Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro primo/Capo primo
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CAPO PRIMO
(Dall’Olimp. IX, 2 alla LXVIII, 3.)
I. Venuta de’ Calcidesi in Sicilia. Parte di loro, condotti da Perière, si fermano in Zancle; parte condotti da Antinesto, in Reggio. II. Prima venuta de’ Messenii. Costoro restano in Reggio, ed i Calcidesi in Zancle. III. Seconda venuta dei Messenii. Reggio rimane repubblica aristocratica. IV. Terza venuta de’ Messenii: occupano Zancle. V. Magna Grecia. Ultima Esperia. VI. Guerra tra le repubbliche Italiote. Eccidio di Sibari. Battaglia della Sagra. VII. Floridità della repubblica di Reggio. Uomini illustri. Caronda da Catana, legislatore de’ Reggini. Aristone ed Eunomo.
I. È fama che l’ateniese Teocle, circa quattrocento anni dopo l’eccidio di Troja, (Olimp. 5, 3. av. Cr. 758.) navigando alla ventura fosse capitato sulle rive orientali della Sicilia. Della cui aprica e deliziosa positura sì fattamente s’innamorò, che tornato in suo paese si era industriato di spingere gli Ateniesi a dedurre qualche loro colonia in quell’isola. Ma non gli fu dato orecchio; ed egli si trasferì nell’Eubea, ove trovò i Calcidesi assai disposti a seguirlo. Erano allora costoro affaticati da una straordinaria e micidiale sterilità, e perciò decimatisi volontariamente trassero in Delfo a votarsi ad Apollo. Ed interrogato l’oracolo intorno alla loro futura sorte, n’ebbero che cercassero altra lontana terra, ove troverebbero riposo. Per tal ragione la proposta di Teocle giunse loro accettissima ed opportuna.
E messisi in mare, dopo un felice cammino pervennero alla desiderata isola di Sicilia, e presero terra in Nasso. Donde poi allargatisi in Càtana ed in Leontini, vennero dopo molti anni (Olimp. 9, 2. av. Cr.743.) a collocarsi nelle due belle città dello stretto Zancle e Reggio, città opiche abitate da’ Siculi e dagli Àusoni. Di que’ Calcidesi che ristettero in Zancle era condottiero Perière: guidava Antinesto quelli che dimorarono in Reggio. A somiglianza dell’Euripo, che partiva la loro patria dal continente, dissero i Calcidesi ancora Euripo lo Stretto siculo, ed Eubea una città da loro fondata in Sicilia.
II. A quel tempo medesimo anche i Messenii capitavano in queste parti; della cui venuta narrerò brevemente la cagione. I Lacedemoni ed i Messenii contrastavansi il possesso del tempio di Diana situato in Limni su’ comuni confini. Pretendevano i primi di averlo anticamente fabbricato sul loro territorio, ed allegavano in prova i loro annali, ed i poeti. I secondi all’incontro producevano a favor loro l’antico spartimento del Peloponneso fatto tra gli Eraclidi, in forza di che il suolo, dove su poi edificato il tempio, spettava alla Messenia: e ne facevano testimonianza le iscrizioni vetustissime incise in marmo ed in bronzo. Non vi fu modo di comporre le discrepanze, ed i due popoli a vicenda si offendevano sempre che ne veniva loro il destro. Tèleclo, re di Lacedemone, volle una volta imboscarsi presso il tempio controverso con una mano di giovani, travestiti da donne. Era loro scopo cacciarsi addosso a’ Messenii che andavano al tempio; ma questa impresa ebbe effetto contrario al proposto fine; perciocchè i Messenii, avuta spia dell’aguato, si prepararono al cimento, e cacciandosi improvvisi su’ nemici, non uccisero solamente gran parte di essi, ma lo stesso Teleclo perdette vita in quella zuffa. Un’altra volta, mentre le vergini lacedemoni erano raccolte nel medesimo tempio, furono sopraggiunte da’ giovani messenii, i quali non pur brutalmente le violarono, ma diedero morte a que’ Lacedemoni ch’eranvi accorsi ad ajutarle.
Di così atroce scandalo andaron per tutto le novelle; e la parte più sana de’ Messenii, considerata la sacrilega offesa recata a Diana, consigliava si trovasse modo di ripararvi, e di dare a’ Lacedemoni una competente soddisfazione. Ma ciò non gradiva a quei Messenii, ch’erano stati motori ed autori dell’insulto; a’ quali faceva spalla il maggior numero de’ loro giovani concittadini, per l’odio vivo ed inveterato che nutrivano contro la razza spartana. Non rimaneva più dunque agli offesi che procacciarsene vendetta colle armi. A ciò rimonta il principio della prima guerra messenica.
