino a stringere furtivamente la mano d’un giovane, che non sa ancora se l’ami. È bensì vero ch’ella doveva saperlo. E tuttavia ecco che se ne va via con indifferenza, e parla e scherza con Giorgio; forse in questo momento stringe la mano a lui come l’ha stretta a me... Oh, le artiste! Chi può mai dire se un’artista è una donna come un’altra? Chi sa? Forse è un’avventuriera; forse ha già avuto dieci amanti... Ed io me ne stavo innamorando! Eh via! Fu un’aberrazione, uno scherzo; ne riderò per un pezzo. E rientrai perchè la commozione mi serrava la gola; se fossi rimasto solo avrei pianto.