Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro terzo - Capo I

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LIBRO TERZO.

Delle Arti del Disegno presso gli Etruschi,
e i Popoli confinanti.





Capo I.


Arti del Disegno presso gli Etruschi... portate in Italia dai Pelasghi... come rilevasi dagli etruschi monumenti — Circostanze diverse in cui trovaronsi gli Etruschi... e i Greci... per cui le arti presso di quelli più presto fiorirono — Non si perfezionarono però mai... a cagione della loro indole... e per le guerre avute co’ Romani.

Arti del disegno presso gli Etruschi. Dopo gli Egizj sono gli Etruschi il più antico popolo d’Europa, che abbia coltivate le arti, le quali certamente in Etruria prima che in Grecia fiorirono. E tanto più gli antichi monumenti dell’arte etrusca meritano un’attenta considerazione, [p. 163 modifica]quanto che essi soli dar ci possono un’idea delle più vetuste opere greche, delle quali nessuna s’è fino a noi conservata, e che alle più antiche etrusche somigliarsi doveano. Per formarci una gialla idea delle arti del disegno presso gli Etruschi gioverà l’aver prima una certa notizia della storia loro, del loro governo, e della loro indole, alle quali cose debbonsi i progressi d’ogni arte e scienza.

... portate in Italia dai Pelasghi... §. 1. Dalla venuta de’ Pelasghi in Italia cominciar si può la storia degli Etruschi riguardo alle arti loro, le quali se pur non denno interamente a’ Greci l’origine, almeno loro devono il maggior avanzamento. Troviamo negli antichi scrittori fatta menzione di due emigrazioni de’ Greci, fra le quali scorse un intervallo di sei secoli. La prima fu il tragitto de’ Pelasghi venuti d’Arcadia, e di altri che aveano dianzi abitato in Atene1. Questi popoli, che da Tucidide2, da Plutarco3, e da altri vengono detti Pelasghi, chiamaronsi eziandio Tirreni; onde si può conchiudere che i Tirreni fossero una nazione compresa sotto il nome generale di Pelasghi. Essendosi quelli soverchiamente moltiplicati, e perciò troppo ristretti vivendo nella loro patria, ne uscì parte e si divise in due colonie, una delle quali approdò sulle coste dell’Asia, e l’altra navigò fino all’Etruria, ove si stabilì principalmente nei contorni di Pisa, e diede il nome di tirrenie alle occupate contrade4. Tal gente, mista e incorporatasi agli antichi abitanti, prevenne i Greci nel commerciar per mare, e divenuta gelosa della spedizione degli Argonauti a Colchide, loro si oppose e gli assalì con possente armata navale presso l’Ellesponto, ove si venne a sanguinoso conflitto, in cui tutti gli eroi greci, tranne Glauco, rimasero feriti5. [p. 164 modifica]Quella prima colonia de’ Greci in Etruria sarà probabilmente stata rinforzata da altre susseguenti, oltre quelle de’ Lidj e de’ popoli dell’Asia minore, che dopo la guerra di Troja ivi pure si trasportarono.

§. 2. La seconda emigrazione de’ Greci avvenne a un di presso tre secoli dopo Omero, e altrettanti prima di Erodoto, secondo la cronologia lasciataci da questo storico; cioè ai tempi di Talete e di Licurgo legislatore di Sparta6. Rinforzati da quelle nuove colonie gli Etruschi per tutta l’Italia s’estesero fino al promontorio, a cui termina il paese chiamato poi Magna Grecia, come dimostranlo, oltre il testimonio degli scrittori, le monete di que’ tempi. Di queste ne rammenterò una fralle altre, esistente nel museo del duca Carraffa Noya, che da un lato ha la figura d’un bue in rilievo col nome della città di Buffenzio , e dall’altro la figura dei medesimo animale profondamente incavata col nome della città di Sirino presso il golfo d’Eraclea: . Gli Etruschi, possedendo sì vaste contrade, estesero il loro commercio fino a fare alleanza co’ Fenicj, come già s’è detto.

