Storie fiorentine dal 1378 al 1509/VIII
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VIII.
Creato Innocenzio ottavo si suscitorono in Italia nuove guerre e tumulti; e la cagione fu che l’anno 1484 molti baroni e principi del regno di Napoli, sendo male contenti del re Ferrando, e con loro gli aquilani, si ribellorono da lui e furono presi in difesa da Innocenzio, el quale entrato in speranza potere per questo mezzo disfare el re e valersi di quello reame e disporne a arbitrio suo, tolse a soldo el signore Ruberto da Sanseverino per mandarlo contro al re. Questa impresa dispiacque assai a Milano e Firenze, e presentendo questo appetito del papa, giá innanzi avevano disposto, per ovviare all’ambizione de’ preti la quale sarebbe stata infinita, e per gli oblighi della lega, favorire con ogni sforzo el re Ferrando; ed ingegnatisi persuadere al papa non ci mettessi le mani, mostrando che quando facessi altrimenti erano obligati a risentirsene. Cosí el signore Lodovico, avendo mostro a’ viniziani quanto questo movimento fussi pernizioso a tutta Italia, gli aveva pregati che per conservare la quiete commune non volessino dare licenzia al signore Ruberto che andassi a’ soldi del papa, perché toltogli questo instrumento di mano, gli rimaneva poche arme da perturbare Italia. Loro avevano promesso farlo, di poi gli dettono pure licenzia, o por non si recare el papa inimico, o perché avessino caro le guerre di altri, standosi neutrali per guadagnarne, secondo la loro consuetudine.
Erano le cose del regno per le molte ribellione in grande disfavore del re e riducevansi in peggiore condizione per questa passata del signore Ruberto, ed in modo tale che sanza soccorso de’ collegati non aveva redenzione alcuna; ed in ogni forma se la guerra s’avessi avuta a fare tutta nel reame, si trovava in modo condizionato, che e’ rimedi sarebbono stati difficili. Parve adunque, per divertire l’omore, transterire la guerra in quello di Roma; e però si tolsono a soldo el signore Virginio, el conte Niccola da Pitigliano e gli altri signori Orsini; ed el duca di Calavria con parte delle gente della lega venne in terra di Roma, dove aspettando ingrossassi lo esercito per congiugnersi co’ signori Orsini che erano a Bracciano, el signore Ruberto spugnò el ponte Nomentano, dove a F’ racasso suo figliuolo fu guasta la bocca di una artiglieria, e alcune altre terre degli Orsini, in modo che Battista Orsino cardinale ed el signore Iulio e signore Organtino, contro alla voluntá degli altri di casa, si accordorno con molte terre col papa. Di che mancando alla lega la oportunitá di quegli luoghi, e vedendosi lo stato del re in pericolo manifesto, ed essere impossibile che sanza piú potente sforzo l’esercito della lega si congiugnessi a Bracciano col signore Virginio e col conte, e cosí loro e quello stato restando quasi a discrezione, el duca di Calavria per consultare questi inconvenienti ne venne alla volta di Firenze e fermosi a Montepulciano, chiese gli fussi mandati due degli otto della pratica per potere conferire con loro. Mandossi Giovanni Serristori e Pierfílippo Pandolfíni, e’ quali raportorono a Firenze come al duca pareva che per divertire la guerra del reame, si rompessi guerra a Perugia. Consultossi questo parere a Firenze ed a Milano, e finalmente si conchiuse non essere la salute vera di questo male, perché la impresa di Perugia era difficile, come aveva mostro la esperienzia dell’anno 1479; di poi perché bisognava dare al papa nel capo e nel vivo, cioè in terra di Roma; e però si risolverono ingrossare tanto lo esercito, che el duca si potessi congiugnere con gli Orsini; la quale cosa fatta, pareva la guerra essere vinta.
Mandossi adunche le gente disegnate; e benché e* milanesi fussino piú tardi, perché el signore Lodovico sborsava adagio e male volentieri, pure finalmente importunato assai dai fiorentini che a questo effetto vi avevano nel principio della guerra mandato imbasciadore Iacopo Guicciardini, fece el debito suo. Venne el duca con questo esercito a Pitigliano; e perché el signore Ruberto, e colle genti sue e col vantaggio de’ luoghi che erano in mezzo, gli impediva el passare, consumò quivi molti di; e di poi in sulla collina di Campagnano apiccorno quasi a sera uno fatto di arme, dove gli inimihi ebbono disavantaggio e perderono tuttavia di terreno, ed e’ nostri in modo gli urtorono, che se la notte non fussi sopravenuta. gli arebbono sanza dubio rotti. Alla fine sendo e’ nostri superiori di gente, passorono e vennono a Bracciano, e non potendo gli inimici stare alla campagna, recuperorono le terre perdute degli Orsini; le accordate con el cardinale si rivolsono, ed acquistoronne delle altre.
