Supplemento alla Storia d'Italia/Notizie per la vita di Carlo Botta

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NOTIZIE

PER LA VITA

DI CARLO BOTTA





Quantunque avvenga sovente che la posterità non confermi i giudizj de’ contemporanei, sembra potersi senza tema assicurare che Carlo Botta verrà riguardato come uno degli uomini, i quali avranno fatto nel presente secolo più d’onore all’Italia.

Nato nel 1766 a San Giorgio, cospicuo Borgo in Piemonte, da Ignazio Botta, e da Delfina Boggio, dopo i primi rudimenti nelle lettere, si diede a seguire le orme paterne nell’arte salutare. Era Ignazio il quinto Medico per discendenza non interrotta di padre in figlio; e sperare quindi potea nel piccolo Carlo, che mostrava già tutta la propensione agli studj, un successore nella propria carriera.

Dotato di dolci costumi, e di rara moderazione, si fece notare nei primi anni della sua gioventù per uno di quegli spiriti, che avrebbe fatto sempre antecedere i giudizj della mente all’impeto delle passioni, e che l’ambizione, o l’interesse non avrebbe mai guidato nel cammino della via. Dice lo Scrittore d’una Notizia Istorica [p. 4 modifica]«che l’amore della verità lo conciasse ai principj dell’ordine moderno, e che a quelli si diede più per convinzione che per inclinazione; motivo, per cui, nel 1792, dopo aver ricevuto la laurea in Torino, dove si era applicato con successo alla Botanica e alla Medicina, fu come sospetto, arrestato». Ottenne la libertà nel 1794; e abbandonando la patria, passò in Francia.

Fin d’allora cominciò a pensare sul modo di elevarsi sopra la sfera comune; vide che l’Istoria moderna presentava un seggio da occupar in Italia; e quindi si rivolse a meditare sugli avvenimenti che aveano reso tanto fomoso il nome di Wasington nell’America settentrionale. Conobbe che dopo la morte del Salvini e del Cocchi scrivevasi in Italia con molta licenza; quindi cercò di formarsi lo stile nella letteratura degli Storici Toscani, e pare in special modo sul Varchi, sul Segni, e sulla traduzione di Tacito del Davanzati. Intanto esercitava la medicina all’armata dell’Alpi, che prese poi la denominazione d’armata d’Italia.

Giuntovi con quella nel 1796, scrisse un Trattato molto esteso sul Governo da darsi alla Lombardia; in esso, al contrario di molti altri, non carezzò i dominatori della sua patria; e l’anno di poi fu dal General Bonaparte inviato con una divisione dell’esercito Francese in Levante. Trovavasi a Corfù nel tempo, in cui vi regnò una grave malattia, che tornato in Italia egli fece conoscere nel suo primo libro dato alle stampe, intitolato Descrizione dell’Isola di Corfù.

Nel 1799 fu chiamato a far parte del Governo provvisorio del Piemonte, nominato dal General Joubert (il quale non conosceva pur di persona, unitamente a Giulio, e Bossi, assai noto nella [p. 5 modifica]letteratura sotto il nome di Albo Crisso. Cessando dalle sue funzioni al l’arrivo di Musset Commissario Francese, fu nominato Amministratore del Dipartimento dell’Eridano; ma la invasione delle armate Austro-Russe nell’anno stesso lo costrinse a rifugiarsi in Francia di nuovo. Bernardotte, allora Ministro della guerra, l’inviò in qualità di Medico all’armata delle Alpi; e rientrò nella carriera politica subito dopo la battaglia di Marengo, essendo stato dal Primo Console nominato membro della Consulta di Piemonente, della Commissione esecutiva; e quindi della generale amministrazione della XXVII. Divisione militare.

Nel 1803 fece parte della deputazione del Piemonte, per l’unione di quella Provincia all’Impero Francese. Eletto al Corpo Legislativo, dal Dipartimento della Loira, fu scelto Vice-Presidente nel 1808: e rieletto l’anno di poi, si vide designato per la Questura, la qual non ottenne; ma fu nominato Cavaliere dell’Ordine della Riunione. Avendo biasimate alcune misure violente del supremo Reggitore della Francia, quando fu proposto la seconda volta per la Questura, l’Imperatore cancellò il suo nome dal foglio.

Nell’ozio, di cui godevano allora tutti i membri d’un Corpo legislativo muto, diedesi a porre in ordine quanto aveva scritto sulla guerra della Independenza delle Province unite d’America, e la pubblicò nel 1810 per la prima volta in Parigi. Parve a molti che varj modi di quella istoria, benché usati da Scrittori Toscani, fossero antiquati; altri poco degni della nobiltà dell’Istoria; e pochissimi altri improprj, colpa della lontananza dell’Autore dall’Italia. In quanto alla composizione dell’Opera fu giudicata [p. 6 modifica]universalmente degna dei primi onori. Ma i difetti di elocuzione agevolmente togliere si possono, e tutti i suoi veri amici desiderano ch’egli di per se stesso lo faccia. Secondo quello che scrisse l’Alfieri

( . . . . Stanca in tal guisa, e sazia
«Muore anzi tempo ogni laudevol brama,
«In chi scrivendo merca Itala fama).

egli non raccolse frutto veruno da quest’opera, benchè assai ne raccogliesse il Traduttore, e coloro che la pubblicarono posteriormente in Italia.

Nel 1814 non fece più Parte del Corpo Legislativo, e dopo il 20 Marzo 1815 fu nominato Rettore all’Accademia di Nancy. Al ritorno del Re Luigi XVIII. rimesse egli stesso al suo predecessore la carica esercitata con integrità; e quantunque nominato di poi a quella di Rouen, non ne godè lungamente. Egli rimase, come tuttora rimane, senza impiego, e senza pensione.

Libero allor da ogni cura, scrisse la Storia d’Italia dal 1789 al 1814, di cui non altro diremo fuorchè vede l’Italia moltiplicarsi l’edizioni all’infinito. Pubblicatasi splendidamente in Parigi nello scorso anno 1824, in 4 tomi in 4 pei torchi di Giulio Didot il maggiore, essa avrà luogo nelle più scelte Biblioteche; non senza un segreto rammarico di chiunque rifletta, che dopo la pubblicazione di due opere tanto insigni, l’Autore non si trova in quello stato di largo vivere, di cui abbisognano i coltivatori delle lettere, e che dovuto sarebbe alle sue illustri fatiche.

Poco dopo terminata la storia d’Italia, scrisse in Francese un’altra opera, intitolata Storia de’ Popoli d’Italia, la quale fa parte d’una Biblioteca del Secolo XIX., che si pubblica a Parigi [p. 7 modifica]in cento Volumi. Prende in quella a descrivere gli avvenimenti accaduti in Italia dal secolo di Costantino sino al 1789; e la rapidità con cui è stato costretto a narrare tanti avvenimenti, che in breve spazio ha riuniti, non ha nociuto alla chiarezza, e all’interesse, che ha saputo spargervi.

Pare che gli Amici lo sollecitino a continuare l’istoria del Guicciardini. Niuno può farlo meglio di lui, quantunque il periodo, che succedette al primo terzo del Secolo XVI. star non possa in paragone coi quaranta anni che lo precederono.

I grandi meriti di Carlo Botta come prosatore hanno fatto quasi obbliare che egli è autore di un Poema in Versi Sciolti, intitolato Cammillo, o Veja conquistata pubblicato nel 1816, il quale serve a mostrare quanto giovi in Italia lo scrivere bene in versi per iscrivere ottimamente in prosa.