Sull'incivilimento primitivo/Introduzione

Introduzione

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Dedica Parte I
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I vari gioielli antichi che mi vengono ogni giorno fra mani, avendo tra sè tanti caratteri di somiglianza o sieno arcaici italiani, o d’Egitto o di Grecia, o delle Indie e del Messico, mi fecero pensare, paragonandoli, che un tempo anche la civiltà e la religione dovette esser comune fra i popoli di queste nazioni; e siccome è naturale il credere che da uno di questi popoli fu insegnata agli altri; viene spontaneo il ricercare qual fu questo popolo benemerito.

Se interroghi i dotti della ragione di tanta simiglianza che: trovi in opere artistiche prodotte sotto tanto diverse latitudini, poco ne cavi generalmente, attesa la smania di sistema nelle storie delle origini; e neppur le storie delle arti tutte provinciali o nazionali, come furon fatte fin ora, te ne forniscono argomenti che appaghino la filologica curiosità. Da questo studio se ne trassero opinioni e congetture, e dura ancora la lotta fra coloro che tutto spiegano colle migrazioni dei popoli, col commercio e colle popolose colonie lidie, fenicie e greche accasate in Italia.

[p. 8 modifica]Il dottissimo Winkelmann da questa somiglianza di arti degli antichi Egizi e degli Italiani non ne trae che alcun popolo meriti indubbiamente l’onore di maestro, ma dice che furon create e condotte così perchè ogni popolo le apprese senza esterno soccorso essendo guidato e illuminato dalla necessità e dal piacere (Monum. ined. princ.).

Rispetto ai Tirreni, che furono potentissimi popoli d’Italia, fu divulgato ab antico che fossero oriundi di Lidia guidati qua da Tirreno figlio di Ati discendente da Ercole. Ciò scrissero Erodoto, Strabone, Plinio, Velleio Patercolo, Valerio Massimo, Appiano, Giustino e tutti i poeti latini che gli appellarono Lidi, Toschi e Tirreni promiscuamente.

È verisimile che siffatta opinione si professasse comunemente dagli Etruschi del tempo di Tiberio innanzi al quale i Sardiani lessero un documento che provava essere consanguinei degli Etruschi. Ecco le parole di Tacito che lo racconta: Sardiani decretum Etruriae recitavere, ut consanguinei; nam Tyrrhenum Sydumque Atye rege genitos, ob multitudinem divisisse gentem: Sydum patriis in terris resedisse: Tyrrheno datum novas ut conderet sedes; et ducum e nominibus indita vocabula, illis per Asiam, his in Italia (Ann., IV, 55).

Dissi che dovette essere opinione degli Etruschi, imperocchè pare che il sommo storico usurpi la parola decretum in significato di parere o sentenza, nel qual modo l’usò pure Cicerone dicendo: «Sapientia neque de se ipsa dubitare debet, neque de suis decretis» (4 Acad.), onde penso che il decreto recitato da’ Sardiani non fosse altro che un’opinione storica scritta allora dai dotti d’Etruria.

[p. 9 modifica]Questa migrazione dicesi avvenuta poco appresso la guerra troiana. E Virgilio conferisce loro più alta antichità dicendoli già potenti negli ultimi della Eneide, ma meno potenti che per lo innanzi. E pare che tai notizie attingesse nel libro delle Origini scritto da Catone; e la stessa cosa afferma anche Servio (Aen., IX, v. 50) dicendo: Omnis pæne Italia in Tuscorum potestate fuerat. Il Guarnacci vuole gli Etruschi della gente pelasgica e il Bardetti lo ripete.

Leggendo le favolose epopee dell’incivilimento orientale, le navigazioni libiche e fenicie, il vetusto impero egiziano, e i tesmofori greci colle mitologiche intraprese loro, si vede la storia confondersi colle più inaudite favole, e la nascita della civiltà disperdersi nelle lusinghiere fole de’ poeti, le di cui massime vanno così ad imporsi nel tenero animo della studiosa adolescenza. Alcun tempo fa, lo dico con un po’ di rossore, mi erano ignoti gli studi che sull’incivilimento italico aveva fatti lo egregio Mazzoldi, nè sapeva che il libro, in cui quei belli studii son consegnati, come era incognito a me, lo era quasi altrettanto in Italia. Finalmente un giorno un egregio sacerdote a me amico e maestro, dotto cultore della storia delle nostre antiche glorie italiane, mi dimandava, rispondendo a certi miei dubbi, perchè miscredessi le teorie della scuola archeologica italiana, e mi accennò Guarnacci, Vico, Micali e Mazzoldi; così mi dette il bandolo per potere applicar semplicissimamente teorie istoriche alle osservazioni che aveva io fatto sopra i monumenti, e trovai che vi corrispondevano. Allora intrapresi quei studi che consegno a quest’opuscolo.