Storia d'Italia/Libro X/Capitolo XIII
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XIII
Convertironsi dipoi il dí seguente i pensieri dal combattere le mura al combattere con gli inimici; i quali, alla mossa dello esercito franzese, volendo osservare la fede data a Marcantonio, entrati a Furlí, tra i fiumi medesimi e dopo alquante miglia passato il fiume del Ronco, venivano verso Ravenna. Nel quale tempo i cittadini della terra, impauriti per la battaglia data il dí precedente, mandorono senza saputa di Marcantonio uno di loro a trattare di arrendersi. Il quale mentre va innanzi e indietro con le risposte, ecco scoprirsi l’esercito inimico che camminava lungo il fiume. Alla vista del quale si levò subito con grandissimo romore in armi l’esercito franzese, armati tutti entrorno ne’ loro squadroni, levoronsi tumultuosamente dalle mura l’artiglierie e levate si voltorno verso gli inimici; consultando intrattanto Fois con gli altri capitani se fusse da passare all’ora medesima il fiume per opporsi che non entrassino in Ravenna: il che o non arebbono deliberato di fare, o almeno era impossibile coll’ordine conveniente e con la prestezza necessaria; dove a loro fu facile l’entrare quel giorno in Ravenna, per il bosco della Pigneta che è tra ’l mare e la cittá: la qual cosa costrigneva i franzesi a partirsi, per la penuria delle vettovaglie, disonoratamente della Romagna. Ma essi, o non conoscendo l’occasione e temendo di non essere sforzati, mentre camminavano, a combattere in campagna aperta, o giudicando per l’approssimarsi loro essere abbastanza soccorsa Ravenna, perché Fois non ardirebbe piú di darvi la battaglia, si fermorno contro all’espettazione di tutti appresso a tre miglia a Ravenna, dove si dice il Mulinaccio, e fermati attesono, tutto il rimanente di quel dí e la notte seguente, a fare lavorare un fosso, tanto largo e tanto profondo quanto patí la brevitá del tempo, innanzi alla fronte del loro alloggiamento. Nel qual tempo si consigliava, non senza diversitá di pareri, tra’ capitani franzesi. Perché dare di nuovo l’assalto alla cittá era giudicato di molto pericolo, avendo innanzi a sé poca apertura del muro e alle spalle gli inimici; inutile il soprasedere, senza speranza di fare piú effetto alcuno, anzi impossibile per la carestia delle vettovaglie; e il ritirarsi rendere agli spagnuoli maggiore riputazione di quella che essi col farsi innanzi avevano i dí precedenti guadagnata: pericolosissimo, e contro alle deliberazioni sempre fatte, l’assaltargli nel loro alloggiamento, il quale si pensava avessino fortificato; e tra tutti i pericoli doversi piú fuggire quello dal quale ne potevano succedere maggiori mali, né potersi disordine o male alcuno pareggiare all’essere rotti. Nelle quali difficoltá fu alla fine deliberato, confortando massimamente Fois questa deliberazione come cosa piú gloriosa e piú sicura, andare, come prima apparisse il dí, ad assaltare gli inimici: secondo la quale deliberazione, gittato la notte il ponte in sul Ronco e spianati, per facilitare il passare, gli argini delle ripe da ogni parte, la mattina all’aurora che fu l’undecimo dí d’aprile, dí solennissimo per la memoria della santissima Resurrezione, passorno per il ponte i fanti tedeschi, ma quasi tutti quegli della avanguardia e della battaglia passorno a guazzo il fiume; il retroguardo guidato da Ivo di Allegri, nel quale erano quattrocento lancie, rimase in sulla riva del fiume verso Ravenna, perché secondo il bisogno potesse soccorrere all’esercito e opporsi se i soldati o il popolo uscissino di Ravenna; e alla guardia del ponte, gittato prima in sul Montone, fu lasciato Paris Scoto con mille fanti.
