Storia delle scienze agrarie/II/XIV

Volume secondo
Nasce l’estimo agrario

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Volume secondo
Nasce l’estimo agrario
II - XIII III


Dalla descrizione della villa all’analisi dei valori fondiari

L'esame degli elementi da cui dipende il valore economico dell'azienda agricola, la giacitura e la qualità dei terreni, l'ampiezza e la funzionalità dei fabbricati, la prossimità di vie d'acqua, strade, centri abitati e grandi mercati, costituisce, lo abbiamo verificato nel corso del nostro itinerario, una costante del pensiero agronomico classico. Introdotta da Varrone, arricchita di elementi nuovi da Columella, dal De re rustica l'analisi dei criteri di valutazione delle proprietà rurali occupa, fino all'alba della rivoluzione agraria, un posto cardinale in tutti i trattati di agronomia, nel cui disegno costituisce, secondo il modello di Columella, il primo argomento dell'esposizione dello scibile agrario. Alla regola abbiamo constatato ottemperare Crescenzi, Gallo e Heresbach, fino a Olivier de Serres, che ricalcando il paradigma tradizionale ha composto, anche nell'analisi degli elementi costitutivi della proprietà fondiaria, il quadro più ampio tra quanti sono stati proposti dai maestri della scienza della coltivazione.

Nello scenario economico del Diciottesimo secolo, mentre le forze che trasformano la società europea propongono alla scienza interrogativi e istanze sempre più complesse, e bisogni nuovi determinano il differenziarsi, nel corpo del sapere agronomico, di una molteplicità di discipline nuove, le esigenze fiscali degli organismi statali, i cui compiti si moltiplicano imponendo di accrescere le entrate, sospingono la maturazione di una metodologia funzionale per la valutazione delle proprietà rurali: l'estimo agrario.

La nuova disciplina nasce dalla confluenza in un alveo coerente dei criteri di valutazione formulati dalla letteratura agronomica e delle conoscenze empiriche che hanno guidato, nei secoli, amministratori pubblici e periti di campagna nella stesura e nell'aggiornamento dei catasti. L'Italia, è stato scritto, è patria della civiltà del catasto, che definito, ancora, libra o tavola, è stato assunto dai comuni medievali a fonte sistematica, seppure non primaria, del prelievo fiscale. Dei catasti comunali una schiera di studiosi ha evidenziato la funzionalità, dimostrandone altresì la straordinaria ricchezza come fonte di notizie per lo studio della società medievale. Delle indagini sui monumentali codici catastali dell'Età di mezzo ha tracciato una sintesi penetrante Renato Zangheri. La letteratura sull'argomento dimostra, peraltro, che una pratica tanto capillare e longeva non ha prodotto un solo testo metodologico. Affidata ai pratici, la grande esperienza fiscale non ha lasciato un corpo di dottrine e metodologie: il lascito di operatività pratica che ha consegnato alla vita civile della Penisola si concretizza nell’ultima esperienza catastale dell’Italia preunitaria, la realizzazione del grande catasto che l’Amministrazione asburgica promuove nel Regno lombardo - veneto. Sarà l’ultimo, e il più insigne, della lunga serie dei catasti italiani: attraverso l’imponente opera di misurazione e valutazione la tradizione catastale assicura il proprio legato alla sommatoria di istanze e di conoscenze che si compongono nella nuova disciplina estimativa.

Insieme alla tradizione agronomica e alla consuetudine catastale, contribuiscono alla nascita della nuova disciplina, apportando contributi specifici all'alveo comune, tre branche diverse dello scibile: l'agrimensura, il diritto, la matematica. L'agrimensura, applicazione della geometria alla misurazione dello spazio rurale, ha conosciuto splendori a lungo ineguagliati nell'età di Roma, civiltà di conquistatori e di colonizzatori, adusi ad imprimere ai territori assoggettati l'impronta del proprio dominio riplasmando la maglia della proprietà fondiaria, la rete delle strade, quella di emungimento delle acque, misurando accuratamente le campagne a fini civilistici e fiscali. Costituiti in un'autentica scola, tutrice di una severa disciplina professionale, come ha evidenziato Oscar A. Dilke, i gromatici romani sono stati autentici specialisti della misurazione del territorio, in grado di disegnare la pianta di una città quanto di tracciare la centuriazione di una regione agricola, di progettare il percorso di una strada militare quanto di definire il corso di un canale di irrigazione.

