Storie fiorentine dal 1378 al 1509/XXVII

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GIULIO II CONTRO I VENEZIANI
FERDINANDO II D’ARAGONA A NAPOLI (1506)


1506. Seguitò lo anno 1506, nel principio del quale essendosi ordinata la riforma ordinaria del Monte ed una provisione, per potere rispondere alle paghe, di due decime e mezzo, e due arbítri [e] mezzo; ed essendo molte volte ita a partito negli ottanta, passò con difficultà, sendo massime contradetta da messer Antonio Malegonnelle, che, mostrando questa gravezza essere disonesta, persuase si facessi una gravezza ordinaria, lo effetto della quale era in buona parte rincarare el sale. Ma opponendosigli e ributtandolo vivamente el gonfaloniere, passò gli ottanta, e venuta nel consiglio e non si vincendo, venne in gara, da una parte, dal gonfaloniere che tutto dí chiamando el consiglio non cessava di proporla e riscaldarla, da altra da molti uomini da bene, massime giovani, che erano molto caldi e solleciti al contradirla, e tanto piú, quanto e’ si intendeva che poco numero di fave gli darebbono perfezione.

E però el gonfaloniere riscaldato, sendo una mattina ragunato el consiglio, fece publicare che secondo gli ordini non potevano essere in consiglio ancora quegli che erano caduti a specchio da poi che si era fatta la ultima imborsazione: il che toccava a molti, de’ quali la piú parte erano giovani da bene e che si opponevano alla gravezza; e cosí voto del consiglio di piú fave inimiche, credette avere vinta la provisione. Ma sendo sdegnati di questo atto disonesto molti di quegli che rimasono in consiglio e che prima la vincevano, e però dando le fave bianche, la provisione tornò adrieto; e cosí inaspriti gli animi, andò in consiglio a partito centosei volte e finalmente non si vinse. Eravi el gonfaloniere su indiavolato, e come fu entrata la nuova signoria, la voleva cimentare, ma Giovan Batista Ridolfi, che era de signori nuovi, si gli oppose dicendo non essere giusto volere cozzare col popolo e però si riformò el Monte per otto mesi, non si ponendo gravezza alcuna. Ma come la signoria fu uscita, si propose una decima ed uno arbitrio, e rincarare el ottavo le gabelle di dogana; la quale, per parere cosa leggiere, si vinse facilmente.

In detto tempo nacque uno caso privato, el quale tenne in sospensione molte settimane la città. Aveva Alessandro di Lionardo Mannelli per moglie una figliuola di Alamanno de’ Medici, giovane disonesta e cattiva molto notoriamente; costei essendo in villa ed Alessandro in Firenze, fu di notte amazzata da uno famiglio di Alessandro, e parendo verisimile fussi stato per ordine di Alessandro, fu posta la querela agli otto contro a lui. E’ quali non si risolvendo a volerne ritrovare el vero, andò el giudicio in quarantía, secondo una legge fatta innanzi a tempo del gonfaloniere, dove si disponeva che ogni volta che uno caso criminale fussi innanzi a qualunque magistrato e fra uno certo termine non si spedissi, avessi a diffinirsi dalla quarantía; che era uno giudicio dove interveniva el gonfaloniere, uno de’ signori, tre de’ collegi, el magistrato che la intrometteva, e tanti degli ottanta, che si traevano per sorte, ma el numero si deputava da’ signori e collegi, pure che non potessino essere meno di venti né piú di quaranta; e loro avevano termine a espedirle quindici dí.

