Storie allegre/Chi non ha coraggio non vada alla guerra/VI

Chi non ha coraggio non vada alla guerra - VI

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VI.


Indovinate un po’, ragazzi, quale fu la bellissima idea (dico bellissima, per modo di dire) che balenò alla mente di Leoncino, per dare una gran prova del suo coraggio e per riguadagnarsi il grado di generale?

Fu quella di sfidare i suoi cugini a chi avesse fatto il salto più alto e più pericoloso. Figuratevi che bel giudizio!

— Io — disse subito Arnolfo scommetto di saltare gli ultimi cinque scalini della scala di casa.

— Bella bravura davvero! — replicò Leoncino, con una spallucciata di disprezzo. — Quello è un salto che lo farebbe anche una pulce.

— E io scommetto di saltare dalla finestra del fienile — disse Raffaello. [p. 139 modifica]

― E noi, se vuoi scommettere, facciamo con te a chi salta meglio la gora del mulino ― dissero Gigino e Asdrubale, i due soldati di fanteria.

― Io poi scommetto di saltare una buccia di fico ― disse ridendo Tonino, capitano d’ambulanza e nel tempo stesso ragazzino pacifico e tranquillo, che faceva tutte le sue cose con flemma, senza riscaldarsi mai di nulla; prova ne sia, che non s’era nemmeno accorto di quella memorabile scena, in cui il suo generale in capo, dopo essere stato degradato, aveva dovuto consegnare la sciabola in presenza a tutta la soldatesca.

Quando ognuno dei ragazzi ebbe detta la sua, Leoncino si fece avanti e domandò con aria baldanzosa di sfida:

― Chi di voi si sente il coraggio di saltare giù nell’orto dalla terrazza del primo piano?

― Io no davvero: c’è da rompersi una gamba ― rispose uno dei ragazzi.

― Nemmeno io; c’è da spaccarsi la testa — rispose un altro.

― Della testa me ne importerebbe poco ― soggiunse Arnolfo ma il male gli è che ci sarebbe da strapparsi i calzoni, e per l’appunto oggi ho i calzoni nuovi! ―

Leoncino sorrise allora d’un risolino maligno e canzonatore, e dopo aver dato un’occhiata di compassione a’ suoi cugini, disse con aria di smargiasso:

― Dunque voialtri quel salto non avete il coraggio di farlo? Eppure io lo farò, e quando l’avrò fatto, vedremo se continuerete a mettermi in ridicolo.... e poi, perchè? perchè l’altro giorno all’improvviso ebbi paura di una tartaruga. Dicerto, gua’, se avessi saputo che era una tartaruga, non sarei scappato. [p. 140 modifica]

— O per chi l’avevi presa? — domandò Arnolfo ridendo. — L’avevi forse presa per un elefante?...

— Non dico un elefante.... però, quella brutta bestia, a vederla lì fra l’erba, mi fece una certa impressione.... un certo non so che.... Ma questo, siamo giusti, non vuol dire che in quel momento non avessi coraggio....

— Tutt’altro: — replicò Arnolfo col solito risolino. — vuol dire solamente che avesti paura!

— Paura io? Per tua regola, a coraggio, vi rivendo quanti siete.

— Canta, canta, canarino!

— Arnolfo, non offendere!

— Io non t’ho offeso.

— Mi hai detto canarino.

— Canarino non è un’offesa; canarino gli è un uccellino con le penne gialle.

— Ma io le penne gialle non ce l’ho — gridò Leoncino, riscaldandosi.

— Se non le hai, le potresti avere. —

A quest’ultima uscita di Arnolfo, tutti i suoi fratelli dettero in un solennissimo scoppio di risa.