... come rilevasi dagli etruschi monumenti. §. 3. Che da quelle nuove colonie sieno state portate nell’Etruria le lettere de’ Greci, la mitologia loro, la cognizione della loro storia fino alla presa di Troja agli Etruschi affatto ignota, e che per le medesime cominciassero a fiorire le arti in quelle contrade, si deduce, a parer mio, evidentemente dalle opere etrusche, le quali, ove non pur tutte, almeno per la maggior parte, la mitologia de’ Greci rappresentano e i più antichi avvenimenti della loro storia. In fatti se i popoli originarj dell’Etruria avessero conosciuta l’arte di scrivere e conservare così la propria storia, su i loro antichi monumenti non avrebbon eglino rappresentati, anziché gli avvenimenti de’ Greci, i fatti del proprio paese? Ma di questi, per la [p. 165 modifica]mancanza della scrittura, cioè degli annali e delle storie, non ne era rimasta memoria presso di loro7.

§. 4. Potrebbonsi contro questa mia opinione addurre alcuni etruschi monumenti, ove la greca storia de’ tempi eroici è rappresentata alquanto diversamente da ciò che ne leggiamo in Omero. Tale è, a cagion d’esempio, il destino di Ettore e d’Achille, che fu una patera etrusca di bronzo vien pesato non da Giove, siccome narra quel poeta8, ma bensì da Mercurio9; e simile differenza osservasi riguardo ad altri tratti della storia eroica, de’ quali ho parlato ne’ miei Monumenti antichi. Ma ciò conferma l’opinion mia anziché oppugnarla. Chi non fa che le tradizioni d’un paese passando in un altro alterate vengono e variate? La diversità, che si scorge nei racconti delle medesime cose fra gli Etruschi e i Greci, devesi principalmente ai loro poeti.

§. 5. Il più antico e il più famoso avvenimento, in cui prendessero parte i principali stati della Grecia, è la lega degli Argivi contro i Tebani prima della guerra di Troja, ossia la spedizione de’ sette eroi contro Tebe. Or la memoria di quella guerra non si è conservata nei greci monumenti allo steso modo che negli etruschi; imperocché cinque soli di que’ sette eroi veggonsi col nome loro scritto in lingua etrusca incisi in una corniola del museo Stoschiano, di cui si vede la figura al principio di questo libro; e alla fine del libro antecedente v’è la figura d’un’altra corniola del medesimo museo, sulla quale è inciso Tideo, uno di que’ sette eroi col [p. 166 modifica]suo nome in etrusco. Capaneo altro loro socio, colpito dal fulmine di Giove nel volere scalar le mura di Tebe, si trova inciso in diverse gemme che pur sembrano lavoro di etruschi artefici. Altri eroi greci veggonsi effigiati fu gemme coi nomi loro in lingua etrusca, come Teseo prigioniere del re Aidoneo presso il signor barone di Riedefel10, Peleo padre d’Achille, e Achille stesso nel museo del Duca Caraffa Noya, e Achille ed Ulisse in altra pietra11; talché generalmente parlando si può asserire che i monumenti dell’arte greca per la maggior parte debbono, riguardo all’antichità, cedere agli etruschi12.

§. 6. Gli artisti di questa nazione rappresentando la storia de’ Greci non folo se l’appropriarono, ma espressero pure altri greci avvenimenti de’ secoli posteriori, siccome ho dimostrato ne' miei Monumenti13 spiegando un’urna etrusca di meno antica data esistente nella villa Albani (Tav. XVII.). Vedesi in essa effigiato l’eroe Echetlo, il quale si presentò incognito alla battaglia di Maratone14, e fattosi alla testa degli Ateniesi, adoperò contro i Perii, in vece d’armi, un aratro, onde fu chiamato Ἐχέτλος da quella parte dell’aratro che vien così detta dai Greci, e fu poscia messo fra gli eroi. La rappresentazione di questo fatto15, che non s’è conservata su nessun monumento greco, prova la comunicazione costantemente serbatasi fra l’arte etrusca e la greca.

§. 7. Dall’antichissimo stile delle summentovate gemme si può con verosimiglianza inserire, che le arti del disegno fra [p. 167 modifica]gli Etruschi fioriffero prima che fra i Greci; del che troveremo pure una ragione nella storia, paragonando le circostanze de’ Greci con quelle in cui trovaronsi gli Etruschi dopo la seconda loro trasmigrazione.