Aveva el papa giá innanzi, intendendo la lega farsi viva, tenuto, per mezzo del cardinale San Piero in Vincola, pratica col duca del Loreno che aveva nel reame le ragioni della casa di Angiò, che e’ passassi in Italia, promettendo favorirlo alla impresa del regno; la quale cosa appiccandosi, el duca si metteva in ordine venirne in Italia con qualche favore del re di Francia e de’ genovesi, ed aveva mandato imbasciadori a Firenze a pregare desistessino da’ favori del re Ferrando e di fare contro alla Chiesa, e lo aiutassino a questa impresa, ricordando le ingiurie ricevute dal re Ferrando, e’ benefici avuti dalla casa di Francia e la devozione antiqua e debita verso la Chiesa. Fu risposto loro mostrando quanto naturalmente la cittá era desiderosa di pace, e che per conservarla si erano piú anni innanzi collegati con Napoli e Milano, e che di poi, avendo el papa contro allo officio suo suscitato nuova guerra, erano stati constretti per osservare la fede ed edam per ovviare a chi voleva occupare quello di altri, pigliar insieme con Milano la difesa del re Ferrando; el papa non avere insino a quello di fatto menzione del duca del Loreno, anzi avere trattato la guerra come causa sua propria; ora questa essere una arte non per beneficare el duca, ma per valersi di quello nome e riputazione, e però la cittá non potere deliberare altro, infino non si chiarissi se cosí era da vero la intenzione del pontefice; e quando cosí fussi, che consulterebbe co’ collegati, ed in quello potessi l’onestá, si ricorderebbe delle obligazioni aveva con la casa di Francia.
Fu dato nella risposta loro questo appicco per non gli fare sdegnare, perché erano non solo oratori del duca ma etiam del re, con chi bisognava procedere destramente, rispetto a’ mercatanti; e però a Milano, che poteva procedere piu audacemente, fu data loro, quando esposono nel medesimo effetto, risposta piú gagliarda. F nondimeno questa venuta del duca del Loreno, la quale ogni di piú rinfrescava, dava terrore assai, ed in modo che Lorenzo de’ Medici, considerando quanto fussi accetta e grata alla cittá universalmente la casa di Francia ed e converso quanto fussi esoso al popolo el re Ferrando, entrato in paura non si recare troppo peso in sulle spalle, massime che questa impresa in beneficio del re era dispiaciuta a molti cittadini de’ principali, arebbe forse mutato proposito, se giá e’ viniziani, per non volere oltramontani in Italia, non si fussino accostati col re, quando una subita pace assicurò ogni cosa. Perché Innocenzio, veduto che e’ baroni erano nel regno in declinazione, e giá alcuni erano ritornati alla divozione del re, e la lega in modo al disopra in quello di Roma, che non vi stava drento sanza pericolo, subito per mezzo di inesser Gian Iacopo da Triulzi e di Ioanni Ioviano Fontano secretario del duca di Calavria, conchiuse pace colla lega: nella quale assettate le cose di Roma, furono e’ baroni e la Aquila lasciata a discrezione del re; fu provisto che el signore Ruberto non fussi piú suo soldato e si partissi de’ terreni sua; di Serezzana ed altri desideri particulari de’ Fiorentini non si parlò, con poca satisfazione della cittá.
Fatta la pace, el signore Ruberto licenziato prese la volta di Romagna per ridursi colle gente nelle terre de’ viniziani; la quale cosa sendogli negata, per non si tirare la guerra adosso, fu constretto lasciare le gente in mano degli inimici, andarsene con pochi cavalli a Ravenna e di quivi a Vinegia. El re, avute le nuove della pace, innanzi la publicassi fece subito pigliare el conte di Sarai, el Coppola, secretario, messer Empò, messer Anello ed alcuni altri che gli avevono occultamente trattato contro, e presone la debita punizione, trovò in loro di mobile el valsente di piú che trecentomila ducati; e di poi voltose a rassettare le cose sue, non avendo quasi ostacuio dagli inimici perché erano abandonati, gli spacciò tutti; e si fece cosí intero ed assoluto signore di quel regno, come ne fussi stato alcuno altro gran tempo innanzi; in modo che gli fu imputato a felicitá l’avere avuta questa guerra, per avergli data occasione di assicurarsi de’ baroni.