Allora que’ Messenii, ch’eransi adoperati a terminar la discordia con un’onorevole riparazione, furon costretti da’ loro concittadini a prender l’esilio. E mestamente uscirono dalla patria loro, e ristrettisi in Maeisto nella Trifilia, mandarono ad interrogar l’oracolo di Apollo in Delfo, per sapere qual via di salute loro rimanesse dopo tanta dolorosa dipartita. E n’ebbero: seguissero i Calcidesi avviantisi all’ausonica Reggio: ivi cercassero la protezione di sua sorella Diana, che vi aveva un antico e celebrato tempio. Nè dubitassero della lor sorte; anzi restassero contenti di aver potuto causare l’abisso, in che di corto sentirebbero sprofondata Messene. Ubbidirono gli esuli Messenii a’ consigli dell’oracolo, e quando furono a Reggio, trovarono che da poco vi erano già arrivati i Calcidesi. Non pare però che queste due genti sieno durate lunga pezza unite nella nuova dimora; e se ci è ignota la causa che le divise, la storia ci fa inferire che in Reggio la razza messenica sia prevaluta alla calcidica, mentre per contra sia rimaso intero a’ Calcidesi il dominio di Zancle.
III. Quando espugnata Itòme da’ Lacedemoni, e morto miseramente il re Aristodemo, (Olimp. 14, 2. av. Cr. 723.) i Messenii furono astretti alla fuga, parte di loro ricoveraronsi in Naupatto, asilo loro accordato dagli Ateniesi; e parte condotti da Alcidàmida si diressero a Reggio, ove già una loro colonia prosperamente si aggrandiva. Aumentati così di numero e di potenza, non riuscì loro difficil cosa il rendersi superiori agl’indigeni; de’ quali parte si confuse quietamente nella moltitudine della gente nuova, parte si ritrasse ricalcitrante nelle terre interne e montane, per conservare intatta la propria indipendenza e nazionalità. Reggio fu riordinata da’ Messenii nella forma di repubblica, che le era venuta dagli Aurunci; salvo alcune mutazioni per conformarne lo stato a’ costumi della nuova colonia. Fu posto un Supremo Magistrato, rappresentato da un Egèmone (che val Duce), da eleggersi sempre fra la gente messenica nella famiglia degli Anassili. Poichè è pur noto che nelle prime costituzioni delle città italiche occupava sempre il primo Magistrato della repubblica una famiglia che soprastesse alle altre, e discendesse da’ primi conquistatori. E gli altri maggiori uffizii pubblici erano anche tenuti da alcune famiglie principali, in cui sole stava il diritto dell’eligibilità; mentre altri ordini di cittadini avevano il diritto di eleggere, non quello di essere eletti.
Un Consiglio di mille cittadini, tratti per censo, aveva la potestà legislativa della repubblica reggina, e vegliava il governo. Così di giorno in giorno le greche colonie più che radicavansi sul suolo italico e siculo, più si andavano allargando in superficie. I Messenii si erano messo nell’animo di trapiantar nell’Esperia quella patria che la sventura, e la prepotenza lacedemone aveva loro distrutta. Oscura è interamente la storia di Reggio dalla venuta di Alcidamida sino al primo Anàssila; nè ci è possibile indovinare in qual tempo i Messenii si abbiano preso lo stato a scapito de’ Calcidesi; i quali però più non appajono nella storia reggina dopo Antinesto. Da’ fatti del primo Anassila rileveremo lucidamente quanto la reggina Repubblica, sotto la miglior forma datale da’ Messenii, sia andata sempre vantaggiandosi di prosperità e di potenza; il che ci è argomento che niuna molestia o intestina o estrinseca abbia perturbalo la cosa pubblica sino alla tirannide di Anassila il giovine.
IV. Rinciprignita poscia la guerra tra’ Lacedemoni e Messenii, ebbe sventurato termine colla piena disfatta de’ secondi, e colla espugnazione d’Ira. (Olimp. 27, 2. av. Cr. 671.) Quanti Messenii sopravvissero alla mina della patria, tollerar non potendo tanta jattura, nè rimanersi in que’ desolati luoghi, ove già sorgeva fiorente Messene, determinarono d’uscirne, e correr nuova fortuna. Tutti si accinsero alla partenza, eccetto i vecchi e gl’inetti alle armi, i quali si ricoverarono nell’Arcadia. Nè gli esuli sapevano ancora che farsi, e taluni consigliavano la via di Zacinto, donde potrebbero dare cotidiane molestie agli odiati vincitori. Ma in questi travagli, Anassila il vecchio li mandava invitando che si conducessero a lui verso lo stretto di Sicilia. Anassila, primo di questo nome, era il quarto Egemone messenio della Repubblica di Reggio, a contar da Alcidamida, del cui nipote era figliuolo. Presero l’invito i Messenii con alacre e grato animo; e quando, capitanati da Gorgo e da Manticlo, figliuoli del valoroso Aristòmene, vi furono giunti, manifestò loro Anassila com’ei fosse in perpetua guerra co’ vicini Zanclei. Disse loro che se gli fossero ajutatori ad oppugnar Zancle, egli n’avrebbe loro ceduta la signoria, e fermata a comune sicurtà una forte alleanza. Da costoro fu approvato il consiglio di Anassila, ed ogni cosa messa in punto per la spedizione contro quella città.
