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e quelle di Bologna e di Ferrara, ed a formare un nuovo stato del Perugino, di Urbino, e tutto il suo infetto territorio fino al Mediterraneo, che si dominerebbe dal lato del mare. Desidero che la situazione dei nostri affari vi permetta ancora di eseguire questa intrapresa, e che noi siamo in stato di sostenerla. Voi siete troppo savio, per cominciare ciò che si fosse poi obbligati di abbandonare in seguito. Sento con gran piacere che l’affare di Genova va a terminarsi, come io ho sempre desiderato, e proposto. La buona politica porta che noi ci assicuriamo dei popoli dell’Italia superiore, che vagliono infinitamente più di quelli della parte inferiore. A Napoli, tutto geme, e si curva sotto un inquieto terrorismo: i ministri stranieri medesimi sono ridotti al punto di non potere scrivere, e ricevere una lettera che non sia dissigillata; non osano far venire, e dare a leggere in casa loro non solo le nostre gazzette, e quelle dei paesi conquistati, ma neppure quella di Firenze. Il Marchese del Vasto dà qui per sicuro che non è possibile che la pace di Napoli siasi sottoscritta a Parigi; e ha inviato un corriere alla sua Corte per domandarne. Lo sviluppo di tutto questo affare è assai comico; ma in questo paese, la menzogna è moneta corrente; non si dice più una verità; tutto è impostura ed errore, e lo spirito giusto, obbligato ad occuparsi troppo delle proposizioni, e dei discorsi insidiosi, e mendaci, si disgusta, e si rilascia, e non può restare nella linea del vero senza una continua fatica.
Al momento in cui la mia lettera parte, intendo in una maniera sicurissima che li agenti di Napoli sostengono qui che hanno, col ritorno del loro corriere, la sicurezza certa che S. Maestà Siciliana non ha alcuna nuova della sua pace sottoscritta a Parigi; e che la lettera di Faypoult, pubblicata da per tutto, la quale lo annunzia, e che la nuova che ne danno da Firenze Miot, ed Azara, sono menzogne. Io non comprendo nulla di questo imbroglio.
Cacault.