Venuto adunche questo caso in quarantía, dove venivano in accusa di Alessandro e’ fratelli della morta ed in difesa Francesco, fratello di Alessandro, fu prima ordinato che Alessandro si rapresentassi al bargello; e parendo indizi molti urgenti contro a lui, si dispose si traessino esaminatori che avessino a esaminarlo con parole e con fune. De’ quali sendo a sorte tratto messer Antonio Malegonnelle, che era di quarantía, non volle mai dargli fune, allegando non vi essere indizi sufficienti; in modo che correndo el tempo de’ quindici dí e non essendo trovata la verità, né si potendo gli uomini risolvere, assolverono Alessandro, con patto che questa materia si potessi ogni volta ritrattare e lui non uscissi di prigione insino a tanto avessi dato mallevadori, per cinquemila ducati, di rapresentarsi a ogni requisizione di qualunque magistrato. Ma non si posò per questo la cosa, perché e’ Medici avendo notizia che el famiglio che l’aveva morto era fuggito a Siena, ne avisorono el cardinale de’ Medici, el quale vi concorreva volentieri, si per lo interesse del parentado, sí perché intendeva e’ Mannelli essere inimici di casa sua ed amici del gonfaloniere e però per mezzo suo Pandolfo lo fece sostenere in Siena, e quivi avuto della corda, confessò averla amazzata per ordine di Alessandro, e venuto el processo in mano de’ fratelli, lo riaccusarono agli otto. E perché questa cosa era venuta quasi in divisione di stato rispetto al gonfaloniere ed agli amici de’ Medici ed inimici sua, gli otto, desiderosi di ritrovarne el vero, chiesono questo famiglio a Pandolfo, e non lo potendo ottenere, Pellegrino Lorini e Giovan Batista Guasconi, dua degli otto andorono insino a Siena a esaminarlo; ed avuto el riscontro in carico di Alessandro, tornati a Firenze lo feciono subito pigliare.

Ma poco di poi, donde si nascessi la origine, non confessando Alessandro che era stato apiccato un poco alla corda, Pandolfo concesse el famiglio, el quale venuto a Firenze con sicurtà della vita, disse el contrario di quello che aveva detto a Siena, e che Alessandro era innocente; in modo che gli otto lo assolverono, benché la piú parte degli uomini restassi in opinione che Alessandro aveva errato. Cosí si terminò questo caso, del quale si era parlato assai non solo a Firenze ma ancora a Siena e Roma, dove si interpretava che sotto nome di caso criminale fussi una rabbia e gara di stato. Ebbene nella prima quarantía messer Antonio Malegonnelle carico grande, come se contro al dovere avessi voluto perdonare a Alessandro, ed uomini della quarantía scrissono polizze assai in suo vituperio, ricordando non era stato sí clemente quando furono sostenuti Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco; di che lui che era riputato uomo intero ed amatore dello onore, ebbe tanto dispiacere che, morendo poche settimane poi, si attribuí ne fussi stato cagione questo rimescolamento.

Levossi nel medesimo tempo una voce, come una figliuola di Piero de’ Medici, che era a Roma, si era maritata a Francesco di Piero di messer Luca Pitti, che si trovava nella Marca; e però sendo posto agli otto una querela in carico di Piero Pitti, chiesono la quarantía, la quale si trasse nel medesimo dí che quella di Alessandro. Ma udito Piero Pitti e certificati detto parentado non essere vero, lo assolverono facilmente, e fu opinione ferma e vera che la querela fussi stata posta da chi sapeva la verità, non per punire Piero Pitti, ma per mostrare a chi avessi voglia di fare quello parentado, che la città se ne risentirebbe e farebbesi caso di stato, e che chi lo facessi, arebbe a essere giudicato dalla quarantía.

Ne’ medesimi tempi si intese essere fatto accordo tra il re Ferrando e Filippo duca di Borgogna, per virtú del quale rimaneva al Re Ferrando el reame di Napoli e di Sicilia ed el regno d’Aragona: a Filippo la Castiglia, la Granata ed altri stati; in modo che per virtú di questo accordo, el nome di re di Spagna rimaneva al re Filippo, el nome di re di Ragona rimaneva a Ferrando. E poco poi detto re Ferrando ritolse per donna una franzese di casa regale, e per sua dote el re di Francia gli cedé tutte le ragione che aveva nel reame di Napoli, e si contrasse pace, lega ed amicizia tra questi dua re di Francia e di Ragona. E perché el re di Ragona aveva per molte cause avuto sospetto che Consalvo non volessi usurpare per sé el reame di Napoli, deliberò, e per questo e per altri rispetti, venire personalmente in Italia con la regina e con tutta la corte, e con animo di fermarvisi qualche tempo, e si cominciò a mettere in ordine e prepararsi al venirne. Intesesi ancora come Massimiano, favorito del re Filippo suo figliuolo, si metteva in ordine per passare in Italia per la corona dello imperio e contro al re di Francia, di che sendo sollevata tutta Italia, non ebbe effetto per la cagione che di sotto si dirà.