La seconda delle discipline che si compongono nel nuovo contesto della valutazione delle proprietà, il diritto, impone le proprie regole a ragione della molteplicità dei vincoli reali che la società del Settecento ha ricevuto in eredità dal Medioevo, vincoli fondiari, contrattuali, fiscali, successori. Tra i primi, le inconfondibili sopravvivenze feudali: enfiteusi, censi, livelli, esenzioni fiscali. Tra i secondi, la galassia dei rapporti di concessione, le cento forme di mezzadria, quelle di affitto e le versioni promiscue dei due istituti. Tra i terzi il caleidoscopio delle decime; tra gli istituti successori, al primo posto per le remore che impone il fidecommesso. Assoggettata a uno o a più vincoli diversi, ciascuno dei quali, conseguenza del principio medievale della personalità del diritto, disciplinato dalla legge del costitutore originario, una proprietà non vale tanto per i propri caratteri intrinseci quanto per il grado di disponibilità che i vincoli che la gravano assicurano al possessore, per l'entità dei canoni che è tenuto ad erogare, o la somma che dovrà versare ove gli sia consentito di affrancare il bene tramutando il pagamento perpetuo in una cifra capitale.

È sul terreno della stima dei diritti perpetui che nel contesto dei problemi estimativi si innesta una serie di problemi di natura matematica: di quella branca della matematica che prenderà il nome di matematica attuariale o finanziaria. Trasformare il valore di un canone perpetuo in una somma capitale impone di calcolare l’”attualità” del suo valore, un problema la cui soluzione deve essere affidata a una formula matematica, ciascuna delle cui variabili dovrà essere fissata in base a considerazioni economiche e giuridiche: la matematica, quindi, al servizio dell'economia, il terreno caratteristico della scienza finanziaria.

Dai precursori ai fondatori dell’estimo settecentesco La prima opera in cui è possibile identificare i primordi della nuova disciplina ha visto la luce nel Cinquecento: Sebastiano Di Fazio la identifica nel Tractatus de aestimo et collectis del modenese Nicolò Festasio, pubblicata nella città estense nel 1569. Opere sullo stesso argomento hanno continuato a vedere la luce durante il Seicento e la prima metà del Settecento. È nella seconda metà del Secolo dei lumi, tuttavia, che la tumultuosa trasformazione del panorama sociale impone al processo di definizione dei metodi della disciplina l'accelerazione che ne converte in pochi decenni l'embrione in un corpo organico di cognizioni e pratiche operative.

È nei decenni in cui il dispotismo illuminato celebra i propri fasti che il perfezionamento delle metodologie estimative si impone quale esigenza cogente. La nascita di un'amministrazione fiscale moderna, che si realizza parallelamente al rinnovamento della legislazione fondiaria, con l'eversione della feudalità, la soppressione della manomorta, l'abolizione dei fedecommessi, impone alle amministrazioni pubbliche e ai privati che intendono difendere giudizialmente gli antichi privilegi la necessità di ricorrere a professionisti in grado di valutare i beni immobili e i diritti pertinenti secondo procedure razionali, di cui i giudici possano verificare la congruità nei procedimenti giudiziari cui conducono i conflitti suscitati dalle riforme.

