Storie allegre/Pipì o lo scimmiottino color di rosa/XIV
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XIV.
Pipì ritrova finalmente Alfredo e parte con lui.
Intanto lo scimmiottino si persuadeva ogni giorno più che quella casina fosse fatta apposta per lui: e dicerto vi sarebbe rimasto per tutto il resto della vita, se una sera, come già sapete, mosso a compassione di un ciechino che domandava per carità un po’ di ricovero, non avesse aperto la porta al suo terribile persecutore.
― Potrei sapere ― disse Golasecca, appoggiandosi con le spalle alla porta che aveva richiusa dietro di sè ― potrei sapere chi è quel pietoso benefattore, che si è degnato di ospitarmi?
― Quel benefattore sono io ― rispose Pipì, alterando un poco la voce, per non essere riconosciuto.
― E voi come vi chiamate?
― Mi chiamo.... io!
― Questa voce la riconosco! ― masticò il cieco fra i denti; quindi soggiunse:
― Ditemi, mio caro benefattore, avete mai veduto per questi dintorni uno scimmiottino color di rosa?
― Degli scimmiottini ne ho veduti dimolti: ma non erano color di rosa: erano tutti di un colore verde e giallo, come la frittata cogli spinaci.
― Questa è la sua voce!... è lui dicerto! ― disse fra sè. Fra questi scimmiottini ne avete per caso conosciuto qualcuno che avesse nome Pipì?
― No!... anzi, sì.... Mi pare di averne conosciuto uno. Ma quel Pipì era una birba matricolata.... un vero malanno.
― Pur troppo! Figuratevi che io gli avevo fatto un monte di carezze e l’avevo perfino tenuto a cena con me, alla mia tavola.... e sapete come mi ricompensò? Mi ricompenso col saltarmi agli occhi a tradimento e coll’accecarmi, come se fossi un filunguello!
― Questo poi non lo credo.
― Non lo credete?
― No. Pipì era una birba: ma non aveva il cuore così cattivo, da commettere una simile scelleraggine.
― Eppure è lui che mi ha accecato.
― No, no, no.
― Sì, sì, sì.
― Credetelo, Golasecca, quello che vi ha accecato non sono stato io: sarà stato Nanni, il gatto di Moccolino.
― Ah! finalmente ti sei scoperto!... ― urlò il capo-masnada, con un grugnito di feroce allegrezza.
Pipì si pentì subito della sua imprudenza: ma oramai era tardi!
― Sono bell’e morto! ― disse girando gli occhi in cerca di una finestra per poter fuggire. Quella casina disgraziatamente non aveva finestre!
Intanto Golasecca, brancolando in qua e in là con le mani, riuscì a prendere lo scimmiottino: e dopo averlo acciuffato, lo legò con una catenella di ferro e se lo pose a cavalluccio sulle spalle.
Poi uscì di casa, e prese la prima straducola che gli capitò davanti ai piedi.
― Che mi conducete a morire? ― domandò il povero Pipì con un filo di voce che si sentiva appena.
― Fra poco te ne avvedrai! A buon conto, tu che hai gli occhi buoni, mi farai da guida lungo la strada.
― Dove volete andare?
― Dove le gambe mi portano. ―
Camminando giorno e notte, fecero un lunghissimo tragitto senza fermarsi mai; finchè una bella mattina si trovarono in una grossa città posta in riva al mare, e nel cui porto brulicavano cento e cento bastimenti a vapore.
Golasecca, sedutosi sopra una panchina lungo la spiaggia, cominciò a frugarsi tutte le tasche del vestito: ma non avendovi trovato nemmeno un soldo per comprarsi un boccone di pane, si volse verso Pipì che era mezzo morto di fame e di stanchezza, e gli domandò con garbo dispettoso:
― Dimmi, brutto scimmiotto, hai saputo mai far nulla nel tuo mondo?
― Vale a dire?
― Vale a dire, sai cantare qualche canzonetta? Sai sonare qualche strumento? Sai fare i salti e le capriole? Sai mangiare la stoppa accesa?
― La stoppa accesa ― rispose Pipì ― la lascio mangiare a voi. Io, però, so ballare benissimo la polca e so rifare con la bocca il suono della tromba e del violino.
― Mi basta questo ― disse Golasecca; e senza mettere tempo in mezzo, con quella sua vociona, che pareva una cannonata, si diè a gridare sul pubblico passeggio:
― Avanti, avanti, signori! Vedranno il celebre Scimmiottino color di rosa, il quale ebbe l’onore di ballare al cospetto di tutti i regnanti, nonchè, viceversa, delle principali Corti del genuino (voleva dir gemino) emisfero. Il mio scimmiottino, balla, canta suona e fa mille altre scioccherie, come potrebbe farle un uomo o qualunque altra bestia ragionevole. Avanti, avanti, signori! La spesa è piccola, e il divertimento è grande. ―
Dopo questa parlantina calorosa, ebbe principio lo spettacolo dinanzi a un pubblico numerosissimo, e, come si suol dire, molto scelto e intelligente. Il nostro amico Pipì non solo piacque, ma fece furore: tant’è vero, che gli spettatori, a furia di urlare e di gridar bravo, erano rimasti fiochi e senza voce.
Dopo finito lo spettacolo e sfollata la gente, che si accalcava d’intorno, Golasecca sentì toccarsi in un braccio; e voltandosi burbanzosamente, si trovò dinanzi un bel giovinetto, in abito di viaggiatore, che gli domandò con graziosa maniera:
― È vostro quello scimmiottino?
― È mio!... pur troppo è mio!
― Volete venderlo?
― Magari! Con tutto il cuore!
― Quanto ne volete?
― Mille lire; e se vi pare un prezzo capriccioso, sono qui per accomodarmi.
― Eccovi mille lire, e lo scimmiottino è mio. ―
Quando il giovinetto ebbe pagato, si volse allo scimmiottino dicendogli:
― Non mi riconosci più?
― Altro se vi riconosco, mio caro signor Alfredo!... Vi riconosco, e vi voglio sempre un gran bene. —
E il povero Pipì, dalla gran contentezza che sentiva nel cuore, cominciò a piangere come un bambino.
Quella sera medesima, il giovinetto Alfredo e lo scimmiottino (rivestito tutto da capo a’ piedi, s’intende bene, come un bel signore) partirono insieme, sopra un bastimento della Società Rubattino, per un lungo viaggio d’istruzione.
E quanto a me, confesso il vero, non mi farebbe nessuna meraviglia se, un giorno o l’altro vedessi annunziato un racconto con questo titolo: Il Viaggio intorno all’Italia raccontato dallo Scimmiottino color di rosa. Negli annali della stampa, non sarebbe questo il primo caso di qualche scimmiotto, che ha la sfacciataggine di far gemere i torchi, e, occorrendo, anche i poveri torcolieri.