Stupor de la natura, onor de l'arte
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XII
IL RAPIMENTO D’ELENA
DI GUIDO RENI
E
LA DIDONE TRAFITTA
DEL GUERCINO
Al cardinale Spada
Stupor de la natura, onor de l’arte,
tua mercé pur rimiro in tela espressi
i pregi altrui ch’idolatrando io lessi
in argolico stil, latine carte.
Ecco il lino animato agli occhi esprime
l’ideo pastor, de la beltá l’idea,
ch’è frigia meraviglia e pompa achea,
de l’italico Apelle opra sublime.
La bella greca al giovine troiano
giá fu rapina a’ suoi desir gradita,
e disciolse la vergine rapita
i gridi al ciel, le trecce a l’aura invano.
Giá di tanto tesor vedove e prive,
per insolita via correndo al Xanto,
piú che d’umor vedeansi ebre di pianto
d’Inaco l’onde e d’Acheloo le rive.
E giá, tosto ch’aperse i primi albori
a l’Asia, del bellissimo sembiante,
adultera in amor, lasciva amante,
arse a Scamandro i flutti, ad Ida i fiori.
Ma pur oggi, nel lino, al patrio lito
Pari, ch’altri non ha pari nel viso,
pur lei rapisce, onde ne resta anciso
e ne la sua rapina anco rapito.
Ben veggio in lui, se lui contemplo e guardo
vagheggiator del vagheggiato volto,
col vezzo in bocca a lascivir rivolto,
il lusso del color, ma piú del guardo.
Ritratti, ancor miracoloso amore
gli arde fra l’ombre e ’l foco lor non cela,
e se da lor non miro arsa la tela,
è di pennel miracolo maggiore.
Tremanti sí, ma nel mirar non lassi,
volgono gli occhi a l’amorose prove;
ma per molle sentiero impenna e move
il volo il cor, piú che la pianta i passi.
De la coppia d’amor ebra e seguace
è precursore Amor; ma stella e guida
è di lei la beltá cupida e fida,
vie piú che di Cupidine la face.
Ma come avvenir può ch’ella s’avvezzi
nel tuo albergo, ov’Apollo ha ’l simulacro,
a trattar sí profana in loco sacro
varie lascivie, e la lascivia i vezzi?
Se di greca eloquenza amico fonte
ne l’eccelsa magion lor corre avanti,
come da Grecia i fuggitivi amanti
ne l’eccelsa magion volgon la fronte?
Qui, di cura real gravido il seno,
spieghi i pregi de l’ostro e de la penna,
famosissimo al par, s’unqua a la Senna
giugni dal Tebro o se dal Tebro al Reno.
Non intrecci di mirti altri le chiome
qui, dove a te l’intreccia o lauro o palma;
non sia ratto d’amor dov’hai la palma
di rapire a l’oblio famoso il nome.
Da la sacra magion, dunque, sen vada
lungi la coppia effeminata e molle.
Miri ch’incontra a lei la punta estolle
giá di Febo lo stral, d’Astrea la spada.
Ma quale agli occhi miei s’offre novella
opra d’amore? a qual di morte acerba
apparato d’orror, scena superba
or guida i guardi miei tragica stella?
Veggio pur io l’innamorata Elisa
al suo spirto che fugge aprir la via,
onde scerner non so s’ella piú sia
arsa nel rogo o piú nel sangue intrisa;
e seco miro anch’io pietosa cura
mostrar su lei l’addolorata suora
che sospira e che piagne, ond’avvalora
col pianto il foco e co’ sospir l’arsura.
Sembra vivo il color, se ’l miro intento;
e ben opra è di lui ch’illustre e chiaro
de la canora dea discioglie al paro
inver’ la gloria e cento penne e cento.
Né dev’ella mostrar nel regio tetto
su ’l rogo in pria d’amore, indi di morte,
de la vita le fila o tronche o corte,
incenerita il cor, svenata il petto.
Sol ne la reggia tua nutre e conserva
il ciel, tra varie imagini ingegnose,
o magnanimo eroe d’opre famose,
la clemenza e ’l valor, Febo e Minerva.
Ah, ben leggo il magnanimo pensiero!
De la gemina imagine discerno
non vulgare il concetto, il senso interno,
e certo, invariabile, il mistero.
Vuoi che guardo modesto, alma pudica,
argomenti infallibili n’apprenda,
se fia che a contemplar sui lini intenda
l’afflitta Dido e la rapina antica.
Chi di teneri mirti avvolge il crine
fugga i furti d’amor, saggio ed accorto;
a chi da due begli occhi in terra è scorto,
s’è principio l’amore, il rogo è fine.
Se ’l frigio involator, d’amor campione,
l’adorata bellezza ha sempre appresso
volge, rivolto in cenere se stesso,
in fiamme l’Asia, in cenere Ilione.
S’al troian peregrin l’anima inchina,
da lo strale d’amor ferita e vinta;
giace da l’armi de la morte estinta
di Cartago la nobile reina.
Par che ’l saggio pittor fregi ed allumi
con l'ombre de’ colori e de’ pennelli
quei de’ furti d’amor pregi novelli
vie piú che col disegno e che co’ lumi.
Fuma l’accesa e ’nsanguinata pira
ov’omicida e vittima è pur Dido;
e ’l caro amante e fuggitivo infido
con gli aliti di morte anco sospira.
Quinci cortese il ciel questo n’adombra
veracissimo senso agli occhi miei:
«Fuggi lascivo amor, se saggio sei:
la gioia è un fumo ed è ’l diletto un’ombra».