Storia d'Italia/Libro XII/Capitolo XX

Capitolo XX

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XX

Si ravviva la lotta fra tedeschi e franco—veneziani. Discesa di Cesare con nuove milizie in Italia; suoi successi; intimazione ai milanesi. I francesi si restringono in Milano. Arrivo degli svizzeri. Timori di Cesare e sua ritirata dal milanese. Ritorno di svizzeri in patria. Sacco di Lodi e di Sant’Angelo. Condotta ambigua del pontefice durante l’impresa di Cesare. Presa di Brescia.

In questi pensieri costituito il re, e giá deliberando di non differire il muovere dell’armi, fu necessitato per nuovi accidenti a volgere l’animo alla difesa propria: perché Cesare, ricevuti, secondo le cose cominciate a trattarsi prima col re d’Aragona, centoventimila ducati, si preparava per assaltare, come aveva convenuto con quel re, il ducato di Milano, soccorse che avesse Verona e Brescia. Perché i viniziani, fermato l’esercito, il quale, essendo ritornato il Triulzio a Milano, reggeva Teodoro da Triulzi fatto governatore, sei miglia presso a Brescia, scorrevano cogli stradiotti tutto il paese: i quali, assaltati uno dí da quegli di dentro, e concorrendo da ciascuna delle parti aiuto a’ suoi, gli rimessono dopo non piccola zuffa in Brescia, ammazzatine molti di loro e preso il fratello del governatore della cittá. Pochi dí appresso, Lautrech, principale dell’esercito franzese, e Teodoro da Triulzi, sentito che a Brescia venivano tremila fanti tedeschi per accompagnare i danari che si conducevano per pagare i soldati, mandorno per impedire loro il passare Gianus Fregoso e Giancurrado Orsino, con genti dell’uno e l’altro esercito, alla rocca d’Anfo; le quali n’ammazzorno circa ottocento, gli altri insieme co’ danari si rifuggirno a Lodrone. Mandorno di poi i viniziani in Val di Sabia dumila cinquecento fanti per fortificare il castello di Anfo, i quali abbruciorno Lodrone e Astorio.

Il pericolo che Brescia, cosí stretta e molestata, non si arrendesse costrinse Cesare ad accelerare la sua venuta; il quale, avendo seco cinquemila cavalli, quindicimila svizzeri datigli [p. 386 modifica]dai cinque cantoni e diecimila fanti tra spagnuoli e tedeschi, venne per la via di Trento a Verona; onde l’esercito franzese e viniziano, lasciate bene custodite Vicenza e Padova, si ridusse a Peschiera, affermando volere vietare a Cesare il passare del fiume del Mincio: ma non corrispose, come spesso accade, l’esecuzione al consiglio, perché come sentirno gli inimici approssimarsi, non avendo alla campagna quella audacia a eseguire che aveano avuta ne’ padiglioni a consigliare, passato Oglio, si ritirorono a Cremona, crescendo la riputazione e lo ardire allo inimico e togliendolo a se stessi. Fermossi Cesare, o per cattivo consiglio o tirato dalla mala fortuna sua, a campo ad Asola, custodita da cento uomini d’arme e quattrocento fanti de’ viniziani; ove consumò vanamente piú giorni: il quale indugio si credé certissimamente che gli togliesse la vittoria. Partito da Asola passò il fiume dell’Oglio a Orcinuovi, e gli inimici, lasciati in Cremona trecento lancie e tremila fanti, si ritirorno di lá dal fiume dell’Adda con pensiero di impedirgli il passare; per la ritirata de’ quali tutto il paese che è tra l’Oglio e il Po e l’Adda si ridusse a divozione di Cesare, eccettuate Cremona e Crema, l’una guardata da’ franzesi l’altra da viniziani. Seguitavano Cesare il cardinale sedunense e molti fuorusciti del ducato di Milano e Marcantonio Colonna soldato del pontefice con [dugento] uomini d’arme: per le quali cose cresceva tanto piú il timore de’ franzesi, la maggiore parte della speranza de’ quali si riduceva se diecimila svizzeri, a’ quali era stato numerato lo stipendio di tre mesi, non tardavano piú a venire. Passato l’Oglio, si accostò Cesare al fiume dell’Adda per passarla a Pizzichitone; dove trovando difficoltá venne a Rivolta, stando i franzesi a Casciano di lá dal fiume. I quali il dí seguente, non essendo venuti i svizzeri e possendosi l’Adda guadare in piú luoghi, si ritirorono a Milano; non senza infamia di Lautrech, che aveva publicato e scritto al re che impedirebbe a Cesare il passo di quello fiume: al quale, passato senza ostacolo, s’arrendé subito la cittá di Lodi. Accostatosi a Milano a poche miglia, mandò uno araldo a dimandare la terra, minacciando i [p. 387 modifica]milanesi che se fra tre dí non cacciavano lo esercito franzese, farebbe peggio a quella cittá che non aveva fatto Federigo Barbarossa suo antecessore; il quale, non contento di averla abbruciata e disfatta, vi fece, per memoria della sua ira e della loro rebellione, seminare il sale.