El papa, non gli sendo riuscita la prima impresa, si volse tutto a’ pensieri della pace e si congiunse assai colla cittá nostra, dando a Franceschetto, suo figliuolo bastardo, per moglie Maddalena figliuola di Lorenzo de’ Medici, e faccendo cardinale messer Giovanni de’ Medici suo figliuolo fanciullo, e intrinsicandosi tanto con Lorenzo, che Lorenzo mentre visse ne dispose sempre in ogni cosa a suo modo con sua grandissima riputazione. E perché nella conclusione non si era tenuto delle particularitá della cittá quello conto che ricercavano e’ meriti sua rispetto alle spese soportate nella guerra, e la cittá se ne era gravemente doluta col re e col signore Lodovico, e loro mossi dal giusto avevano promesso favorirla nella impresa di Serezzana, e si vedeva che la cittá desiderosa di recuperare le cose sue era per attendervi presto, e’ genovesi l’anno 1487 vennono a campo a Serezzanello per vendicarsi della ingiuria ricevuta in Pietrasanta; e perché el luogo era fortissimo e pareva inespugnabile co’ modi ordinari, cominciorono, per disegno d’uno ingegnere loro, una buca sotto terra per entrare sotto le mura del castello e messovi polvere da bombarde darvi fuoco, sperando che la potenzia di quella polvere avessi a aprire e rovinare el castello.
A Firenze inteso el subito assalto si avviorono le gente avavamo a Pietrasanta, e dettesi ordine condurre quante fanterie si poteva, e fumo mandati commessari Iacopo Guicciardini e Piero Vettori, e’ quali colle gente avevano se ne vennono presso a Serezzanello per tenere forti quegli di drento colla speranza del soccorso, e con animo non si affrontare insino a tanto non si ingrossassi el campo di gente si conducevano e di aiuti dovevano venire da Milano; quando e’ genovesi seguitando la cava e di giá sendo entrati sotto el rivellino del castello e seguitando piú innanzi, trovorono un masso molto duro, el quale era impossibile rompere sanza lunghezza di tempo, ed el tempo non si poteva aspettare per paura del campo inimico che tutto ili ingrossava. Dettono adunque fuoco, per l’impeto del quale el rivellino furiosamente si aperse e rovinò con morte di dodici o sedici uomini vi erano drento; el castello tutto tremò ma non si aperse, perché la cava non era ita tanto innanzi vi fussi sotto, ma si vedde che el disegno era vero e da riuscire; di che gli uomini di drento, impauriti di tanta furia, eominciorono a fare cenni di soccorso e di non si potere piú tenere; parve per questo anticipare el tempo e non aspettare piú, dubitando che se indugiavano, di non essere tardi. E la mattina sequente, che fu ei di di pasqua di resurrezione, assaltorono el campo inimico; appiccossi una zuffa bella e gagliarda, e finalmente e’ nostri furono vincitori con gran rotta e sbaraglio degli inimici, de’ quali rimase prigioni assai, e fra gli altri messer Gian Luigi dal Fiesco. Avuta questa vittoria, e’ commessari colle gente nostre si avviorno alla volta di Serezzana, dove, sendo ingrossato el campo di gente ragonese e sforzesche, si accamporono; e continuando e felici successi, avendo preso per forza San Francesco e battagliata assai e bombardata la terra, ed ordinandosi dare una altra forte battaglia, quegli della terra si dettono, salva la roba e le persone.
Questo fine ebbono le imprese di Pietrasanta e Serezzana, e cosí si terminorono con grande gloria della cittá e dello stato, e come parve allora, con gran sicurtá di Pisa e degli altri luoghi nostri da quella banda, e con grande ignominia de’ genovesi. E’ quali, risentitisi di queste perdite, con molte galee e legni l’anno seguente vennono a campo a Livorno, e per potere bombardare le nostre torre di mare, fondorono con grandissima difficultá in mare una travata di legni, in su’ quali condussono e piantorono le artiglierie. Trovavasi nella torre del Fanale commessario Piero Vettori, ed a Pisa, per el soccorso di Livorno, commessari Iacopo Guicciardini, Pierfilippo Pandolfini e Piero Capponi; e’ quali, benché lussino in dubio grande di perdere Livorno, pure, sendosi opposti e’ venti a’ genovesi, ingrossorono tanto che vi messono soccorso, ed e’ genovesi, veduto non potere fare piú nulla, si partirono.
L’anno sequente andandone a marito madonna Isabella figliuola di Alfonso duca di Calavria e moglie di Giovan Galeazzo duca di Milano, ed avendo a toccare Livorno per passo, si disegnò, rispetto al padre ed al marito ed alla congiunzione avevano colla cittá, fargli grande onore; e furono mandati commessari a Livorno a onorarla, Iacopo Guicciardini, Pierfilippo Pandolfini e Paolantonio Soderini, e’ quali, secondo la cominessione della cittá, la riceverono ed onorarono grandissimamente.