Non può ritenersi espressione del caso che l'opera nella quale deve identificarsi l'atto di nascita della nuova disciplina veda la luce in un principato pervaso da un profondo processo di trasformazione: la Toscana di Pietro Leopoldo. Appare altrettanto coerente che l'obiettivo che l’autore si propone corrisponda al proposito di «suggerire agli Stimatori miei compagni non poche, al parer mio, necessarie notizie, senza le quali difficilmente avrebbero essi dato il giusto valore à prelati effetti (i beni immobili); avendo conosciuto ben chiaro che i medesimi non peccavano per malizia, nè per altra loro cattiva intenzione, ma solo per non conoscere quanto importi l'esame di molte cose, che son credute affatto superflue, e di nessuna conseguenza, con notabilissimo pregiudizio delle parti.»

È l'enunciazione del disegno di sottrarre l'arte delle stime al terreno dell'empirismo sul quale lo conserva tradizionalmente l’attività di agrimensori privi di conoscenze economiche e giuridiche, trasponendolo su un terreno nuovo, sul quale rifondarlo su certezze metodologiche tali da farne strumento adeguato alle esigenze del rinnovamento economico e civile. Se non ci stupiscono i propositi, non può non costituire ragione di sorpresa constatare che l'autore che affronta compito di tanto impegno sia lo stesso Cosimo Trinci di cui abbiamo ' commentato, tra le opere dei georgofili toscani, il trattatello agronomico: estimatore prima che agronomo, se proponendosi maestro di scienza della coltivazione ha diluito in un coacervo privo di originalità nozioni tanto ovvie da risultare banali, affrontando il tema delle stime fondiarie l’agrimensore pistoiese si rivela capace di sintetizzare, nelle pagine di un'operetta di nitida organicità, i concetti la cui formulazione suggella il manifesto della nuova metodologia estimativa.

Il Trattato delle stime de' beni stabili vede la luce a Firenze nella bottega dello stampatore Albizzini nel 1755, ventinove anni dopo la pubblicazione dell'Agricoltore sperimentato. Accolto con favore, nel 1778 viene ristampato a Venezia nel corpo di una raccolta di saggi economici comprendente uno scritto di Genovesi, l'illustre studioso napoletano, e una serie di lavori di agronomi italiani e francesi.

Il procedimento di stima: misure fisiche, valutazioni economiche

Sottolineata l'importanza economica e civile delle procedure seguite «nell'importantissimo commercio che riguarda la vendita e la compra, de' Beni Stabili», nell'introduzione del saggio l'agrimensore pistoiese denuncia la fallacia dei metodi impiegati dai pratici che esercitano professione di stimatore, incapaci di identificare con rigore il valore la cui determinazione costituisce la sostanza del loro compito. Individua la ragione fondamentale degli errori in cui incorrono i periti nel generale ricorso alle «stime dedotte dalle annue rendite», la valutazione, cioè, per capitalizzazione dei redditi.

La capitalizzazione costituisce, dobbiamo rilevare, caratteristico procedimento finanziario, espressione di una metodologia apparentemente evoluta, siccome capace di avvalersi del calcolo attuariale. Impiegato, tuttavia, fuori da rigorose coordinate procedurali, il metodo trasforma la stima, secondo Trinci, in operazione meccanica, il cui risultato è privo di correlazione con la realtà del mercato, quindi di utilità nella regolamentazione dei rapporti tra le parti di un negozio. Per l'agrimensore pistoiese la capitalizzazione è metodo accettabile solo nella determinazione del valore di proprietà che rispecchino esattamente le condizioni medie dei beni offerti sul mercato: siccome, però, proprietà assolutamente "ordinarie" risultano infrequenti, per tutti i fondi che non corrispondano al modulo perfetto il criterio di valutazione da applicare deve essere quello dell’apprezzamento diretto, quantitativo e qualitativo, del bene oggetto di stima.

La procedura della stima diretta è il tema cardinale del Trattato: l'autore toscano ne delinea le fasi successive con nitidezza tale da offrire un contributo essenziale alla sua formulazione definitiva. All'illustrazione del procedimento è dedicata la prima parte del Trattato: Trinci ne descrive lo svolgimento quale progressione di operazioni geometriche, di percezioni sensoriali, di valutazioni intellettuali. Sarà percorrendo con precisione le tappe del processo percettivo e valutativo che il perito giungerà alla corretta determinazione del valore che gli è richiesto.