Preparoronsi con questo ordine i franzesi alla battaglia. L’avanguardia con l’artiglierie innanzi, guidata dal duca di Ferrara, e ove era anche il [generale] di Normandia con settecento lancie e co’ fanti tedeschi, fu collocata in sulla riva del fiume che era loro a mano destra, stando i fanti alla sinistra della cavalleria. Allato all’antiguardia, pure per fianco, furno posti i fanti della battaglia, ottomila, parte guasconi parte piccardi; e dipoi, allargandosi pure sempre tanto piú dalla riva del fiume, fu posto l’ultimo squadrone de’ fanti italiani guidati da Federico da Bozzole e da... degli Scotti, nel quale non erano piú che cinquemila fanti, perché con tutto che Fois, passando innanzi a Bologna, avesse raccolti quelli che vi erano a guardia, molti si erano fuggiti per la strettezza de’ pagamenti; e allato a questo squadrone, tutti gli arcieri e cavalli leggieri che passavano il numero di tremila. Dietro a tutti questi squadroni, i quali non distendendosi per linea retta ma piegandosi facevano quasi forma di mezza luna, dietro a tutti, in sulla riva del fiume erano collocate le secento lancie della battaglia, guidate dal la Palissa e insieme dal cardinale di San Severino legato del concilio, il quale grandissimo di corpo e di vasto animo, coperto dal capo insino a’ piedi d’armi lucentissime, faceva molto piú l’ufficio del capitano che di cardinale o di legato. Non si riservò Fois luogo o cura alcuna particolare, ma eletti di tutto l’esercito trenta valorosissimi gentiluomini volle essere libero a provedere e soccorrere per tutto, facendolo manifestamente riconoscere dagli altri lo splendore e la bellezza dell’armi e la sopravesta, e allegrissimo nel volto, con gli occhi pieni di vigore e quasi per la letizia sfavillanti. Come l’esercito fu ordinato, salito in su l’argine del fiume, con facondia (cosí divulgò la fama) piú che militare, parlò accendendo gli animi dello esercito in questo modo:
— Quello che, soldati miei, noi abbiamo tanto desiderato, di potere nel campo aperto combattere con gli inimici, ecco che, questo dí, la fortuna stataci in tante vittorie benigna madre ci ha largamente conceduto, dandoci l’occasione d’acquistare con infinita gloria la piú magnifica vittoria che mai alla memoria degli uomini acquistasse esercito alcuno: perché non solo Ravenna non solo tutte le terre di Romagna resteranno esposte alla vostra discrezione ma saranno parte minima de’ premi del vostro valore; conciossiaché, non rimanendo piú in Italia chi possa opporsi all’armi vostre, scorreremo senza resistenza alcuna insino a Roma; ove le ricchezze smisurate di quella scelerata corte, estratte per tanti secoli dalle viscere de’ cristiani, saranno saccheggiate da voi: tanti ornamenti superbissimi tanti argenti tanto oro tante gioie tanti ricchissimi prigioni che tutto il mondo ará invidia alla sorte vostra. Da Roma, colla medesima facilitá, correremo insino a Napoli, vendicandoci di tante ingiurie ricevute. La quale felicitá io non so immaginarmi cosa alcuna che sia per impedircela, quando io considero la vostra virtú la vostra fortuna l’onorate vittorie che avete avute in pochi dí, quando io riguardo i volti vostri, quando io mi ricordo che pochissimi sono di voi che innanzi agli occhi miei non abbino con qualche egregio fatto data testimonianza del suo valore. Sono gli inimici nostri quegli medesimi spagnuoli che per la giunta nostra si fuggirono vituperosamente di notte da Bologna; sono quegli medesimi che, pochi dí sono, non altrimenti che col fuggirsi alle mura d’Imola e di Faenza o ne’ luoghi montuosi e difficili, si salvorono da noi. Non combatté mai questa nazione nel regno di Napoli con gli eserciti nostri in luogo aperto ed eguale ma con vantaggio sempre o di ripari o di fiumi o di fossi, non confidatisi mai nella virtú ma nella fraude e nelle insidie. Benché, questi non sono quegli spagnuoli inveterati nelle guerre napoletane ma gente nuova e inesperta, e che non combatté mai contro ad altre armi che contro agli archi e le freccie e le lancie spuntate de’ mori; e nondimeno rotti con tanta infamia, da quella gente debole di corpo timida d’animo disarmata e ignara di tutte l’arti della guerra, l’anno passato, all’Isola delle Gerbe; dove fuggendo questo medesimo Pietro Navarra, capitano appresso a loro di tanta fama, fu esempio memorabile a tutto il mondo che differenza sia a fare battere le mura con l’impeto della polvere e con le cave fatte nascosamente sotto terra a combattere con la vera animositá e fortezza. Stanno ora rinchiusi dietro