Zancle fu attaccata per terra da’ Messenii sbarcativi non lungi, da Anassila per mare. E strenuamente si difesero gli assaliti; ma quando si accorsero non poter più resistere a tanta serra de’ nemici, (Olimp. 27, 3. av. Cr. 670.) che aveano già mandato sossopra gran parte delle mura, si rifuggirono ne’ tempii, ed i vincitori irruppero da ogni banda nella città abbandonata. Anassila, a quella prima furia, aveva ordinato a’ suoi di trucidar senza pietà quanti Zanclei venissero loro alle mani; ma Gorgo e Manticlo, a’ quali quel comando pareva atrocissimo ed inopportuno, il pregarono che ciò non avvenisse. Perciocchè si sarebbe presunto aver voluto i Messenii prendere su’ Zanclei quella vendetta che non potevano sui Lacedemoni abborriti. Laonde furono i Zanclei invitati ad uscirsi de’ tempii, sotto la data fede che non sarebbero, come che sia, cruciati; che anzi viverebbero uniti a’ Messenii come fossero gli uni e gli altri un popol solo. Dopo ciò Anassila co’ suoi fece ritorno a Reggio, e co’ nuovi Messenii stanziatisi in Zancle strinse un’alleanza che durò lungo tempo con reciproca utilità. Così i Messenii dominavano ormai sulle due rive dello stretto.
V. Da questo tempo ad Anassila il giovine è quasi del tutto ignota la storia di Reggio; e resta solo che si contino taluni fatti spiccati, da’ quali nondimeno apparirà quanto andassero sempre migliorando le condizioni della Repubblica Reggina, e come avesse di buon’ora cominciato ad emulare le vicine repubbliche di Sibari, di Crotone e di Locri; le quali forse primeggiavano allora sopra tutte le altre della italica regione.
Erano già così diffuse nella Magna Esperia le colonie greche, che la nativa lingua osca, tuttochè restasse lingua parlata, pure nelle scritture e nelle lapidi cedeva il luogo alla greca. E allo stesso nome di Magna Esperia veniva agevolmente sostituito quello di Magna Grecia; argomento della preponderanza che già vi avevano grandissima i greci coloni. Quello di Esperia rimaneva alla Spagna, a cui i Greci, reputandola ultima terra occidentale, l’avevano già trasmesso da più tempo. E poichè all’Italia durava ancora quel nome, benchè rado, per non confondere le due regioni, la Spagna fu detta Ultima Esperia.
Per far poi distinzione dagl’indigeni abitatori a quelli di greca provenienza, i primi erano indicati col nome d’Itali, e con quello d’Italioti i secondi.
VI. Avevano il primato tra le Repubbliche Italiote Sibari e Crotone: ma Sibari aveva raggiunto quell’apice di civiltà, dove comincia la mollezza e la corruzione, che si traggono seco la decadenza e la ruina. A quell’altezza Crotone non era ancor giunta, ma vi si appressava robusta, e calda di gioventù e di potenza. Per questo le due repubbliche erano divenute rivali; Sibari non voleva patire che una nuova repubblica le contrastasse il primato; e Crotone già meditava la depressione di quella, che le si poneva in mezzo ad impacciarle il cammino. Nè mancano appicchi quando si vuol venire a contesa; e si uscì alla campagna. Conduceva Teli i Sibariti, Milone i Crotoniati. Si azzuffarono i due popoli, e con ostinata perseveranza si combatterono; ma Sibari fu sterminata e Crotone soprastette sola, temuta e grande sulle altre repubbliche Italiote. (Olimp. 68, 1. av. Cr. 508.) E fu splendida di scienze, di arti, di traffichi: ed ivi ebbe glorioso principio la scuola pitagorica. La quale, insaporata nel più bel fiore dell’antica sapienza, aveva informato di salutari precetti le istituzioni civili. Dalle quali provenne poi tanta stabilità e si perfetta educazione nell’ordine morale e politico alle Repubbliche italiote, sinchè la cosa pubblica fu governata da’ Pitagorici e loro seguaci.