La prima tappa della stima consiste nella misurazione del bene di cui sia richiesta la stima: soprattutto ove si debbano stimare grandi proprietà, comprendenti boschi, incolti e paludi, le impressioni visive, ribadisce Trinci, sono fallaci, conducendo a valutazioni del tutto errate: «Si consideri prima esattamente -scrive l'agrimensore pistoiese al capitolo I- la quantità della superficie del suolo de' beni da stimarsi; essendo questa considerazione, non solamente la regola più sicura, e meno soggetta agli errori; ma altresì la vera ed unica base fondamentale, da cui, più che d'altronde, si deduce il giusto intrinseco valore di essi... Senza queste necessarie notizie ho veduto più volte in pratica anche gli uomini più capaci restare ingannati, e fare delle stime molto erronee, massime nelle possessioni vaste, montuose e scoscese, dove sono ordinariamente delle valli non coltivate, e con folte boscaglie di legnami, selve, castagni, uliveti, querce ecc., e similmente nelle paludi, tanto scoperte, che coperte dall'acqua. In questa sorta di beni l'occhio per se stesso non è capace di giudicare rettamente l'estensione del Paese, e prende con facilità degli sbaglj considerabili...» Accertate le dimensioni della proprietà, il secondo elemento che lo stimatore deve apprezzare è la fertilità del suolo, ed anche nella ricerca della fertilità sono da evitare gli errori di una valutazione affidata alle impressioni. Trinci prescrive, a proposito, di eseguire su tutta la superficie dei saggi per individuare la natura e la profondità del terreno: secondo le qualità rilevate la proprietà verrà suddivisa in aree di fertilità diversa, che si ordineranno in una graduatoria secondo la classe di fertilità e l’estensione. È inoltre necessario che il perito apprezzi il valore delle alberature: l'entità dei boschi e la qualità del legname che se ne può ricavare, il vigore delle piante da frutto.

Dopo la misurazione degli elementi fisici lo stimatore dovrà operare l'apprezzamento dello stato di coltura della proprietà, dovrà eseguire, successivamente la ricerca dei vincoli, redimibili o perpetui, da cui sia gravata. Dovrà valutare, quindi, gli elementi connessi all'ubicazione dell’immobile: la vicinanza a fiumi soggetti a piene, la facilità delle comunicazioni, la comodità dei mercati, la prossimità di borghi e casali abitati da gente miserabile, inevitabilmente dedita al furto, le condizioni cui hanno insegnato a rivolgere la maggiore attenzione gli agronomi classici. Valuterà, infine, se il valore del possedimento sia compromesso dall'eventuale frammentazione della superficie in corpi separati. L'ultimo elemento necessario al giudizio di stima è rappresentato dallo stato degli edifici, la loro adeguatezza alle esigenze della conduzione, la prevedibile entità delle spese di manutenzione. Dalla sommatoria della molteplicità degli elementi che attribuiscono valore alla proprietà o che lo decurtano il perito potrà desumere, al termine del complesso itinerario, il valore della proprietà.

La stima per capitalizzazione, matrice di errori sicuri

Nella seconda parte dell'opuscolo Trinci sviluppa la dimostrazione della fallacia della stima eseguita mediante la capitalizzazione delle rendite, il metodo che dichiara più diffuso tra i periti del suo tempo. La ragione dell’erroneità consiste, secondo lo stimatore pistoiese, nella frequenza di proprietà tanto male coltivate da non potersi stabilire alcuna corrispondenza tra la rendita attuale e il valore della terra, e dall'esistenza di proprietà coltivate con tale dovizia di investimenti da offrire rendite sproporzionate al valore intrinseco dei beni: «E primieramente figuriamoci -leggiamo al capitolo V- per esempio di stimare nelle collinette o nei monti quelle possessioni, che sono mancanti di viti, ulivi, frutti ecc. col suolo trasandato, e decaduto in maniera, che per la cattiva condotta di molti anni antecedenti le loro rendite non corrispondino mai nè alla quantità, nè alla qualità dei beni, e molto meno al valore del fondo; non per altra cagione, che per la poca avvedutezza dei ministri, quando non sia indolenza, e cecità dei padroni... In tal caso chi non vede che valutando a misura delle rendite i detti beni (che in riguardo alla loro quantità, e qualità, e ad altre buone circostanze varrebbero per esempio cinque o sei mila scudi) e secondo l'importare del prezzo delle medesime, ragguagliato con tutta l'esattezza, non ascenderebbe alla metà, o a poco più, come ho veduto spesso in pratica...