a uno fosso fatto con grandissima paura questa notte, coperti i fanti dall’argine e confidatisi nelle carrette armate come se la battaglia si avesse a fare con questi instrumenti puerili e non con la virtú dell’animo e con la forza de’ petti e delle braccia. Caverannogli, prestatemi fede, di queste loro caverne le nostre artiglierie, condurrannogli alla campagna scoperta e piana: dove apparirá quello che l’impeto franzese la ferocia tedesca e la generositá degli italiani vaglia piú che l’astuzia e gli inganni spagnuoli. Non può cosa alcuna diminuire la gloria nostra se non l’essere noi tanto superiori di numero, e quasi il doppio di loro; e nondimeno, l’usare questo vantaggio, poiché ce lo ha dato la fortuna, non sará attribuito a viltá nostra ma a imprudenza e temeritá loro: i quali non conduce a combattere il cuore o la virtú ma l’autoritá di Fabbrizio Colonna, per le promesse fatte inconsideratamente a Marcantonio; anzi la giustizia divina, per castigare con giustissime pene la superbia ed enormi vizi di Giulio falso pontefice, e tante fraudi e tradimenti usati alla bontá del nostro re dal perfido re di Aragona. Ma perché mi distendo io piú in parole? perché con superflui conforti, appresso a soldati di tanta virtú, differisco io tanto la vittoria quanto di tempo si consuma a parlare con voi? Fatevi innanzi valorosamente secondo l’ordine dato, certi che questo dí dará al mio re la signoria a voi le ricchezze di tutta Italia. Io vostro capitano sarò sempre in ogni luogo con voi ed esporrò, come sono solito, la vita mia a ogni pericolo; felicissimo piú che mai fusse alcuno capitano poi che ho a fare, con la vittoria di questo dí, piú gloriosi e piú ricchi i miei soldati che mai, da trecento anni in qua, fussino soldati o esercito alcuno. —
Da queste parole, risonando l’aria di suoni di trombe e di tamburi e di allegrissimi gridi di tutto l’esercito, cominciorono a muoversi verso lo alloggiamento degli inimici, distante dal luogo dove avevano passato il fiume manco di due miglia: i quali, alloggiati distesi in su la riva del fiume che era loro da mano sinistra, e fatto innanzi a sé uno fosso tanto profondo quanto la brevitá del tempo aveva permesso (che girando da mano destra cigneva tutto lo alloggiamento), lasciato aperto per potere uscire co’ cavalli a scaramucciare in su la fronte del fosso uno spazio di venti braccia, dentro al quale alloggiamento, come sentirno i franzesi cominciare a passare il fiume, si erano messi in battaglia con questo ordine: l’avanguardia di ottocento uomini d’arme, guidata da Fabrizio Colonna, collocata lungo la riva del fiume, e congiunto a quella a mano destra uno squadrone di seimila fanti: dietro all’avanguardia, pure lungo il fiume, era la battaglia di secento lancie, e allato uno squadrone di quattromila fanti, condotta dal viceré, e con lui il marchese della Palude; e in questa veniva il cardinale de’ Medici, privo per natura in gran parte del lume degli occhi, mansueto di costumi e in abito di pace, e nelle dimostrazioni e negli effetti molto dissimile al cardinale di San Severino. Seguitava dietro alla battaglia, pure in su la riva del fiume, il retroguardo di quattrocento uomini d’arme condotto da Carvagial capitano spagnuolo, con lo squadrone allato di quattromila fanti; e i cavalli leggieri, de’ quali era capitano generale Fernando Davalo marchese di Pescara, ancora giovanetto ma di rarissima espettazione, erano posti a mano destra alle spalle de’ fanti per soccorrere quella parte che inclinasse: l’artiglierie erano poste alla testa delle genti d’arme; e Pietro Navarra, che con cinquecento fanti eletti non si era obligato a luogo alcuno, aveva in sul fosso alla fronte della fanteria collocato trenta carrette che avevano similitudine de’ carri falcati degli antichi, cariche di artiglierie minute, con uno spiede lunghissimo sopra esse per sostenere piú facilmente l’assalto de’ franzesi. Col quale ordine stavano fermi dentro alla fortezza del fosso, aspettando che l’esercito inimico venisse ad assaltargli: la quale deliberazione come non riuscí utile nella fine apparí similmente molto nociva nel principio. Perché era stato consiglio di Fabrizio Colonna che si percotesse negli inimici quando cominciorno a passare il fiume, giudicando maggiore vantaggio il combattere con una parte sola che quello che dava loro l’avere fatto innanzi a sé uno piccolo fosso; ma contradicendo Pietro Navarra, i cui consigli erano accettati quasi come oracoli dal viceré, fu deliberato, poco prudentemente, lasciargli passare.