Circostanze diverse in cui trovaronsi gli Etruschi... §. 8. Che gli Etruschi dopo la guerra di Troja godessero una somma tranquillità, mentre da guerre intestine era agitata la Grecia, comechè non ce ne facciano espressa fede le antiche storie, pur dedurre o possiamo da quel poco che ci hanno tramandato gli scrittori riguardo al loro governo, che doveva essere uniforme in tutta l’Etruria. Era questa divisa in dodici parti16, ciascuna delle quali aveva il suo capo17 chiamato Lucumone; e ognun di questi era subordinato ad un capo comune ossia re18, qual sembra essere stato Porsenna; ma sì i Lucumoni che il capo supremo erano elettivi. E che tal fosse la forma di governo presso gli Etruschi cel conferma l’aborrimento che aveano pei re anche delle altre nazioni, e che portarono tant’oltre da divenir nemici de’ Vejenti dianzi loro alleati, perchè que’ popoli, che prima formavano una repubblica, aveansi eletto un re19. Il governo etrusco sembra altresì essere stato democratico anziché aristocratico, poiché né di guerra né di pace trattavasi se non nelle pubbliche adunanze de’ dodici popoli, i quali costituivano il corpo del loro stato20, e quelle si teneano a Bolsena nel tempio di Volturna21. Tal maniera di governo, in cui ognuno avea parte22, dovea certamente influire su gl’ingegni di tutta la nazione, sollevare lo spirito e l’immaginazione di que’ popoli, e più atti renderli a coltivare le belle [p. 168 modifica]arti. La tranquillità per tanto che regnava in Etruria, mantenutavi dall’unione e dalla possanza di tutta la nazione che sull’Italia intera dominava, fu la cagion principale per cui le arti germogliarono presso gli Etruschi.

...e i Greci... §. 9. La Grecia all’opposto, tranne l’Arcadia sola23, al tempo della feconda emigrazione de’ Pelasghi trovavasi in uno stato ben deplorabile24 e in turbolenze continue, che mettevano sossopra l’antico governo, e l’intero stato agitavano. Cominciarono quelle nel Peloponneso, i cui popoli principali erano gli Achei e gli Joni. Gli Eraclidi per riacquistare quel paese v’andarono con un poderoso esercito composto per la maggior parte di Dorj abitatori della Tessaglia, e ne discacciarono gli Achei, una parte de’ quali scacciò nella stessa guisa gli Jonj. Gli altri Achei di Lacedemone discendenti da Eolo ritiraronsi prima in Tracia, passarono quindi nell’Asia minore, ove quel paese occuparono che fu poscia da loro chiamato Eolia, e vi edificarono Smirne con altre città. Gli Jonj ricoveraronsi in parte nell’Attica, e gli altri, sotto la condotta di Nileo figlio di Codro ultimo re d’Atene, passarono pure nell’Asia minore, chiamando Jonia la nuova lor sede. I Dorj impadronitisi del Peloponneso né scienze né arti coltivarono, occupandosi solo dell’agricoltura: αὐτουργοί τε γάρ εἰσι Πελοποννήσιοι25. Le altre parti della Grecia erano desolate ed incolte; e le coste marittime, poiché trascuravasi il commercio e la navigazione, erano continuatamente infestate da pirati, e costretti perciò erano gli abitanti ad allontanarsi dal mare e dalle più belle contrade. Non godea miglior destino il paese interiore: gli abitatori scacciavansi gli uni gli altri dalle rispettive possessioni; onde dovendo stare sempre armati26 non aveano mai la tranquillità [p. 169 modifica]necessaria per coltivare la terra, e meno ancora per penfare alle arti.

... per cui le arti presso di quelli più presto fiorirono. §. 10. Tali erano le circostanze della Grecia nel tempo stesso che l'Etruria tranquilla e laboriosa divenne la più rispettabile nazione d Italia; onde agevolmente s impadronì del commercio sì nel mar tirreno che nello jonico27, e se ne assicurò maggiormente mandando colonie nelle più fertili isole dell’Arcipelago, e principalmente in Lenno. Essendo pertanto così potenti e ricche le antiche nazioni etrusche unite ai Tirreni, ebbero comodo le belle arti di fiorire presso di loro, mentre i Greci faceano appena i primi tentativi. Diffatti innumerevoli monumenti degli Etruschi abbiamo, i quali dimostrano che questi popoli già le arti coltivavano, prima che i Greci dar sapessero una regolar forma alle opere loro.