Non si nega però, che non si trovino anche delle possessioni sì ben custodite, e tenute, che per lungo tempo il prezzo delle loro annue rendite trascenda di gran lunga il valore del fondo, massime nelle vicinanze di Firenze... dove alcuni padroni non solamente rispetto all'utile, ma per genio di vedere i proprj effetti ben coltivati, e forniti di piante, non hanno difficoltà di spendere assai, non tanto nelle coltivazioni, quanto nei concimi, paglie, strami ec...» I sostenitori del metodo, riconosce Trinci, ribatteranno che in questi casi è possibile operare rispettivamente un aumento e una diminuzione del valore degli immobili, ma in base a quale criterio, si chiede, quegli aggiustamenti verranno realizzati, se non su quello della stima diretta? Si è quindi obbligati, a riconoscere, conclude, che la stima diretta è il metodo generale di valutazione delle proprietà immobiliari. Le stime dedotte dalle annue rendite debbono essere considerate uno strumento complementare, utile, ma non sufficiente, alla determinazione del valore delle proprietà rustiche:

«Se dopo questo riscontro coll'importanza del prezzo prodotto dalle rendite annuali -scrive nel sesto capitolo- con quello già che risulta dalla quantità, e qualità del terreno, si trovi poca differenza dall'uno all'altro, non resta più da dubitare, che le stime non sien fatte con tutta esattezza, ma se pel contrario vi sia qualche gran variazione, in questo caso, sono di fermo sentimento, che le più giuste, e sicure stime sieno, e debbano essere tenute sempre quelle che si traggono dalla quantità, e qualità del suolo, e delle piante, per le ragioni addotte...»

Tra teorici e pratici una disputa accesa e insistente

Le istanze economiche e civili hanno predisposto il mondo degli operatori economici, degli avvocati, degli amministratori pubblici a recepire gli impulsi per il rinnovamento dell'arte delle stime. Il seme gettato da Trinci cade in un terreno fecondo, dalla pubblicazione del saggio dell'accademico toscano si dispiega una saggistica vasta e ricca di fermenti: stimatori di professione, matematici, uomini di legge si confrontano, in un agone acceso e insistente, nell'impegno a definire principi e procedure della disciplina. L'anno successivo alla pubblicazione del Trattato delle stime uno stampatore veneziano pubblica il Ragionamento apologetico... sopra il Trattato delle stime de' beni stabili di Dorindo Nicodemo, uno stimatore che dichiarando ironicamente il proposito di suffragare gli argomenti del collega toscano svolge, con tanta acrimonia da varcare i confini della petulanza, la difesa del procedimento preferito dai pratici, la stima per capitalizzazione contro la quale Trinci ha diretto le proprie critiche.

Seppure proposta dichiarando l'intento di accrescere le capacità professionali dei pubblici stimatori, la tesi di Trinci è tale da diffondere il discredito sull'opera della categoria, adusa ad impiegare la procedura di capitalizzazione quale prassi meccanica, evitando ogni impegno di indagine dei caratteri fisici ed economici delle proprietà oggetto di stima. Asserendo l'illegittimità di sostituire, come ha proposto l’agronomo pistoiese, un’ipotetica rendita “ordinaria” a quella corrente, Nicodemo si profonde in un'appassionata apologia del mestiere del perito, la cui opera non deve esorbitare, proclama, dalla determinazione del valore attuale dei beni oggetto di stima, quale è desumibile dai rispettivi redditi. È la reazione, risentita e acrimoniosa, dei mestieranti delle stime, di cui Nicodemo cerca di legittimare le procedure scongiurando l'onere delle complesse operazioni di misurazione, analisi pedologica, valutazione mercantile suggerite da Trinci, che i pratici non sono in grado di eseguire.