Ma tra i franzesi, ritirati con grandissimo spavento in Milano, erano stati vari consigli; inclinando alcuni ad abbandonare bruttamente Milano per non si riputare pari a resistere agli inimici né credere che i svizzeri, ancorché giá si sapesse essere in cammino, avessino a venire, e perché si intendeva che i cantoni o avevano giá comandato o erano in procinto di comandare che i svizzeri si partissino da’ servizi dell’uno e dell’altro: e pareva dubitabile che non fusse piú pronta la ubbidienza di quegli che ancora erano in cammino che di quegli che giá erano cogli inimici. Altri detestavano la partita come piena di infamia; e avendo migliore speranza della venuta de’ svizzeri e del potere difendere Milano, consigliavano il mettersi alla difesa, e che rimosso in tutto il pensiero di combattere e ritenuto in Milano tutti i fanti e ottocento lancie, distribuissino l’altre e quelle de’ viniziani e tutti i cavalli leggieri per le terre vicine, per guardarle e per molestare agli inimici le vettovaglie. Nondimeno, si sarebbe eseguito il primo consiglio se non avessino molto dissuaso Andrea Gritti e Andrea Trivisano proveditori de’ viniziani; l’autoritá de’ quali, non potendo ottenere altro, operò questo, che il partirsi si deliberò alquanto piú lentamente, di maniera che, giá volendo partirsi, sopravennero novelle certe che il dí seguente sarebbe Alberto Petra con diecimila tra svizzeri e grigioni a Milano. Per il che ripreso animo, ma non però confidando di difendere i borghi, si fermorno nella cittá, abbruciati pure per consiglio de’ proveditori viniziani i borghi: i quali consigliorono cosí o perché giudicassino essere necessario alla difesa di quella terra o perché, con questa occasione, volessino sodisfare all’odio antico che è tra i milanesi e i viniziani. Cacciorono ancora della cittá, o ritenneno in onesta custodia, molti de’ principali della parte ghibellina, [p. 388 modifica]come inclinati al nome dello imperio per lo studio della fazione e per essere nello esercito tanti della medesima parte.

Cesare intratanto si pose con l’esercito a Lambrá, vicino a due miglia a Milano; dove essendo, arrivorno a Milano i svizzeri: i quali, mostrandosi pronti a difendere quella cittá, recusavano di volere combattere con gli altri svizzeri. La venuta loro rendé gli spiriti a’ franzesi, ma molto maggiore terrore dette a Cesare. Il quale, considerando l’odio antico di quella nazione contro alla casa di Austria, e ritornandogli in memoria quello che, per trovarsi i svizzeri in tutti due gli eserciti oppositi, fusse accaduto a Lodovico Sforza, cominciò a temere che a sé non facessino il medesimo; parendogli piú verisimile ingannassino lui, che aveva difficoltá di pagargli, che i franzesi, a’ quali non mancherebbono i danari né per pagargli né per corrompergli: e accrescevagli la dubitazione che Iacopo Stafflier, capitano generale de’ svizzeri, gli aveva con grande arroganza domandata la paga; la quale, oltre alle altre difficoltá, si differiva perché, venendogli danari di Germania, gli erano stati ritenuti da’ fanti spagnuoli che erano in Brescia, per pagarsi de’ soldi corsi. Però commosso maravigliosamente dal timore di questo pericolo, levato subito l’esercito, si ritirò verso il fiume dell’Adda: non dubitando alcuno che se tre dí prima si fusse accostato a Milano, il quale tempo dimorò intorno ad Asola, i franzesi molto piú ambigui e incerti della venuta de’ svizzeri sarebbono ritornati di lá da’ monti; anzi non si dubita, che se cosí presto non si partivano, o che i franzesi, non si confidando pienamente de’ svizzeri per il rispetto dimostravano a quei che erano con Cesare, arebbono seguitato il primo consiglio, o che i svizzeri medesimi, presa scusa dal comandamento de’ suoi superiori che giá era espedito, arebbono abbandonato i franzesi.