Non si perfezionarono però mai... §. 11. Se così presto cominciarono a fiorire le arti preso gli Etruschi, perchè in seguito non si sollevaron elleno al più alto grado di perfezione? perchè nel disegno de’ loro artisti scorgesi costantemente, siccome più sotto dimostrerò, un’eccessiva durezza28.

...a cagione della loro indole... §. 12. Forse ai progressi dell’arte ne’ tempi posteriori si sono opposte delle circostanze poco favorevoli; ma dobbiamo eziandio ricercarne la cagione nell’indole e nella maniera di pensare degli Etruschi. Pare che quelli fossero più de’ Greci inclinati alla malinconia e alla tristezza, come inferir possiamo dal loro culto religioso e dalle costumanze loro: e si osserva altronde che all’uomo dotato di sì fatto temperamento, atto certamente ai più profondi studj, troppo vive e profonde riescono le sensazioni; per la qual cosa non si produce ne’ di lui sensi quella dolce emozione che rende lo spirito perfettamente sensibile al bello. Un [p. 170 modifica]argomento dell’indole melanconica degli Etruschi si trae dalla divinazione, che in occidente fu dapprima immaginata da questo popolo, onde madre e nudrice della superstizione fu detta l'Etruria29. Diffatti i libri loro sull’arte divinatoria colmavano di terrore e di spavento chi li consultava30: tanto orribili figure e parole conteneano. Que’ sacerdoti etruschi, che nell’anno di Roma 399. andarono alla testa de’ Tarquinj ad assalire i Romani, portando faci accese e agitando serpenti, possono darci un’idea dei ministri del loro culto31. Un’altra prova ne abbiamo nei sanguinosi combattimenti che faceano presso i sepolcri e negli spettacoli, usati prima dagli Etruschi32, e quindi introdotti presso i Romani, ma abborriti sempre da’ Greci33, come si dimostrerà nel libro seguente34. Anche ne’ tempi a noi più vicini furono i Toscani i primi che immaginarono le flagellazioni35. Quindi è che sulle urne etrusche veggonsi generalmente rappresentati sanguinosi conflitti36, laddove su quelle de’ Romani, che saranno state lavoro per maggior parte di greci artefici, veggonsi il più delle volte immagini piacevoli; e sovente rappresentano favole relative all’umana vita, o giocondi [p. 171 modifica]emblemi della morte, quali sono l’Endimione dormente figurato su varie urne, le Najadi che traggono seco Ilo37, danze di Baccanti e nozze, come quelle di Peleo e di Teti rappresentate su un’urna della villa Albani38. Soleano i Romani danzare innanzi al feretro39, e Scipione africano ordinò che ai suoi funerali allegramente si bevesse40.

... e per le guerre avute co’ Romani. §. 13. Forse collo studio e coi comodi avrebbono potuto gli Etruschi vincere la natura, e portare nelle arti quella perfezione a cui sembravan opporsi l’indole, il temperamento, e’ l costume loro; ma la loro felicità fu di troppo breve durata per produrre quell’effetto. Appena cominciò a fiorire la romana repubblica, insorsero le guerre con essa troppo agli Etruschi svantaggiose, cosicchè alcuni anni dopo la morte d’Alessandro il Grande l’Etruria intera fu conquistata da’ suoi nimici, e lo stesso etrusco linguaggio, cangiandosi a poco a poco nel romano idioma, finalmente si perdè. L’Etruria divenne una provincia romana, dopo che l’ultimo suo re Elio Vulturrino perì nella battaglia datasi presso il lago Lucumone, nell’anno 474. di Roma e nell’olimpiade 124. [p. 172 modifica]Indi a poco, cioè nell’anno 489. e nell’olimpiade 129., fu conquistata da M. Flavio Fiacco Volsinia, oggidì Bolsena, che significa città degli artefici, secondo l’etimologia del nome che alcuni41 traggono dalla lingua fenicia; e da quella sola città furono portate a Roma due mila statue42; tale a un di presso farà stata la sorte delle altre città etrusche.