Trascorrono due anni dalla pubblicazione del Ragionamento, e una polemica non meno vivace si accende, a Ferrara, tra un giudice d'argine, Francesco Maria Girri, autore dell’Agrimensore istruito, stampato a Venezia nel 1758, e l'avvocato Pietro Sgherbi, che pubblica nel 1765 le Riflessioni sopra l'Agrimensore istruito. Alle quali Girri replica pubblicando, nello stesso anno, la lettera Al signor Pietro Sgherbi autore delle Riflessioni sopra l'Agrimensore istruito. Ragione della contesa è la coerenza delle procedure impiegate, nelle proprie prestazioni, dagli stimatori pratici, al servizio della Congregazione dei lavorieri, l'ufficio del governo pontificio preposto alla polizia idraulica. Tema della disputa è, ancora, la fondatezza della stima dei valori fondiari per capitalizzazione delle rendite. Contro l'asserzione di Trinci, anche per Girri la capitalizzazione costituisce il procedimento estimativo canonico per la valutazione delle proprietà rurali. A differenza di quanto ha asserito Nicodemo, tuttavia, per il giudice ferrarese la capitalizzazione non deve essere realizzata sulla base della rendita attuale, ma di una rendita media normale, che dovrà essere desunta sottoponendo quella reale ad aggiunte e detrazioni: una procedura alquanto contorta per riaffermare l'imperativo sostenuto da Trinci di fondare la stima sui caratteri intrinseci, topografici, climatici, pedologici, della proprietà da valutare, la conferma, contro la lettera del testo, delle istanze di indagine diretta propugnate dall'agrimensore toscano quali fondamento dell'attività estimativa. Adempiendo ad uno spartito obbligato, ricalca gli argomenti di Nicodemo il contraddittore di Girri: qualsiasi valore di stima desunto dalla capitalizzazione di redditi ipotetici, invece che dei redditi reali, costituisce, per l'avvocato ferrarese, violazione di vincolanti norme di diritto: sarebbero le stesse Costituzioni di Ferrara, proclama Sgherbi, a imporre di eseguire la stima delle proprietà mediante la capitalizzazione al cinque per cento dei redditi reali. Attorno al nodo della disputa il confronto tra i contendenti si sviluppa su una pluralità di temi collaterali: i criteri di stima dei miglioramenti che debbano essere rifusi al possessore che lasci il fondo, la legittimità dell'inclusione delle aie nella superficie poderale, la razionalità di presumere l'equivalenza del reddito dei prati e di quello dei seminativi. Sono problemi che, al di là delle ragioni di dissenso tra i due scrittori, testimoniano l'ampliarsi del terreno di confronto sulle procedure estimative, quindi il prendere forma degli elementi e dei confini della disciplina, il processo che dal nucleo primitivo conduce l'estimo ad assumere i caratteri di branca autonoma nel contesto delle discipline agrarie.

Propone una prova ulteriore dell'interesse che i problemi estimativi accendono nella seconda metà del secolo il concorso, bandito dall'Accademia dei Georgofili nel 1774 sul Quesito: indicare le vere teorie secondo le quali devono eseguirsi le stime dei terreni, stabilite le quali abbiano i pratici stimatori delle vere guide che gli conducano a determinare il valore. Il premio posto in palio sarà assegnato, nel 1783, ad Adamo Fabbroni per un saggio dal titolo Dissertazione sopra il quesito:indicare...