Però, fattisi innanzi i franzesi e giá vicini circa dugento braccia al fosso, come veddeno stare fermi gli inimici né volere uscire dello alloggiamento si fermorono, per non dare quello vantaggio che essi cercavano d’avere. Cosí stette immobile l’uno esercito e l’altro per spazio di piú di due ore; tirando in questo tempo da ogni parte infiniti colpi d’artiglierie, dalle quali pativano non poco i fanti de’ franzesi per avere il Navarra piantato l’artiglieria in luogo che molto gli offendeva. Ma il duca di Ferrara, tirata dietro all’esercito una parte dell’artiglierie, le condusse con celeritá grande alla punta de’ franzesi, nel luogo proprio dove erano collocati gli arcieri: la quale punta, per avere l’esercito forma curva, era quasi alle spalle degli inimici: donde cominciò a battergli per fianco ferocemente, e con grandissimo danno, massime della cavalleria, perché i fanti spagnuoli, ritirati dal Navarra in luogo basso accanto all’argine del fiume e gittatisi per suo comandamento distesi in terra, non potevano essere percossi. Gridava con alta voce Fabbrizio, e con spessissime imbasciate importunava il viceré, che senza aspettare di essere consumati da’ colpi delle artiglierie si uscisse alla battaglia; ma ripugnava il Navarra, mosso da perversa ambizione, perché presupponendosi dovere per la virtú de’ fanti spagnuoli rimanere vittorioso, quando bene fussino periti tutti gli altri, riputava tanto augumentarsi la gloria sua quanto piú cresceva il danno dell’esercito. Ma era giá tale il danno che nella gente d’arme e ne’ cavalli leggieri faceva l’artiglieria che piú non si poteva sostenere; e si vedevano, con miserabile spettacolo mescolato con gridi orribili, ora cadere per terra morti i soldati e i cavalli ora balzare per aria le teste e le braccia spiccate dal resto del corpo. Però Fabrizio, esclamando: — abbiamo noi tutti vituperosamente a morire per la ostinazione e per la malignitá di uno marrano? ha a essere distrutto tutto questo esercito senza che facciamo morire uno solo degli inimici? dove sono le nostre tante vittorie contro a’ franzesi? ha l’onore di Spagna e di Italia a perdersi per uno Navarro? — spinse fuora del fosso la sua gente d’arme, senza aspettare o licenza o comandamento del viceré: dietro al quale seguitando tutta la cavalleria, fu costretto Pietro Navarra dare il segno a’ suoi fanti; i quali, rizzatisi con ferocia grande, si attaccorono co’ fanti tedeschi che giá s’erano approssimati a loro. Cosí mescolate tutte le squadre cominciò una grandissima battaglia, e senza dubbio delle maggiori che per molti anni avesse veduto Italia: perché e la giornata del Taro era stata poco altro piú che uno gagliardo scontro di lancie, e i fatti d’arme del regno di Napoli furono piú presto disordini o temeritá che battaglie, e nella Ghiaradadda non aveva dell’esercito de’ viniziani combattuto altro che la minore parte; ma qui, mescolati tutti nella battaglia, che si faceva in campagna piana senza impedimento di acque o ripari, combattevano due eserciti d’animo ostinato alla vittoria o alla morte, infiammati non solo dal pericolo dalla gloria e dalla speranza ma ancora da odio di nazione contro a nazione. E fu memorabile spettacolo che, nello scontrarsi i fanti tedeschi con gli spagnuoli, messisi innanzi agli squadroni due capitani molto pregiati, Iacopo Empser tedesco e Zamudio spagnuolo, combatterono quasi per provocazione; dove ammazzato lo inimico restò lo spagnuolo vincitore. Non era, per l’ordinario, pari la cavalleria dell’esercito della lega alla cavalleria de’ franzesi, e l’avevano il dí conquassata e lacerata in modo l’artiglierie che era diventata molto inferiore: però, poi che ebbe sostentato per alquanto spazio di tempo piú col valore del cuore che colle forze l’impeto