El papa, ancora sdegnato molto contro a’ viniziani per la perdita di Rimino e di Faenza, e desideroso recuperare quelle terre ed altri stati della Chiesa, massime Bologna, tenuta pratica col re di Francia ed avendo promessa da lui di essere servito di gente, publicò volere fare la impresa di Bologna ed andarvi personalmente, con animo, acquistata Bologna, di attendere agli stati della Chiesa che tenevano e’ viniziani in Romagna; e si credeva che el re di Francia romperebbe la guerra in Lombardia. Partissi adunche da Roma e stette molti dí fermo in quelle circumstanzie, perché e’ favori del re gli mancavano sotto; pure di poi assodatosene, ne venne a Perugia e fatto accordo con Giampaolo Baglioni, che governava quella terra, gli dette condotta e lasciò uno legato in Perugia e ridusse quella terra in arbitrio suo rimettendovi ancora molti fuorusciti inimici di Giampaolo e restituendo loro e’ bene usurpati. Richiese ancora la città di cento uomini d’arme per questa impresa; della quale dimanda faccendosi pratica, alcuni la contradissono, de’ quali massime furono capi messer Francesco Gualterotti, messer Francesco Pepi ed Alamanno Salviati; e benché allegassino molte ragione che erano tenute debole, tacevano la vera che gli moveva, che era per fare vergogna al gonfaloniere ed al cardinale suo fratello e’ quali avevano sanza dubio promesso privatamente al papa questo sussidio e volevano di questo beneficio publico acquistare grado in privato. Nondimeno, perché male si poteva negare questa dimanda Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini e molti altri la confortorono, in forma che accordandosi la piú parte e favorendola el gonfaloniere si consentí e si mandò con queste gente Marcantonio Colonna.

Seguitò di poi el papa el suo viaggio, ed essendo pieno di sdegno contro a’ viniziani, uscí della via diritta per non passare pe’ terreni loro, e vennene in sul nostro per una via piú lunga e difficile, dove essendo accompagnato da Pierfancesco Tosinghi nostro commessario in Romagna, gli disse che era venuto el tempo che noi vedremo vendetta degli inimici della Chiesa e nostri, accennando apertamente de’ viniziani. Cosí appressandosi a Bologna con forte esercito, publicò una fortissima escomunica contro a messer Giovanni Bentivogli e figliuoli comprendendovi drento tutti quegli che gli dessino alcuna spezie di sussidio e favore; e da altro canto apressandosi le gente franzese, era ridotto lo stato di messer Giovanni in somma diffìcultà; in forma che, come el papa fu in Faenza, dove era andato per la città nostra imbasciadore messer Francesco Pepi, messer Giovanni ed e’ figliuoli inviliti e diffidati di se medesimi, fatto certo accordo, si fuggirono di Bologna, ed e’ bolognesi subito si dettono al papa. La quale cosa intendendo e’ franzesi che desideravono mandare Bologna a sacco come uomini bestiali e sanza ragione, vollono entrare violentemente in Bologna, ma difendendosi francamente quegli di drento, furono ributtati; e nondimeno el papa, per posargli, dette loro certa somma di danari e poi entrò con tutta la corte pacificamente in Bologna, e vi cominciò a edificare una fortezza.

