Te il mercadante che con ciglio asciutto
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Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama
Dura avarizia nel remoto flutto,
4Musa, non ama.
Nè quei cui l’alma ambizïosa lode
Fulgida cura onde salir più agogna,
E la molto fra il dì temuta frode
8Torbido sogna.
Nè giovane che pari a tauro irrompa
Ove alla cieca più Venere piace:
Nè donna che d’amanti osi gran pompa
12Spiegar procace.
Sai tu, vergine dea, chi la parola
Modulata da te gusta od imita,
Onde ingenuo piacer sgorga, e consola
16L’umana vita?
Colui cui diede il ciel placido senso
E puri affetti e semplice costume;
Che di sè pago e dell’avito censo,
20Più non presume;
Che spesso al faticoso ozio de’ grandi
E all’urbano clamor s’invola, e vive
Ove spande natura influssi blandi
24O in colli o in rive;
E in stuol d’amici numerato e casto,
Tra parco e delicato al desco asside,
E la splendida turba e il vano fasto
28Lieto deride;
Che ai buoni, ovunque sia, dona favore;
E cerca il vero, e il bello ama innocente;
E passa l’età sua tranquilla, il core
32Sano e la mente.
Dunque perchè quella sì grata un giorno
Del giovin cui diè nome il dio di Delo
Cetra si tace, e le fa lenta intorno
36Polvere velo?
Ben mi sovvien quando, modesto il ciglio,
Ei, già scendendo a me, giudice fea
Me de’ suoi carmi, e a me chiedea consiglio,
40E lode avea.
Ma or non più. Chi sa? Simile a rosa
Tutta fresca e vermiglia al sol che nasce,
Tutto forse di lui l’eletta sposa
44L’animo pasce,
E di bellezza, di virtù, di raro
Amor, di grazie, di pudor natio
L’occupa sì, ch’ei cede ogni già caro
48Studio all’obblio.
Musa, mentr’ella il vago crine annoda,
A lei t’appressa, e con vezzoso dito
A lei premi l’orecchio, e dille, e t’oda
52Anco il marito:
‘ Giovinetta crudel, perchè mi togli
Tutto il mio D’Adda, e di mie cure il pregio,
E la speme concetta e i dolci orgogli
56D’alunno egregio?
Costui di me, de’ genj miei si accese
Pria che di te. Codeste forme infanti
Erano ancor quando vaghezza il prese
60De’ nostri canti.
Ei t’era ignoto ancor quando a me piacque.
Io di mia man, per l’ombra e per la lieve
Aura de’ lauri, l’avviai ver l’acque
64Che al par di neve
Bianche le spume, scaturir dall’alto
Fece Aganippe il bel destrier che ha l’ale:
Onde chi beve io tra i celesti esalto
68E fo immortale.
Io con le nostre il volsi arti divine
Al decente, al gentile, al raro, al bello:
Fin che tu stessa gli apparisti al fine
72Caro modello,
E, se nobil per lui fiamma fu desta
Nel tuo petto non conscio, e s’ei nodria
Nobil fiamma per te, sol opra è questa
76Del cielo e mia.
Ecco già l’ale il nono mese or scioglie
Da che sua fosti, e già, deh, ti sia salvo!
Te chiaramente infra le madri accoglie
80II giovin alvo.
Lascia che a me solo un momento ei torni;
E novo entro al tuo cor sorgere affetto,
E novo sentirai dai versi adorni
84Piover diletto.
Però ch’io stessa, il gomito posando
Di tua seggiola al dorso, a lui col suono
Della soave andrò tibia spirando
88Facile tono;
Onde rapito ei canterà che sposo
Già felice il rendesti, e amante amato;
E tosto il renderai dal grembo ascoso
92Padre beato.
Scenderà intanto dall’eterea mole
Giuno che i preghi delle incinte ascolta:
E vergin io della Memoria prole,
96Nel velo avvolta,
Uscirò co’ bei carmi, e andrò gentile
Dono a fame al Parini, Italo cigno
Che, ai buoni amico, alto disdegna il vile
100Volgo maligno.’