§. 14. Si può da ciò facilmente comprendere come Roma altre volte ripiena fosse d’una quantità immensa di statue greche e di monumenti etruschi, e come anche oggidì se ne disotterrino frequentemente43. Sotto i Romani però seguitarono gli Etruschi a coltivare le arti, siccome pur fecero i Greci, quando subirono il medesimo destino. Non troviamo il nome di nessun artefice etrusco, tranne Mnesarco padre di Pittagora, che incideva in gemme, e si crede essere stato toscano44.

Note

  1. Herod. lib. 6. cap. 137. pag. 501.
  2. Thucyd. lib. 4. cap. 109. pag. 302.
  3. Plutar. De Virtut. mulier. pag. 247. A. oper. Tom. iI.
  4. Si veda monsignor Guarnacci Orig. italiche, Tom. iI. in fine, pag. 423., Ricerche sull’origine della città di Pisa in Toscana, ove la sostiene fondata dagli Etruschi.
  5. Aten. lib. 7. cap. 12. pag. 296. D.
  6. Bianchini Istor. univ. cap. 32. §. 27. pag. 538.
  7. La scrittura non è il solo mezzo di tramandare ai posteri le memorie. Quelle si sono conservate presso tutti i popoli, che ancor non aveano l’arte di scrivere, colla tradizione orale, colle canzoni storiche, e tanti simboli, e geroglifici. Veggasi in appresso lib. IV. capo I. §. 12., Warburton Essai sur les hierogl. Tom. I. §. 7. pag. 46., Goguet Della Orig. delle leggi, delle arti, ec. Tom.I. par. I. l. iI. artic. iI. c. VI. Il lodato Guarnacci Orig. italiche, Tom. I. l. 2. c. 3. pretende che i Pelasghi fossero Etruschi, e che in vece di venire dalla Grecia in Etruria, di qua siano anzi andati a conquistare quelle contrade; e in conseguenza abbiano ingegnata ai Greci la loro mitologia, ivi, e Tom. iI. lib. 6. cap, 2. pag. 123. segg.
  8. Iliad. lib. 22. v. 209. segg.
  9. Monum. ant. num. 133.
  10. Caylus Rec. d’Ant. T. VI. pl. XXXVI. pag. 198.
  11. Adami Stor. di Bolsen. pag. 32., Gori Mus. etrusc. Tab. 198. n. 4..
  12. Pare che i dotti moderni ormai ne convengano; tra gli altri il sig. conte di Caylus Rec. d’Ant. T. I. préf. p. 8. e 9., il quale perciò ha messa la classe dei monumenti etruschi dopo gli egiziani, e prima dei greci; monsignor Guarnacci Origini ital. Tom. iI. lib. 7. cap. 1. e 2., Tiraboschi Storia della lett. ital. Tom. I. par. I. §. VII. segg.
  13. Tom. iI. pag. 105.
  14. Paus. lib. 1. cap. 32. p. 79. verso il fine.
  15. Si vede anche in altra urna etrusca presso Montfaucon Antiq. Expi. Suppl. Tom. V. pl. LVII. num. 2., e Demstero Etrur. regal. Tom, I. Tab. 54.
  16. Florus lib. 1. cap. 5.
  17. Dion. Halic. Antiquit. Roman. lib. 3. cap. 61. pag. 187.
  18. Serv. ad Æeid. lib. 2. v. 278., lib. 8. v. 475., lib. 10. v. 200.
  19. Liv. lib. 3. cap. 1. Dice però: non majore odio regni, quam ipjius regis.