degli inimici, e sopravenendo addosso a loro per fianco Ivo d’Allegri col retroguardo e co’ mille fanti lasciati al Montone, chiamato dal la Palissa, e preso giá da’ soldati del duca di Ferrara Fabbrizio Colonna mentre che valorosamente combatteva, non potendo piú resistere voltò le spalle; aiutata anche dall’esempio de’ capitani, perché il viceré e Carvagial, non fatta l’ultima esperienza della virtú de’ suoi, si messono in fuga conducendone quasi intero il terzo squadrone; e con loro fuggí Antonio De Leva, uomo allora di piccola condizione ma che poi, esercitato per molti anni in tutti i gradi della milizia, diventò chiarissimo capitano. Erano giá stati rotti tutti i cavalli leggieri e preso il marchese di Pescara loro capitano, pieno di sangue e di ferite; preso il marchese della Palude, il quale per uno campo pieno di fosse e di pruni aveva condotto alla battaglia con disordine grande il secondo squadrone; coperto il terreno di cavalli e d’uomini morti; e nondimeno la fanteria spagnuola, abbandonata da’ cavalli, combatteva con incredibile ferocia; e se bene nel primo scontro co’ fanti tedeschi era stata alquanto urtata dall’ordinanza ferma delle picche, accostatasi poi a loro alla lunghezza delle spade, e molti degli spagnuoli coperti dagli scudi entrati co’ pugnali tra le gambe de’ tedeschi, erano con grandissima uccisione pervenuti giá quasi a mezzo lo squadrone. Presso a’ quali i fanti guasconi, occupata la via tra il fiume e l’argine, avevano assaltato i fanti italiani; i quali, benché avessino patito molto dall’artiglieria, nondimeno gli rimettevano con somma laude se con una compagnia di cavalli non fusse entrato tra loro Ivo d’Allegri: con maggiore virtú che fortuna, perché essendogli quasi subito ucciso innanzi agli occhi propri Viverroé, suo figliuolo, egli non volendo sopravivere a tanto dolore, gittatosi col cavallo nella turba piú stretta degli inimici, combattendo come si conveniva a fortissimo capitano e avendone giá morti di loro, fu ammazzato. Piegavano i fanti italiani non potendo resistere a tanta moltitudine, ma una parte de’ fanti spagnuoli, corsa al soccorso loro, gli fermò nella battaglia; e i fanti tedeschi, oppressi dall’altra parte degli spagnuoli, a fatica potevano piú resistere: ma essendo giá fuggita tutta la cavalleria, si voltò loro addosso Fois con grande moltitudine di cavalli; per il che gli spagnuoli, piú tosto ritraendosi che scacciati dalla battaglia, non perturbati in parte alcuna gli ordini loro, entrati in su la via che è tra il fiume e l’argine, camminando di passo e con la fronte stretta, e però per la fortezza di quella ributtando i franzesi, cominciorono a discostarsi. Nel qual tempo il Navarra, desideroso piú di morire che di salvarsi e però non si partendo dalla battaglia, rimase prigione. Ma non potendo comportare Fois che quella fanteria spagnuola se ne andasse, quasi come vincitrice, salva nell’ordinanza sua, e conoscendo non essere perfetta la vittoria se questi come gli altri non si rompevano, andò furiosamente ad assaltargli con una squadra di cavalli, percotendo negli ultimi; da’ quali attorniato e gittato da cavallo o, come alcuni dicono, essendogli caduto mentre combatteva il cavallo addosso, ferito d’una lancia in uno fianco fu ammazzato: e se, come si crede, è desiderabile il morire a chi è nel colmo della maggiore prosperitá, morte certo felicissima, morendo acquistata giá sí gloriosa vittoria. Morí di etá molto giovane, e con fama singolare per tutto il mondo, avendo in manco di tre mesi, e prima quasi capitano che soldato, con incredibile celeritá e ferocia ottenuto tante vittorie. Rimase in terra appresso a lui con venti ferite Lautrech, quasi per morto; che poi, condotto a Ferrara, per la diligente cura de’ medici salvò la vita.