In questo medesimo tempo, sendo Nero Cambi gonfaloniere di giustizia ed avendosi a trarre la nuova signoria (la quale tratta non si può fare se non vi intervengono e’ due terzi de’ signori e de’ collegi), accadde che si trovorono fuori di Firenze tanti collegi, che non vi sendo el numero sufficiente, la tratta non si potette fare all’ora deputata, e sendosi spacciati cavallari per loro nelle ville, non vi fu el numero innanzi alla sera, ed allora si fece la tratta. Di che sendo sdegnato el gonfaloniere che sedeva, propose a’ compagni di ammunire tre o quattro de’ collegi che si erano partiti di Firenze senza licenzia, e perché non vi sarebbono concorsi se non avessino inteso piú lá, disse loro che cosí era la volontá di chi reggeva. Dispiacque assai questa cosa a Lorenzo de’ Medici ed a’ cittadini dello stato, parendo loro che se si introducessi in consuetudine che una signoria avessi ardire ammonire e’ cittadini sanza conferirne con chi governava, che lo stato loro fussi a cavallo in su uno baleno e che sei fave gli eaccierebbono un di da Firenze; e però come e! gonfaloniere fu uscito, fattasi pratica di questo caso, furono restituiti e’ collegi ammuniti, ed el Nero Cambi fu ammunito in perpetuo.
Ne’ medesimi tempi stando Italia tutta in pace e le cose della cittá in sommo ozio e felicitá, si prese forma riordinare molte cose di drento; e levata a’ settanta la autoritá di creare la signoria, perché le cose andassino piú strette, si elessono accopiatori che la facessino; e di poi perché pareva dovere nella cittá riordinarsi molte cose, e circa al creare e’ magistrati e circa alle gravezze e circa al Monte e circa alle gabelle, per fuggire la difficultá ed el tedio delle provisioni e de’ consigli, fu data pegli oportuni consigli autoritá e balia a diciassette cittadini, che potessino disporre di tutte le cose della cittá tanto quanto poteva tutto el popolo di Firenze; e furono creati detti diciassette cittadini, e’ quali furono questi: Lorenzo de’ Medici, Iacopo Guicciardini, Bernardo del Nero, Niccolò Ridoltí, Pitrfilippo Pandolfini, Giovanni Serristori, messer Agnolo Niccolini, messer Piero Alamanni. . . . . . . . . . . . . . . . .
Antonio di Bernardo. E perché Iacopo Guicciardini morí durante l’ufficio, fu eletto in suo luogo Piero suo figliuolo. Costoro riformorono molte cose della cittá, ed infra l’altre ordinorono di nuovo che le gabelle si pagassino di monete bianche che valevano el quarto piú delle altre, e cosí e’ sudditi le loro gravezze ced estimi, in modo che multiplicorono assai le entrate della cittá, ma con gran grido dell’universale e della plebe, alla quale doleva essere per questo ordine rincarate tutte le grascie e cose necessarie al vitto.
Nel medesimo anno sendo amalato gravemente papa Innocenzio e giá disperandosi la salute, furono eletti due imbasciadori per Roma che subito dovessino cavalcare, messer Guidantonio Vespucci e Piero Guicciardini; e la cagione fu perché operassino con ogni instanzia in nome della cittá che fussi ammesso in conclave come cardinale messer Giovanni figliuolo di Lorenzo de’ Medici, che era stato eletto cardinale da Innocenzio, ma per la etá non ancora publicato, né ricevuto el cappello; ma di poi, sopravenendo ex insperato la guarigione del papa, non andorono.
L’anno sequente 1491 sendo Lorenzo tutto vólto per la quiete publica alle arti della pace, e tra le altre cose, come dicono alcuni, in riformare lo stato e crearsi gonfaloniere a vita, volse lo animo a rassettare Pisa, la quale era in povertá grandissima e molta vota di abitanti e di esercizi; e parendogli da dare questa cura a’ consoli di mare, mutato el modo di eleggergli, che erano per squittino, ed el numero che erano cinque e l’autoritá che era ordinaria, ne fece fare a mano ne’ settanta, tre con autoritá amplissima, che furono Lorenzo Morelli, Filippo della Antella e Piero Guicciardini; e’ quali avessino a ordinare la riforma di Pisa, attendere a fortificare Livorno, armare legni grossi per potere navigare, come si so leva fare innanzi alle guerre co’ genovesi. Le quali cose sendo abozzate si interruppono per lo accidente di che di sotto si dirá. Fortificossi in quello tempo medesimo Serezzana, faccendosene un luogo quasi inespugnabile, giudicando avessi a essere uno passo che tenessi ogni grosso esercito volessi passare di Lombardia; muravasi ancora con uno disegno bellissimo e fortissimo el Poggio Imperiale e tutto el paese; e le cose nostre si ornavano di legge e di munizione.