Supplemento alla Storia d'Italia/LXV
Questo testo è completo. |
◄ | LXIV | LXVI | ► |
Roma, li 8 brumale anno 5 (29 Ottobre 1796)
LXV - Al General Bonaparte.
Si racconta per tutta Roma, Generale, che siete stato a rendere visita al Cardinale Mattei a Ferrara, e che gli avete detto di non comprendere come Roma non si sia pacificata con la Francia, e che l’avete impegnato a venire a Roma per parlare al Papa; che il Cardinale aveva desiderato che voi gli manifestaste in scritto questa intenzione, cosa che avevate fatto. Il Cardinal Mattei ha visto il Papa; ed ha avuto una conferenza col Cardinale segretario di stato, alla presenza del Marchese Del Vasto. Secondo l’etichetta di Roma, un Cardinale non fa il primo visita a nessuno, nè pur agli Ambasciadori medesimi; ma se egli è venuto a Roma per impiegarsi per la pace, deve cercare di vedermi, e di attestarmi il primo il suo desiderio, cosa facile, senza derogare alla suprema etichetta. A me non conviene di ricercare alcuno nella situazione presente delle cose.
Secondo le intenzioni che mi avete manifestate, devo mantenere la speranza d’un accomodamento, ed evitare tutto ciò, che mi porrebbe nella necessità di partire da Roma. Io ho continuato, e continuerò in questo sistema, profittando di tutte le occasioni per rompere la benda di cui sonosi coperti gli occhi del Papa; ma è così evidente che si ostinano a lasciarsi traviare fuori del buon cammino che si faranno ingannar di nuovo col mezzo delle offerte di mediazione, che Napoli non mancherà di fare, e con quanto gl’intriganti i più ardenti, e coloro che si mescolano nelle negoziazioni per ricavarne profitto, andran proponendo; piuttostochè rimettersi lealmente ad Azara, ed a me, che abbiamo ambedue dell’intenzioni rette e pure.
Voi troverete qui unita la copia del biglietto che ho scritto jeri al Cardinal Segretario di Stato, inviandogli copia delle lettere che annunziano la pace di Napoli, ed i vantaggi militari in Alemagna, con la risposta di questo Cardinale: non si abbassa in niente il tuono sostenutissimo che si è preso. Vi prego di osservare, Generale, sulla carta geografica dello Stato ecclesiastico, quanto la natura del paese si presta alla suddivisione di questo Stato in tre Repubbliche: quella di Bologna e Ferrara riunite, quella di Perugia con la Romagna, e quella di Roma fino al Mediterraneo. Ciò può farsi lasciando il Papa, Capo della Chiesa Universale, risiedere, come Prete colla sua corte di Preti, e come Pontefice, dove vorrà, nella guisa che risiedeva a Roma, prima che la donazione dei Francesi l’avesse reso Sovrano d’un territorio. Lo stabilimento della libertà, e di buone Repubbliche da Milano fino al Regno di Napoli, è senza dubbio ciò che meglio può assicurare i nostri interessi in Italia, e contener dentro i limiti, da una parte il Re di Napoli, e dall’altra la potente Alemagna. Secondo i registri mortuarj dell’Ospedale della Consolazione di Roma, dove si portano tutti i feriti, in questo Spedale il numero delle persone assassinate in differenti maniere a Roma, e nei contorni ha passato 7500 sotto il regno del Papa attuale: accade il medesimo nel regno di Napoli, e in tutto lo stato Ecclesiastico. Da questo solo, giudicate del resto del governo, e come i popoli debbano essergli affezionati! La sola paura dei birri, tiene in un’apparenza d’ordine questi popoli viziosi, facili ad essere sottomessi. Son di parere che non bisognerà pensare ad altro in quest’inverno, che a riunire la legazione di Ravenna e quelle di Bologna e di Ferrara, ed a formare un nuovo stato del Perugino, di Urbino, e tutto il suo infetto territorio fino al Mediterraneo, che si dominerebbe dal lato del mare. Desidero che la situazione dei nostri affari vi permetta ancora di eseguire questa intrapresa, e che noi siamo in stato di sostenerla. Voi siete troppo savio, per cominciare ciò che si fosse poi obbligati di abbandonare in seguito. Sento con gran piacere che l’affare di Genova va a terminarsi, come io ho sempre desiderato, e proposto. La buona politica porta che noi ci assicuriamo dei popoli dell’Italia superiore, che vagliono infinitamente più di quelli della parte inferiore. A Napoli, tutto geme, e si curva sotto un inquieto terrorismo: i ministri stranieri medesimi sono ridotti al punto di non potere scrivere, e ricevere una lettera che non sia dissigillata; non osano far venire, e dare a leggere in casa loro non solo le nostre gazzette, e quelle dei paesi conquistati, ma neppure quella di Firenze. Il Marchese del Vasto dà qui per sicuro che non è possibile che la pace di Napoli siasi sottoscritta a Parigi; e ha inviato un corriere alla sua Corte per domandarne. Lo sviluppo di tutto questo affare è assai comico; ma in questo paese, la menzogna è moneta corrente; non si dice più una verità; tutto è impostura ed errore, e lo spirito giusto, obbligato ad occuparsi troppo delle proposizioni, e dei discorsi insidiosi, e mendaci, si disgusta, e si rilascia, e non può restare nella linea del vero senza una continua fatica.
Al momento in cui la mia lettera parte, intendo in una maniera sicurissima che li agenti di Napoli sostengono qui che hanno, col ritorno del loro corriere, la sicurezza certa che S. Maestà Siciliana non ha alcuna nuova della sua pace sottoscritta a Parigi; e che la lettera di Faypoult, pubblicata da per tutto, la quale lo annunzia, e che la nuova che ne danno da Firenze Miot, ed Azara, sono menzogne. Io non comprendo nulla di questo imbroglio.
Cacault.