Per la morte di Fois furno lasciati andare senza molestia alcuna i fanti spagnuoli: il rimanente dell’esercito era giá dissipato e messo in fuga, presi i carriaggi, prese le bandiere e l’artiglierie, preso il legato del pontefice, il quale dalle mani degli stradiotti venuto in potestá di Federico da Bozzole fu da lui presentato al legato del concilio; presi Fabrizio Colonna Pietro Navarra il marchese della Palude quello di Bitonto il marchese di Pescara e molti altri signori e baroni e onorati gentiluomini spagnuoli e del regno di Napoli. Niuna cosa è piú incerta che il numero de’ morti nelle battaglie; nondimeno, nella varietá di molti, si afferma piú comunemente che trall’uno esercito e l’altro morirno almeno diecimila uomini, il terzo de’ franzesi i due terzi degli inimici; altri dicono di molti piú, ma senza dubbio quasi tutti i piú valorosi e piú eletti, tra’ quali, degli ecclesiastici, Raffaello de’ Pazzi condottiere di chiaro nome; e moltissimi feriti. Ma in questa parte fu senza comparazione molto maggiore il danno del vincitore per la morte di Fois, di Ivo d’Allegri e di molti uomini della nobiltá franzese; il capitano Iacob, e piú altri valorosi capitani della fanteria tedesca, alla virtú della quale si riferiva, ma con prezzo grande del sangue loro, in non piccola parte la vittoria; molti capitani, insieme con Molard, de’ guasconi e de’ piccardi: le quali nazioni perderono, quel dí, appresso a’ franzesi tutta la gloria loro. Ma tutto il danno trapassò la morte di Fois, col quale mancò del tutto il nervo e la ferocia di quello esercito. De’ vinti che si salvorno nella battaglia fuggí la maggiore parte verso Cesena, onde fuggivano ne’ luoghi piú distanti; né il viceré si fermò prima che in Ancona, ove pervenne accompagnato da pochissimi cavalli. Furonne svaligiati e morti molti nella fuga, perché e i paesani correvano per tutto alle strade, e il duca di Urbino, il quale, mandato molti dí prima Baldassarre da Castiglione al re di Francia, e avendo uomini propri appresso a Fois, si credeva che occultamente avesse convenuto contro al zio, non solo suscitò contro a quegli che fuggivano gli uomini del paese ma mandò soldati a fare il medesimo nel territorio di Pesero: sole quelle che fuggirono per le terre de’ fiorentini, per comandamento degli ufficiali, e poi della republica, passorno illese.
Ritornato l’esercito vincitore agli alloggiamenti, i ravennati mandorno subito ad arrendersi: ma, o mentre che convengono o che giá convenuto attendono a ordinare vettovaglie per mandarle nel campo, intermessa la diligenza del guardare le mura, i fanti tedeschi e guasconi, entrati per la rottura del muro battuto nella terra, crudelissimamente la saccheggiorno; accendendogli a maggiore crudeltá, oltre all’odio naturale contro al nome italiano, lo sdegno del danno ricevuto nella giornata. Lasciò, il quarto dí poi, Marcantonio Colonna la cittadella nella quale si era rifuggito, salve le persone e la roba; ma promettendo all’incontro insieme con gli altri capitani, di non prendere piú arme né contro al re di Francia né contro al concilio pisano insino alla festivitá prossima di Maria Maddalena: né molti dí poi, ’l vescovo Vitello preposto con cento cinquanta fanti alla rocca, concedutagli la medesima facoltá, consentí di darla. Seguitorno la fortuna della vittoria le cittá di Imola di Furlí di Cesena e di Rimini, e tutte le rocche della Romagna, eccetto quelle di Furlí e di Imola: le quali tutte furno ricevute dal legato in nome del concilio pisano. Ma l’esercito franzese, rimasto per la morte di Fois e per tanto danno ricevuto come attonito, dimorava oziosamente quattro miglia appresso a Ravenna; e incerti il legato e la Palissa (ne’ quali era pervenuto il governo, perché Alfonso da Esti se ne era giá ritornato a Ferrara) quale fusse la volontá del re, aspettavano le sue commissioni, non essendo anche appresso a’ soldati di tanta autoritá che fusse bastante a fare muovere l’esercito, implicato nel dispensare o mandare in luoghi sicuri le robe saccheggiate, e indeboliti tanto di forze e di animo per la vittoria acquistata con tanto sangue che parevano piú simili a vinti che vincitori; onde tutti i soldati con lamenti e con lacrime chiamavano il nome di Fois; il quale, non impediti né spaventati da cosa alcuna, arebbono seguitato per tutto. Né si dubitava che, tirato dallo impeto della sua ferocia e dalle promesse fattegli, secondo si diceva, dal re, che a lui si acquistasse il reame di Napoli, sarebbe, subito dopo la vittoria, con la consueta celeritá corso a Roma, e che il pontefice e gli altri, non avendo alcuna altra speranza di salvarsi, si sarebbeno precipitosamente messi in fuga.