Nel diritto naturale le fondamenta delle relazioni economiche

Tra polemiche sulle procedure metodologiche, confronti, vivaci fino all'alterco, tra i cultori della teoria, tacciati di astrattezza, e i pratici, accusati di ignoranza, la saggistica estimativa si sviluppa, ricca e multiforme, durante l’intero secolo. Tra la folla degli autori ritengo proponga ragioni di particolare interesse l’opera di Giuseppe Lucini, ingegnere, autore del Saggio su le stime de' terreni, pubblicato a Milano nel 1793, a lungo dimenticato, riscoperto e proposto all'attenzione dei cultori di letteratura agraria da Sebastiano Di Fazio. Nel testo, diviso in quattro parti, identifichiamo due ragioni di interesse: la prima consistente nell’impegno per fondare l'edificio della teoria estimativa sui caposaldi della filosofia politica del Secolo dei lumi, gli assiomi del giusnaturalismo, la seconda, la riconsiderazione, nella nuova cornice teorica, dei temi caratteristici della precettistica classica per la valutazione delle proprietà.

«Riunitisi gli uomini nello stato civile -trascrivo dal testo del primo capitolo come pubblicato da Di Fazio- onde sottrarsi a tutti quegli orrori che accompagnavano la loro vita selvaggia, divenute le volontà particolari la volontà generale, volendo per distruggere la principal sorgente delle loro dissensioni assegnare a ciascuno di essi una certa porzione di terra che coltivata potesse bastevolmente provvedere a' di lui bisogni non meno che a quelli della sua famiglia, avranno di leggieri dovuto sentire che ciò non si poteva in retto modo mandare in esecuzione, non essendo da per tutto il suolo egualmente ferace, senza prima indagarne la di lui natura. L'arte di stimare i terreni pare dunque che essere dovrebbe pressochè tanto antica quanto l'origine delle società civili. Un altro motivo nato pure da questo passaggio dallo stato naturale allo stato civile degli uomini doveva contribuire a renderla necessaria. Non era abbastanza l'aver stabilita e regolata la divisione delle terre, conveniva altresì che vi fosse una classe di persone che... cercasse i mezzi di prevenire e reprimere le usurpazioni, che vegliasse per conseguenza alla esecuzione delle leggi e le modificasse al bisogno. Egli era ben giusto che questa venisse mantenuta a spesa della società che ella era destinata a proteggere e difendere... Era necessaria adunque una imposta, e che questa sopra tutti gli ordini delle persone, componenti la società egualmente si distribuisse. Per i bisogni della natura tutti sono consumatori de' frutti della terra: su i frutti della medesima doveva dunque la tassa necessariamente cadere; ma faceva d'uopo che alle rendite di cui il terreno poteva esser capace fosse conforme. Ecco quindi la necessità di conoscerne il di lui valore.»

È, invertito dallo specchio della logica, il quadro immaginato da di Rousseau sulla conversione dello stato di natura nel primo consorzio civile: l'appropriazione individuale della terra comune, per l'autore del Contrat social causa della degradazione della natura umana dalla bontà primigenia alla condizione di antagonismo e ineguaglianza, rappresenta per Lucini l'atto di nascita della civiltà umana, il varco del fossato che separa l'uomo dal selvaggio. Dallo stesso atto di appropriazione del suolo insieme alla proprietà ha origine, per l'ingegnere lombardo, l'esigenza della sua difesa, quindi dell'ordine giuridico, e di un corpo di magistrati che vigili alla sua tutela. Perciò anche l’ordinamento fiscale che fornisca i mezzi necessari al funzionamento dell'apparato pubblico.

La ragione della disciplina estimativa deve identificarsi nella stessa esistenza del diritto di proprietà, e nella correlata necessità di attribuire ad ogni proprietà un valore certo, da assumere quale base per fissare il relativo gravame fiscale, che una fondamentale istanza di equità impone sia proporzionato al reddito di cui ciascuna è capace. Nella semplicità dell’argomentazione, tale da dispiegarsi, come ogni ipotesi sulle origini del patto sociale, nel limbo dell'astrattezza, riconosciamo un'espressione eloquente del pensiero politico dell'Illuminismo, l'adempimento, insieme, dell'impegno a fondare su principi di autentica dignità filosofica la disciplina di cui Lucini professa l'esercizio, un impegno di indubbio rilievo culturale, costituendo la definizione di coordinate teoriche la premessa per lo sviluppo di qualsiasi sistema di conoscenze.