Passò Cesare il fiume dell’Adda non lo seguitando i svizzeri; i quali, protestando di partirsi se non erano pagati tra quattro dí, si fermorno a Lodi; dando continuamente Cesare, che si era fermato nel territorio di Bergamo, speranza de’ pagamenti, perché diceva aspettare nuovi danari dal re di [p. 389 modifica]Inghilterra, e minacciando di ritornare a Milano: cosa che teneva in sospetto grandissimo i franzesi, incerti piú che mai della fede de’ svizzeri. Perché, oltre alla tarditá usata studiosamente nel venire e l’avere sempre detto non volere combattere contro a’ svizzeri dell’esercito inimico, era venuto il comandamento de’ cantoni che partissino dagli stipendi de’ franzesi; per il quale ne erano giá partiti circa duemila e si temeva che gli altri non facessino il medesimo: benché i cantoni, da altra parte, affermavano al re avere occultamente comandato a’ suoi fanti il contrario. Finalmente Cesare, il quale, riscossi dalla cittá di Bergamo sedicimila ducati, era andato sotto speranza di uno trattato verso Crema, ritornato senza fare effetto nel bergamasco, deliberò di andare a Trento. Però, significata a’ capitani dell’esercito la sua deliberazione, e affermato muoversi a questo per fare nuovi provedimenti di danari, co’ quali e con quegli del re di Inghilterra, che erano in cammino, ritornerebbe subito, gli confortò ad aspettare il suo ritorno: i quali, saccheggiato Lodi ed espugnata senza artiglierie la fortezza e saccheggiata la terra di Santangelo, stretti dal mancamento delle vettovaglie, si erano ridotti nella Ghiaradadda. È fama che Cesare nel medesimo parlamento, perché i cappelletti de’ viniziani (sono il medesimo i cappelletti che gli stradiotti), divisi in piú parti e correndo per tutto il paese infestavano dí e notte l’esercito, stracco insieme con gli altri da tante molestie, disse a’ suoi che si guardassino da’ cappelletti, soggiugnendo (se è vero quel che allora si divulgò) che gli erano sempre, come si diceva di Iddio, in qualunque luogo.

Fu dopo la partita di Cesare qualche speranza che i svizzeri, co’ quali a Romano si uní tutto l’esercito, passassino di nuovo il fiume dell’Adda; perché nel campo era venuto il marchese di Brandiborg, e a Bergamo il cardinale sedunense con trentamila ducati mandati dal re di Inghilterra: per il quale timore il duca di Borbone, da cui erano partiti quasi tutti i svizzeri, e i soldati viniziani erano venuti con l’esercito in sulla riva di lá dal fiume. Ma diventorno facilmente [p. 390 modifica]vani i pensieri degli inimici, perché i svizzeri, non bastando i danari venuti a pagare gli stipendi giá corsi, ritornorno per la valle di Voltolina al paese loro; e per la medesima cagione tremila fanti, parte spagnuoli parte tedeschi, passorono nel campo franzese e viniziano. Il quale, avendo passato il fiume dell’Adda, non aveva cessato di infestare piú dí con varie scorrerie e scaramuccie gli inimici, con accidenti vari, ora ricevendo maggiore danno i franzesi (i quali in una scaramuccia grossa appresso a Bergamo perderono circa dugento uomini d’arme), ora gli inimici, de’ quali in uno assalto simile fu preso Cesare Fieramosca: il resto della gente, ricevuto uno ducato per uno, si accostò a Brescia; ma, essendo molto molestati da’ cavalli leggieri, Marcantonio Colonna co’ fanti tedeschi e con alcuni fanti spagnuoli entrò in Verona, e gli altri tutti si dissolverono.

