Supplemento alla Storia d'Italia/LXII
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Venezia, li 28 vendemmiale anno 5 (19 Ottobre 1796)
LXII - Al General Bonaparte.
Il Governo veneziano continua i suoi armamenti; arrivano spesso delle truppe dalla Dalmazia; non compariscono a Venezia, sono distribuite sulle diverse isole delle lagune, dove sono esercitate. Tutto si fa con la più gran segretezza.
Si erano ordinate da più mesi delle pattuglie nei villaggi della Terra-Ferma, sotto pretesto di mantenervi il buon ordine: sono assicurato che vi vengono raddoppiate. Sembra che si voglia armare successivamente una gran parte del popolo, ed è facile giudicare contro chi si proponga di dirigere queste forze. Tutto manifesta delle mire ostili dalla parte del governo veneziano: i suoi progetti non mi sembrano più un mistero; un momento favorevole basterebbe a farli scoppiare. Noi dobbiamo avere gli occhi aperti su tutti i suoi andamenti: troppa sicurezza potrebbe esser funesta alle armate della Repubblica.
Sono diciotto mesi che sono a Venezia. Non vi bisognava che un colpo d’occhio per vedere che il Senato era un nemico irreconciliabile della Repubblica francese: questo era il resultato necessario dell’opposizione dei principj dei due governi. Io ho sempre creduto che le ragioni politiche che militano in nostro favore, non sarebbero che un ben debole contrappeso nella bilancia con cui pesa l’Aristocrazia i suoi più cari interessi. Ma, in questo momento, non l’Aristocrazia sola abbiamo da temere; ella ha posto il popolo in un tal grado di effervescenza che non attende altro che un segnale per scatenarsi contro noi: si son poste in moto tutte le risorse del fanatismo religioso, ed è stato fatto con tanto successo, che si ascoltano assai generalmente molti individui del popolo lamentarsi, perché il governo non gli permette di armarsi contro di noi.
Voi non saprete comprendere, mio Generale, l’odio che si è ispirato a questo popolo contro i repubblicani Francesi; sono derisi, disprezzati, burlati con la più sfacciata indecenza. Il Governo francese, le sue valorose armate, tutti gl’individui che gli appartengono sono l’oggetto continuo dei discorsi i più indecenti, delle calunnie le più atroci: io oso dire, che non vi sia un solo patriotto a Venezia che non abbia sofferto delle umiliazioni. Tutti hanno il diritto di scagliare invettive ai Francesi, nessuno può dire una parola in loro favore. Sembra che la calunnia diretta contro di loro sia virtù, e che la verità divenga un delitto. Il piccol numero d’amici, che noi abbiamo qui, ci fugge, si nasconde, e vuol farsi dimenticare: uno solo osava ancora frequentare la casa del ministro, l’inquisizione lo ha fatto esiliare da Venezia. Per non abusare dei vostri momenti, mio Generale, io non vi faccio che questo debole abbozzo del quadro ributtante che si è offerto sotto i miei occhi, al mio ritorno da Milano. Io mi sono affrettato di istruirne il governo. Quantunque ben persuaso che nulla è fuggito alla sollecitudine degli agenti diplomatici, di cui conosco lo zelo, ed il patriottismo, ho creduto adempire un dovere di cittadino, unendomi ad essi in una circostanza, in cui è sì essenziale che siate prevenuto delle manovre dei nostri nemici. Sono stato assicurato questi giorni scorsi, che il Senato aveva fatto un decreto di amnistia in favore dei sudditi Veneziani banditi dagli stati di Venezia, a condizione che si arruolassero nelle truppe della Repubblica. Prima d’informarvene, mio Generale, voleva esser più certo dei fatti, e conoscere i mezzi di cui si servono per fare eseguire in segreto un decreto di tal natura. Io ho saputo che si era ordinato a tutti i Potestà di farlo sapere alle famiglie dei banditi esistenti nei loro circondari respettivi, e lasciar loro la cura di richiamarli.
Ecco come il Governo copre sempre le sue operazioni con un velo che, se non e impenetrabile, lo mette almeno nel caso di negare i fatti, contro i quali potrebbero farsi delle doglianze.
Ailaud.