Storia dei fatti de' Langobardi/Capo II

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CAPO II.

Della Scandinavia, e come da quella sieno
usciti i Vinili, ossia Langobardi.

Allo stesso modo anco i Vinili (cioè la gente Langobarda, che poscia felicemente regnò nell’Italia) originarj della Germania, quantunque altre cagioni si raccontino della loro emigrazione, pervennero dall’isola che chiamasi Scandinavia1, della quale fa [p. 7 modifica]menzione Plinio nei libri da lui scritti sulla storia della natura. Questa isola adunque, secondo quello che ci fu riferito da chi l’ha veduta, non può dirsi tanto posta nel mare, [p. 8 modifica]quanto per la pianura dei margini: adacquata dalle onde marine, che circondan le terre. Poichè adunque i popoli in quella stabiliti crebbero in tanta dismisura da non poter più tutti insieme abitare, si narra che tutta la moltitudine dividendosi in tre parti, abbiano tirata la sorte, qual parte dovesse abbandonare la patria, e andar in traccia di nuove sedi2.

  1. Non tutti i geografi s’accordano con Paolo Diacono sull’origine Scandinava dei Longobardi. Cluverio, e Grozio citati dal Gibbon (Decadenza del l’Impero Romano, vol. 8 cap. 42) stanno l’un contro l’altro: il primo impugnando, l’altro confermando l’asserzione del nostro autore. Pare che il Gibbon propenda all’opinione di quegli scrittori, che li stabiliscono di là dell’Elba nel vescovato di Magdeburgo, e nella marca di mezzo di Brandeburgo, dove ora si traggono gli eserciti della Prussia: il che s’accorda con Tacito, che li colloca in mezzo alla gente de’ Suevi, vicino ai Senòni. Ma difficilissimo, per non dire impossibile, è il determinare l’origine e il vero punto della partenza di ciascheduno de’ popoli Barbari che emigrarono dalla loro patria. Le tradizioni sole e i termini delle lingue possono in qualche modo ajutarci; ma anche per questa via si palpa fra la caligine; perchè i fatti si confondono passando di bocca in bocca e d’età in età, e i nomi pure si alterano; onde io senza intender di nulla scemare di quella riverenza che si deve ad un uomo sommo quale si fu l’Eineccio (ibid. I cap. 1. paragr. 12, 13), non potrei mai accordarmi con esso nell’opinione, che col mezzo dei nomi dati dalle antiche genti ai villaggi si potessero ora con sicurezza restituire alle medesime le native sedi. Però l’erudizione rischiarata dalla critica e dalle cognizioni topografiche ha potuto condurre il sig. Le Sage a delineare una carta (Atlante Stor. Cart. n.° 10) in cui si determina, per quanto è possibile, il punto della partenza di cadauno dei popoli Barbari, non che la via che trascorsero nella loro emigrazione. Egli segna i Longobardi come i più vicini alle rive del Baltico, e li conduce fino al di qua del Danubio.
  2. La soprabbondanza degli abitatori rendeva indispensabile l’emigrazione: ma l’abbandonare la patria era da tutti sentito come la massima delle sventure. Per quanto sia triste ed orrido il sito, non par più tale quando ivi è la patria: perciò Tacito stesso (ibid. 2.) esprimendo la naturale inclinazione di fuggire da regioni così inamabili, eccettuò questo caso, nisi patria sit. In tanta necessità era pure grande virtù il tirare la sorte, ed a quella tranquillamente adattarsi.