Ma la fortunata Crotone era diventata superba ed ambiziosa, e, ad imitazione di Sibari, non restava d’inquietare le vicine repubbliche, per impedire al possibile che prosperando ed ingrandendosi, le tornassero pericolose. Alleata con Metaponto, Pandosia e Tempsa, meditava Crotone di deprimere le crescenti repubbliche di Siri, di Locri e di Reggio. E già cominciando da Siri, che n’era la più debole, le avea mosso guerra, ed espugnatala dopo lungo e pertinace assedio. I Siriti avevano chiamato a lor sussidio i Locresi; e questo fece che Crotone cogliesse pretesto di accapigliarsi con Locri. Assai dispari però era lo stato delle due repubbliche; onde i Locresi inferiori di forze, chiesero, ma indarno, ajuto agli Spartani, da’ quali non ebbero altro, se non che si raccomandassero a Castore e Polluce. Non per questo si scorarono i Locresi, ma rivoltisi a’ Reggini ch’erano con loro collegati, n’ebbero pronto soccorso. E facendo le due repubbliche amiche pii sacrifizii a Castore e Polluce, ne dedussero favorevoli augurii. Perilchè, affidate al patrocinio di queste deità, ed alle proprie forze, corsero risolute alla pugna. La quale fu accanita quanto può dirsi; ma la giornata arrise al coraggio disperato de’ Locresi; il cui numero non era che di quindicimila, ed a questo si aggiunsero settemila Reggini, condotti da Lisistrato. Gli uni e gli altri, facendo prove da dirsene, conseguirono vittoria sopra centomila Crotoniati, cui soprantendeva Leonimo; i quali infemminiti dal vivere agiato e voluttuoso, insolenti per fortuna, e per insolenza mal usati alle armi, reputavano loro dritto il vincere, e debito de’ nemici l’esser vinti. Fu così straordinaria e prodigiosa questa battaglia guerreggiata sul fiume Sagra, (Olimp. 68, 3. av. Cr. 506.) che la facile credulità degli antichi ci narra: un’aquila essersi in quel dì veduta volare sul campo de’ Locresi durante l’azione; due divini guerrieri, giganti della persona (Castore e Polluce) aver combattuto per quelli; la nuova della vittoria essere volata nello stesso giorno a Corinto, a Sparta, ad Atene. E queste dicerie erano messe in credito da’ Crotoniati, per dare intesa non essere stati vinti da umana, ma sì da divina virtù. Grandissimi furono gli effetti della Battaglia della Sagra. La repubblica Tempsana che, confederata a Crotone, pugnava contro i Locresi, fu da costoro corsa e soggiogata: ed i Crotoniati così rimasero accasciati, che non ritornarono mai più a quella temuta preminenza, cui li aveva sollevati la passata loro fortuna. Sulle sponde della Sagra, al luogo della memorabile battaglia, i Locresi ed i Reggini innalzarono un tempio agli Dei protettori Castore e Polluce, in rendimento di grazie, ed a perpetuo monumento di tanta loro vittoria. Questi numi furono poi sempre annoverati fra le principali divinità tutelari che abbiano avuto tempii e culto in queste due floride repubbliche.
VII. La Repubblica di Reggio era a que’ dì famosa e celebratissima per arti, per lettere, e per invidiata libertà di terreni, ed assai procacciante in commerci. Ebbe chiarissimi cittadini, Clearco, e Pitagora, scultori; Ibico, e Teàgene, poeti; Elicaòne, e Pitio, filosofi pitagorici. Caronda, esule da Catana, che fu accolto da’ Reggini con dimostrazioni di riverenza, dettò loro un complesso di leggi, attinte alle fonti pitagoriche; che poi valsero a parecchie altre repubbliche, ed ultimamente a quella di Turio, sorta sulle rovine dell’antica Sibari. Ed è a locarsi ancora a questi tempi Aristone, musico reggino, del quale si conta una disfida avuta in Delfo ne’ giuochi Pitii col musico locrese Eunomo: e fu questa. Aristòne ed Eùnomo si erano disfidati al canto sulla cetra. Il primo teneva per fermo che a lui, come reggino, non poteva mancar la vittoria; perchè i Reggini, avendo origine da’ Calcidesi venuti da Delfo, erano cari ad Apollo. Soggiungeva al contrario Eunomo, non poter essere superato nel canto da un competitore, nella cui patria anche le cicale erano mute. Cominciata la gara, già Aristone era presso ad uscir vittorioso dell’avversario, alla cui cetra si era rotta una corda. Ma una cicala in quel subito, posandosi sullo strumento di Eunomo, e cantando, sì acconciamente il soccorse, che Aristone restò vinto.
Ci è oscuro il nome di que’ Messenii, che tennero il supremo grado nella repubblica per tutto il tempo che è dalla vigesimottava olimpiade alla settantesima. Solo è certo che in quest’ultima era Egemone della Repubblica Anassila il giovine figliuolo di Cretineo. E questo Cretinèo aveva forse tenuto anteriormente il medesimo ufizio.