Era in questo mezzo el re di Ragona venuto per mare alla volta del reame, e molti de’ sue gentiluomini e baroni colle donne e brigate loro ne venivano per terra; e perché gli aveva per transito a toccare Piombino, vi fu mandato oratori a visitarlo e presentarlo, messer Giovanni Vettorio Soderini, Niccolò del Nero, amico suo per avere lungamente fatto faccende in Spagna, Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno Salviati, de’ quali Giovan Batista, amalato per la via, si ritornò a Firenze. Aspettoronlo quivi piú di uno mese, perché el re, sendo arrivato a Portofino in quello di Genova, fu constretto pe’ tempi cattivi starvi molti dí e di poi arrivato in Piombino, mostrò avere molto care questa visitazione della città. Partitosi da Piombino, ebbe in quegli tempi nuove, come el re Filippo suo genero, avendo avuto male due o tre giorni, era morto; segno della fragilità umana, che uno principe sí grande e sí felice pel reame di Spagna, pel ducato di Borgogna, per la aspettativa dello imperio, essendo giovane e gagliardo, morissi quasi di subito.

Fu questa morte cagione di impedire la passata di Massimiano in Italia, perché mancandogli questo favore e non gli bastando le forze sue, fu constretto a cercare aiuti di altri; fu gratissima al re di Francia, per essersi levato dinanzi uno vicino suo inimico e potentissimo, e vedere indebolita la possanza del re de’ romani; fu grata al re Ferrando, perché rimanendo lo stato di Spagna nelle mani della figliuola sua, ebbe speranza avere a essere richiamato al governo; e nondimeno seguitando el suo viaggio, ed essendogli venuto incontro e datosigli nelle mani liberamente Consalvo, fu ricevuto in Napoli con grandissima allegrezza e piacere, e fece ne’ primi giorni molti segni di benivolenzia a Consalvo, nondimeno poco poi, con tutti e’ modi che potette, gli tolse tacitamente riputazione. A questo re riputato molto savio e buono ed aspettato con sommo desiderio da chi desiderava acconciarsi le cose di Italia, mandò la città oratori messer Francesco Gualterotti ed Iacopo Salviati, avendo grande speranza che e’ fussi per annunciare le cose di Pisa; il che, come di sotto in altro luogo si dirà, riuscí vano.

Vinsesi poi la provisione di fare la ordinanza de’ battaglioni nel contado e, per dare piú riputazione, che e’ si creassi uno magistrato di nove cittadini e’ quali tenessino la prima degnità doppo a’ dieci, che avessino cura di questa opera; e cosí furono creati.

Avuta che ebbe el papa Bologna, aspettandosi che e’ facessi la impresa contro a’ viniziani ed avendo lettere dal re di Francia come e’ si metteva in ordine con grosso esercito per venire personalmente in Italia ed a Bologna a fargli reverenzia ed aboccarsi colla santità sua, subito ex arrupto, lasciato un legato a Bologna ed ordinate una certa forma di governo, se ne ritornò con la corte a Roma per la via di Romagna, toccando per transito e’ terreni de’ viniziani. La cagione fu interpretata perché e’ dubitassi che essendo el regno di Francia in nome apresso al re, in fatto nelle mani del cardinale di Roano, che se el re veniva con tanto esercito in Italia ed a Bologna, quello cardinale per ambizione del papato, non gli facessi mettere le mani adosso e privassilo del papato. Ma non si seppe se questo sospetto gli entrassi naturalmente da se medesimo, o pure per suggestione del cardinale di Pavia, el quale poteva in lui el tutto, e di altri sua confidati che fussino stati corrotti da’ viniziani, quello che si fussi la cagione, questa partita roppe tutti e’ disegni fatti contro a’ viniziani, e’ quali erano sí fondati, che loro ne temevano assai.

Alla fine di questo anno essendo tornato el papa a Roma, gli fu creato oratore Ruberto Acciaiuoli, ed a Napoli, in luogo di messer Francesco e di Iacopo che volevano tornare, fu eletto Niccolò Valori.