Storie allegre/L'omino anticipato/VII
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VII.
La giubba a coda di rondine.
Finita la villeggiatura, il bravo Gigino dovè presentarsi agli esami per essere ammesso alla terza ginnasiale.
A sentir lui, era sicurissimo di uscir vittorioso: ma invece, come suol dirsi, rimase schiacciato.
Credete forse che se ne accorasse?
Nemmeno per sogno. Anzi, quando il babbo e la mamma lo rimproverarono per aver fatto una meschina figura e per aver perduto inutilmente un anno di scuola, volete sapere come rispose?
Rispose così:
— Che cosa fa un anno di più o un anno di meno? Sono forse un vecchio? Ho appena nove anni, e non mi manca il tempo per ricattarmi. —
Sissignori! Quel monello, quando era spinto dalla vanità di vestirsi da giovinotto, si cresceva gli anni a manciate quando poi voleva scusarsi della poca voglia di studiare, allora, a lasciarlo discorrere, ridiventava un bambino di nove o dieci anni appena.
Per altro, trovandosi qualche volta solo, andava rimuginando col pensiero la storia burrascosa del famoso cappello a tuba, la risata delle galline per il suo golettone inamidato, gli scapaccioni avuti dal Biondo, sebbene il Biondo non sapesse la scherma, la cascata da cavallo con l’accompagnamento d’un bel corno in mezzo alla testa, e le fumate di quel sigaro traditore, che lo aveva costretto a fare i gattini.... modo pulito per non dire che lo aveva costretto a rimetter fuori alla luce del sole tutta la colazione divorata con tanto gusto poche ore prima.
E ripensando a tutte queste cose, e facendo nella sua testina un piccolo calcolo a mezz’aria, venne finalmente a capacitarsi che questa vanità di atteggiarsi a giovinotto prima del tempo, gli aveva fruttato più dispiaceri, che vere consolazioni di amor proprio soddisfatto.
E giurò sul serio di voler mutar vita e di rassegnarsi oramai a rimaner ragazzo fino a tanto che il calendario non gli avesse regalato qualche anno di più.
E mantenne il giuramento per parecchi mesi.
Ebbe in questo periodo di prova molte tentazioni: ma riuscì a spuntarle, e rimase sempre padrone del campo.
Ma pur troppo una sera....
Vi racconterò quest’ultima disgrazia di Gigino, ma ve la racconterò con parole quasi allegre, per non farvi piangere.
Una sera, in casa sua, c’era festa di ballo.
Gigino, non volendo sfigurare di fronte agli altri, andò per tempo a chiudersi in camera: e li si pettinò, si lisciò, e si agghindò, come un vero figurino di Parigi. Aveva una bella camicia bianca, col goletto rovesciato, e una giacchettina di panno nero, che gli tornava a pennello.
Quando sentì che il pianoforte accennava i primi preludi della polka e della mazurka, corse subito.... ma prima di entrare in sala, fece capolino alla porta e vide....
Vide un brulichio di cravatte bianche e di giubbe a coda di rondine.
La giubba a coda di rondine era stata sempre la sua gran passione, il suo sogno dorato.
Prova ne sia che una volta, essendo venuto il sarto a riportargli una giacchettina di velluto, gli domandò in tutta segretezza:
― Scusi a questa giacchettina non si potrebbero attaccare di dietro due falde?
― Volendo, si può far tutto: ma le pare che la giubba sia un vestito adattato per i ragazzi della sua etå?
― O quanti anni bisogna avere per mettersi la giubba?
― Per lo meno, diciotto o vent’anni.
― Mi pare una bella prepotenza! Dunque, perchè siamo ragazzi, dovremo sempre vestire a modo degli altri?...
― Arrivedella, sor Gigino. ―
E il sarto se ne andò scrollando il capo e mordendosi i baffi.
La sera della festa di ballo, il nostro amico sentendosi rinfocolare la passione per la giubba, almanaccò col suo cervellino di grillo questo bellissimo ragionamento:
― Se mi mettessi la giubba del mio fratello Augusto?... Augusto è a Roma.... e fino a lunedì non ritorna. La sua giubba mi sta benissimo.... un po’ lunga, se vogliamo, un po’ lunga.... ma in mezzo a quella folla di ballerini e di ballerine, chi se ne avvede?
E lì, fatto un animo risoluto, entrò nella camera del fratello, prese la giubba e se la infilò.
Figuratevi quando fece la sua comparsa in sala! Scoppiò una risata, che non finiva più. Ridevano tutti: anche il pianoforte.
Una signorina, fra le altre, rise tanto e poi tanto, che venne presa da un singhiozzo convulso, e fu portata fuori della sala quasi svenuta.
Allora nacque un mezzo scompiglio.
Il pianoforte smesse di sonare: le coppie che ballavano, si sciolsero: la quadriglia rimase a mezzo, e tutti si affollarono per conoscere la causa di quello svenimento.
― Povera giovinetta! Ha riso troppo! e il troppo ridere qualche volta fa male! — dicevano alcuni.
― E il motivo di quel riso convulso? ― domandavano altri.
― La giubba del sor Gigino.
― Vediamola questa famosa giubba.
― Vediamola davvero. ―
E lì tutti dintorno a Gigino; il quale impermalito di far da zimbello ai curiosi, dette in uno scoppio di pianto e fuggì dalla sala come un gatto frustato.
Da quella sera in poi, Gigino, messe il capo a partito, si liberò dalla ridicola passione di vestirsi a uso giovinotto, prima del tempo.
E fece bene: perchè i ragazzi, vestiti da ragazzi, figurano molto più di que’ marmocchi, che hanno la pretesa di mascherarsi da omini anticipati.