Formulate, nel primo capitolo, le premesse filosofiche dell'arte delle stime, nel secondo l'ingegnere lombardo enuncia i criteri per la determinazione del grado di fertilità del suolo delle proprietà oggetto di valutazione, un campo di indagine sul quale propone una significativa testimonianza della fase di transizione che la scienza del suolo attraversa, nel crepuscolo del Settecento, tra i metri di valutazione empirici della tradizione classica e le nuove procedure di analisi chimica. Nel terzo capitolo affronta il tema della valutazione della «situazione fisica, politica, economica» delle proprietà di cui il perito debba ricercare il valore:

«Quante volte non ci accade di vedere da un fianco delle montagne dei campi presentarci la triste nudità dell'inverno, mentre dall'altro delle praterie ridenti... ci porgono lo spettacolo di una eterna primavera? Quante volte da un lato di un monte ci avviene di vedere delle rovinose cascate d'acqua... dilavare le sottoposte campagne, ed oltre al rendere inutili le fatiche dell'agricoltore sofferte, coprirle di sterile ghiaja; mentre dall'altro de' crateri qua e là dalla natura aperti avendo l’acqua raccolta... porgono alimento a più ruscelli con rusticana arte disposti che fuggono a bagnare più felici campi ed a depositare su de' medesimi gli avanzi di vegetali sostanze raccolte nel loro corso? L'essere più o meno le campagne dominate dai venti settentrionali per mezzo delle circostanti eminenze, il godere in grazia delle medesime una maggiore quantità di calore per la ripercussione de' raggi solari, l'essere un lato delle montagne da copiosa vegetazione ricoperto e l’altro arido e sterile, l'essere finalmente da una parte più ripide che dall'altra, possono essere la cagione di tali vantaggi o di tali desolazioni. La vicinanza a' fiumi e a' torrenti, i quali con la rapidità del corso o colle straordinarie escrescenze possono diminuire l’estensione di un podere o deteriorare la superficie di esso, o caricarlo di quelle passività che nascono or dalla costruzione di nuovi, or dalla manutenzione di vecchi ripari, è questa pure una circostanza fisica che può d'assai far scemare il valore di un fondo e che bisogna ben osservare che talvolta non isfugga dal calcolo...

La situazione politica... non v'ha dubbio che tiene moltissima influenza sul valore de' terreni. Se si dassero dei popoli aggravati d'imposizioni... sproporzionate al prodotto e risorse di un territorio; se una regione si trovasse poco o molto esposta alle scorrerie de' vicini o alla sorpresa de' nemici per cui abbisognano eserciti più o meno poderosi che la difendano; se massime erronee si fossero adottate nel vincolare o dirigere il commercio dei generi, chi non comprende quanto il valor del terreno venga per simili cause a ridursi al di sotto di quello che in diverse politiche circostanze non avverrebbe?»

Sono i temi caratteristici delle trattazioni di economia degli agronomi classici: componendosi con elementi di geometria, di matematica attuariale e di diritto, dall'alveo tradizionale dello scibile agrario sono stati trasposti in un contesto nuovo divenendo parti di una costruzione scientifica originale, una disciplina destinata a conoscere, nel quadro delle conoscenze agrarie, una lunga stagione di splendore. Una stagione che si protrarrà fino a quando i diritti reali sul suolo costituiranno campo di confronto economico e giuridico tra i possessori privati, e tra i privati e lo stato. Sarà quando lo stato, al procedere di un processo che si compirà, nel corso del Novecento, in tutte le società occidentali, imporrà ai diritti di disponibilità della terra la propria legge esclusiva, comprimendo, nella fissazione della destinazione dei suoli, lo spazio dell'autonomia privata, che, contraendosi il terreno della libertà negoziale, l'estimo fondiario inizierà la fase discendente della propria traiettoria nel contesto dello scibile agrario.