Stupor de la natura, onor de l'arte

Antonio Bruni (poeta)

Indice:AA. VV. - Lirici marinisti.djvu Sonetti Letteratura XII. Il rapimento d'Elena di Guido Reni e la Didone trafitta del Guercino Intestazione 2 agosto 2022 100% Da definire

Soavissimi baci Sacratissimo latte
Questo testo fa parte della raccolta Antonio Bruni
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XII

IL RAPIMENTO D’ELENA

DI GUIDO RENI

E

LA DIDONE TRAFITTA

DEL GUERCINO

Al cardinale Spada

     Stupor de la natura, onor de l’arte,
tua mercé pur rimiro in tela espressi
i pregi altrui ch’idolatrando io lessi
in argolico stil, latine carte.
     Ecco il lino animato agli occhi esprime
l’ideo pastor, de la beltá l’idea,
ch’è frigia meraviglia e pompa achea,
de l’italico Apelle opra sublime.
     La bella greca al giovine troiano
giá fu rapina a’ suoi desir gradita,
e disciolse la vergine rapita
i gridi al ciel, le trecce a l’aura invano.
     Giá di tanto tesor vedove e prive,
per insolita via correndo al Xanto,
piú che d’umor vedeansi ebre di pianto
d’Inaco l’onde e d’Acheloo le rive.
     E giá, tosto ch’aperse i primi albori
a l’Asia, del bellissimo sembiante,
adultera in amor, lasciva amante,
arse a Scamandro i flutti, ad Ida i fiori.
     Ma pur oggi, nel lino, al patrio lito
Pari, ch’altri non ha pari nel viso,
pur lei rapisce, onde ne resta anciso
e ne la sua rapina anco rapito.
     Ben veggio in lui, se lui contemplo e guardo
vagheggiator del vagheggiato volto,
col vezzo in bocca a lascivir rivolto,
il lusso del color, ma piú del guardo.

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     Ritratti, ancor miracoloso amore
gli arde fra l’ombre e ’l foco lor non cela,
e se da lor non miro arsa la tela,
è di pennel miracolo maggiore.
     Tremanti sí, ma nel mirar non lassi,
volgono gli occhi a l’amorose prove;
ma per molle sentiero impenna e move
il volo il cor, piú che la pianta i passi.
     De la coppia d’amor ebra e seguace
è precursore Amor; ma stella e guida
è di lei la beltá cupida e fida,
vie piú che di Cupidine la face.
     Ma come avvenir può ch’ella s’avvezzi
nel tuo albergo, ov’Apollo ha ’l simulacro,
a trattar sí profana in loco sacro
varie lascivie, e la lascivia i vezzi?
     Se di greca eloquenza amico fonte
ne l’eccelsa magion lor corre avanti,
come da Grecia i fuggitivi amanti
ne l’eccelsa magion volgon la fronte?
     Qui, di cura real gravido il seno,
spieghi i pregi de l’ostro e de la penna,
famosissimo al par, s’unqua a la Senna
giugni dal Tebro o se dal Tebro al Reno.
     Non intrecci di mirti altri le chiome
qui, dove a te l’intreccia o lauro o palma;
non sia ratto d’amor dov’hai la palma
di rapire a l’oblio famoso il nome.
     Da la sacra magion, dunque, sen vada
lungi la coppia effeminata e molle.
Miri ch’incontra a lei la punta estolle
giá di Febo lo stral, d’Astrea la spada.
     Ma quale agli occhi miei s’offre novella
opra d’amore? a qual di morte acerba
apparato d’orror, scena superba
or guida i guardi miei tragica stella?

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     Veggio pur io l’innamorata Elisa
al suo spirto che fugge aprir la via,
onde scerner non so s’ella piú sia
arsa nel rogo o piú nel sangue intrisa;
     e seco miro anch’io pietosa cura
mostrar su lei l’addolorata suora
che sospira e che piagne, ond’avvalora
col pianto il foco e co’ sospir l’arsura.
     Sembra vivo il color, se ’l miro intento;
e ben opra è di lui ch’illustre e chiaro
de la canora dea discioglie al paro
inver’ la gloria e cento penne e cento.
     Né dev’ella mostrar nel regio tetto
su ’l rogo in pria d’amore, indi di morte,
de la vita le fila o tronche o corte,
incenerita il cor, svenata il petto.
     Sol ne la reggia tua nutre e conserva
il ciel, tra varie imagini ingegnose,
o magnanimo eroe d’opre famose,
la clemenza e ’l valor, Febo e Minerva.
     Ah, ben leggo il magnanimo pensiero!
De la gemina imagine discerno
non vulgare il concetto, il senso interno,
e certo, invariabile, il mistero.
     Vuoi che guardo modesto, alma pudica,
argomenti infallibili n’apprenda,
se fia che a contemplar sui lini intenda
l’afflitta Dido e la rapina antica.
     Chi di teneri mirti avvolge il crine
fugga i furti d’amor, saggio ed accorto;
a chi da due begli occhi in terra è scorto,
s’è principio l’amore, il rogo è fine.
     Se ’l frigio involator, d’amor campione,
l’adorata bellezza ha sempre appresso
volge, rivolto in cenere se stesso,
in fiamme l’Asia, in cenere Ilione.

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     S’al troian peregrin l’anima inchina,
da lo strale d’amor ferita e vinta;
giace da l’armi de la morte estinta
di Cartago la nobile reina.
     Par che ’l saggio pittor fregi ed allumi
con l'ombre de’ colori e de’ pennelli
quei de’ furti d’amor pregi novelli
vie piú che col disegno e che co’ lumi.
     Fuma l’accesa e ’nsanguinata pira
ov’omicida e vittima è pur Dido;
e ’l caro amante e fuggitivo infido
con gli aliti di morte anco sospira.
     Quinci cortese il ciel questo n’adombra
veracissimo senso agli occhi miei:
«Fuggi lascivo amor, se saggio sei:
la gioia è un fumo ed è ’l diletto un’ombra».