  20. Dion. Alicarn. lib. 9. cap. 1. pag. 536. lin. 17., Livio lib. 10. cap. 11. num. 16.
  21. Liv. lib. 4. cap. 12. num. 23., lib. 5. cap. 11. princ. num. 17.
  22. Della maniera, con cui ha influito la libertà sulle arti, si ragionerà più diffusamente in appresso.
  23. Paus. lib. 2. cap. 13. pag.140. princ.
  24. Tucid. lib. 1. c. 5. pag. 5. lin. 21.
  25. Idem lib. 1. cap. 141. pag. 93. l. 77.
  26. Idem lib. 1. cap. 2. pag. 2.
  27. Euseb. in Chron. pag. 36.
  28. Si veda appresso al capo iiI. §. penult.
  29. Arnob. Adv. gent. lib. 7. pag. 232.
  30. Cic. de Divin. lib. 1. cap. 12.
  31. Liv. lib. 7. cap. 11. n. 17.
  32. Dempst. Etrur. reg. Tom. I. l. 3. c. 42.
  33. Plat. Polit. oper. Tom. iI. p. 315. B. C. [Scrive, che v’era una legge presso di loro che ordinava sacrifizj di vittime umane, e che una volta di fatti erano in uso ne' funerali; ma non più a’ suoi giorni; riputandosi allora un’empietà, e cosa profana.
  34. In contrapposto di tutto questo si può mettere il grande trasporto, che avevano gli Etruschi per la musica, l’aver quindi inventati tanti strumenti, l’aver avuto ogni città il suo teatro, in cui non solo spettacoli di gladiatori, e tragedie, ma comedie eziandio, con ballerini, e istrioni si rappresentavano. Vegg. Borghini Discorsi, T. I. p. 183., Guazzesi Dissert. sopra gli Anfit. de’ Toscani, ec., Bocchi Disser. sopra un Teatro creduto etrusco, ec. Passeri De Musica Vet. Etrusc. nell’opera Pictura Etrusc. Tom. il. pag. LXXIII. segg. Il clima della Toscana ai nostri giorni non porta malinconia; e di questo difetto non peccano certamente quei che vi stanno.
  35. Minuc. Nota al Malmantile cavata dal Sigonio, pag. 497.
  36. Nel basso-rilievo, di cui si vede la figura nella Tav. XVII., e che fa parte d’un’urna etrusca esistente nella villa Albani, scorgesi un nuovo argomento di quanto scrive l’Autore; ma conviene altresì confessare che talora esprimevano in esse delle immagini dilettevoli, come giuochi, danze, nozze, con ed altri simili oggetti, siccome potrà ognuno agevolmente accertarsene coll’osservare presso il Gori i disegni delle molte urne etrusche da lui pubblicati. [In una presso Montfaucon Antiquit. expl. Suppl. Tom. V. pl. LVII. n. 2. si vede un sacrificio. Deve anche osservarsi, che le rappresentazioni, che si vedono su i vasi etruschi presso il Passeri, ed altri, sono giojali.
  37. Fabret. Inscript. cap. 6. p. 432. n. 5. Vedasi la stessa rappresentazione fu un Commesso, cioè su un’opera composta di pietre a varj colori, (Ciampini Vet. Mon. I. Tab. 24.) nel palazzo Albani. Questo soggetto ha dato luogo all’ancor inedito epitaffio d’una mezza colonna nel palazzo Capponi a Roma, in cui v’è fra gli altri questo verso:

    ΗΡΠΑСΑΝ ωС ΤΗΡΠΝΗΝ ΝΑΙΑΔΕС ΟΥ ΘΑΝΑΤΟС

    Rapir, come per gioco, le Najadi, e non Morte.

  38. Montfauc. Ant. expl. Suppl. Tom. V. pl. 51. pag. 123., il quale non comprese il vero significato di quel basso-rilievo. V. Mon. ant. ined. n. 100. par. 2. sez. 2. c. 1. p. 145.
  39. Dion. Halic. lib. 7. c. 72. p. 460.
  40. Plutar. Apophth. pag. 196. E. op. Tom. iI. [ Dice che fu quel Terenzio, preso dai Cartaginesi, poi liberato da Scipione, che diede a bere del mulso, ossia vino con mele, a quei che aveano accompagnato il funerale di questo gran capitano. [ Nella villa Albani su un grande basso-rilievo segato da un’urna sepolcrale, e una fanciulla in piedi in una dispensa, ove varie specie di animali sventrati con altri comestibili stanno appese agli uncini: nel che è simile a un altro basso-rilievo della galleria Giustiniani; e sopra vi si leggono i seguenti versi di Virgilio, Æneid. l. 1. v. 611. segg.:

    In freta dum fluvii current, dum montibus umbra
    Lustrabunt convexa, polus dum sydera pascet
    Semper honos, nomenque tuum, laudesque manebunt

    In Roma s’è scoperta in altri tempi un’urna su cui vedeasi rappresentato un soggetto assai impudico con questa epigrafe: ΟΥ ΜΕΛΕΙ ΜΟΥ. Non me n’importa. Presso il signor Cavaceppi v’ha su un simile lavoro una rappresentazione ancor più lubrica col nome del defunto.

  41. Hist. univ. d’une Socìeté, ec. T. XIV. liv. IV. sect. I. chap. XVII. pag. 218.
  42. Plin. lib. 34. cap. 7. sect. 17. pag. 646.
  43. Molto maggior numero di questi monumenti si conoscerebbe, se, come bene osserva monsignor Guarnacci Origini ital. l. 7. cap. I. Tom. iI. pag. 299. e segg., per una inveterata prevenzione non si fossero per lo passato voluti far credere greci, o romani; e anche al giorno d’oggi non si continuasse a mettere in dubbio, se tanti che se ne cavano in Toscana alla giornata siano veramente etruschi, anche prima di passare in altre regioni.
  44. Non ostanti gli sforzi del march. Maffei nelle Offervaz. letter. Tom. IV. pag. 72., del signor canonico Filippo Laparelli in una dissertazione sopra la nazione, e la patria di Pittagora inserita nel Tomo VI. de’ Saggi dell’Accademia di Cortona, e del lodato monsig. Guarnacci loc. cit. lib. 6. cap. 1. pag. 109., e cap. 2. pag. 160., il nome rispettabile del sig. abate Tiraboschi ci dovrebbe far credere per cosa dubbiosa in tutto, ed incerta, che quel filosofo fosse etrusco, e per conseguenza anche il di lui padre. Nella Storia della Letterat. ital. Tom . I. parr. I. §. XXVIII. e XXIX. egli esamina i passi d’Eusebio De præp. evang. lib. 10. c. 4. p. 470. D., di Clemente Alessandrino Strom. lib. 1. num. 14. p. 352., di Porfirio De Vita Pythagoræ, princ. di Laerzio De Vit. philosoph., princ., di Plutarco Symposiac. lib.i. quæst. 7. pag. 727., oper. Tom. iI., su i quali si appoggiano i detti scrittori; ed osserva che essi altro non fanno che riferire le diverse opinioni intorno alla patria di Pittagora, tra le quali è quella, che lo fa etrusco. Suida per ultimo, egli dice, non solo non dà la Toscana per patria a Pittagora; ma nemmeno vuol che si dubiti, che ei non fosse di Samo: Pythagoras Samius. Ma qui io mi maraviglio, per usare gli stessi suoi termini contro Maffei, e Laparelli in proposito del passo di Plutarco, che questo valente Autore o non abbia letto, o abbia dissimulato ciò che dice nell’articolo precedente Suida stesso: Pythagoras Samius, genere vero Tyrrhenus Mnesarchi sculptoris anulorum filius. Cum enim esset adolescens, ex Tyrrhenia cum patre Samum migravit... Apud Ægyptios etiam, & Chaldæos disciplinis eruditus rediit Samum. Quam cum Polycratis injusto dominatu teneri vidisset, Crotonem in Italiam abiit; apertaque ibi schola, quingentos, & amplius discipulos habuit. Fuerunt ei fratres duo: natu major Eunamus, medius vero Tyrrhenus. Egli non dubita punto di farlo etrusco; e se lo chiama Samio, è perchè in quell’isola dimorò molto tempo con suo padre, come fa offcrvarc anche Laerzio loc. cit. Così potrà dirsi di chi lo fa di Tiro, di Lesbo, o anche Egiziano. Pittagora viaggiò molto, e lasciò fama di sé in molti paesi. Forse ognuno di questi avrà ambito di farselo cittadino. Si vegga il Laparelli loc. cit. pag. 91.