Questo fine ebbe il movimento di Cesare, nel quale al re fu molto sospetto il pontefice; perché avendolo ricercato che, secondo gli oblighi della lega fatta tra loro, mandasse cinquecento uomini d’arme alla difesa dello stato di Milano, o almeno gli accostasse a’ suoi confini, e gli pagasse tremila svizzeri, secondo allegava avere offerto ad Antonmaria Palavicino, il pontefice, rispondendo freddamente al pagamento de’ svizzeri e scusando essere male in ordine le genti sue, prometteva mandare quelle de’ fiorentini: le quali con alcuni de’ soldati suoi si mossono molto lentamente verso Bologna e verso Reggio. Accrebbe il sospetto, che la venuta di Cesare fusse stata con sua partecipazione, l’avere creato legato a lui, come prima intese essere entrato in Italia, Bernardo da Bibbiena cardinale di Santa Maria in Portico, solito sempre a impugnare appresso al pontefice le cose franzesi; e molto piú l’avere permesso che Marcantonio Colonna seguitasse con le sue genti l’esercito di Cesare. Ma la veritá fu [che al pontefice fu] molesta, per l’interesse proprio, la venuta di Cesare con tante forze, temendo che vincitore non tentasse di opprimere, secondo l’antica inclinazione, tutta Italia; ma per timore, e perché questo procedere era conforme alla sua natura, [p. 391 modifica]occultando i suoi pensieri, si ingegnava farsi odioso il meno che poteva a ciascuna delle parti. Però non ardí rivocare Marcantonio, non ardí mandare gli aiuti debiti al re, creò il legato a Cesare; e da altra parte, essendo giá partito Cesare da Milano, operò che il legato, simulando infermitá, si fermasse a Rubiera, per speculare innanzi passasse piú oltre dove inclinavano le cose: e dipoi, per mitigare l’animo del re, volle che Lorenzo suo nipote, continuando la simulazione della dependenza cominciata a Milano, gli facesse donare da’ fiorentini i danari da pagare per uno mese tremila svizzeri; i quali danari benché il re accettasse, diceva nondimeno, dimostrando di conoscere le arti del pontefice, che, poiché sempre gli era contrario nella guerra né la confederazione fatta seco gli aveva giovato ne’ tempi del pericolo, voleva di nuovo farne un’altra che non l’obligasse se non nella pace e ne’ tempi sicuri.

Dissoluto l’esercito di Cesare, i viniziani, non aspettati i franzesi, si accostorno all’improviso una notte a Brescia con le scale, confidandosi nel piccolo numero de’ difensori, perché non vi erano rimasti piú che secento fanti spagnuoli e quattrocento cavalli; ma non essendo le scale lunghe a bastanza, e resistendo valorosamente quegli di dentro, non l’ottennono. Sopravenne poi l’esercito franzese sotto Odetto di Fois, eletto nuovamente successore al duca di Borbone, partito spontaneamente dal governo di Milano. Assaltorno questi eserciti Brescia con l’artiglierie da quattro parti, acciò che gli assediati non potessino resistere in tanti luoghi: i quali si sostentorno mentre ebbono speranza che settemila fanti del contado di Tiruolo, venuti per comandamento di Cesare alla montagna, passassino piú innanzi; ma come questo non succedette, per l’opposizione fatta da’ viniziani alla rocca d’Anfo e ad altri passi, essi non volendo aspettare la battaglia che, essendo giá in terra spazio grande di muraglia, si doveva dare il dí seguente, convennono i soldati di uscire della terra e della fortezza, con le cose loro solamente, se infra un dí non erano soccorsi.