Veggio pur io l’innamorata Elisa
al suo spirto che fugge aprir la via,
onde scerner non so s’ella piú sia
arsa nel rogo o piú nel sangue intrisa;
e seco miro anch’io pietosa cura
mostrar su lei l’addolorata suora
che sospira e che piagne, ond’avvalora
col pianto il foco e co’ sospir l’arsura.
Sembra vivo il color, se ’l miro intento;
e ben opra è di lui ch’illustre e chiaro
de la canora dea discioglie al paro
inver’ la gloria e cento penne e cento.
Né dev’ella mostrar nel regio tetto
su ’l rogo in pria d’amore, indi di morte,
de la vita le fila o tronche o corte,
incenerita il cor, svenata il petto.
Sol ne la reggia tua nutre e conserva
il ciel, tra varie imagini ingegnose,
o magnanimo eroe d’opre famose,
la clemenza e ’l valor, Febo e Minerva.
Ah, ben leggo il magnanimo pensiero!
De la gemina imagine discerno
non vulgare il concetto, il senso interno,
e certo, invariabile, il mistero.
Vuoi che guardo modesto, alma pudica,
argomenti infallibili n’apprenda,
se fia che a contemplar sui lini intenda
l’afflitta Dido e la rapina antica.
Chi di teneri mirti avvolge il crine
fugga i furti d’amor, saggio ed accorto;
a chi da due begli occhi in terra è scorto,
s’è principio l’amore, il rogo è fine.
Se ’l frigio involator, d’amor campione,
l’adorata bellezza ha sempre appresso
volge, rivolto in cenere se stesso,
in fiamme l’Asia, in cenere Ilione.