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libro decimo - cap. xiv | 193 |
in nome del concilio pisano. Ma l’esercito franzese, rimasto per la morte di Fois e per tanto danno ricevuto come attonito, dimorava oziosamente quattro miglia appresso a Ravenna; e incerti il legato e la Palissa (ne’ quali era pervenuto il governo, perché Alfonso da Esti se ne era giá ritornato a Ferrara) quale fusse la volontá del re, aspettavano le sue commissioni, non essendo anche appresso a’ soldati di tanta autoritá che fusse bastante a fare muovere l’esercito, implicato nel dispensare o mandare in luoghi sicuri le robe saccheggiate, e indeboliti tanto di forze e di animo per la vittoria acquistata con tanto sangue che parevano piú simili a vinti che vincitori; onde tutti i soldati con lamenti e con lacrime chiamavano il nome di Fois; il quale, non impediti né spaventati da cosa alcuna, arebbono seguitato per tutto. Né si dubitava che, tirato dallo impeto della sua ferocia e dalle promesse fattegli, secondo si diceva, dal re, che a lui si acquistasse il reame di Napoli, sarebbe, subito dopo la vittoria, con la consueta celeritá corso a Roma, e che il pontefice e gli altri, non avendo alcuna altra speranza di salvarsi, si sarebbeno precipitosamente messi in fuga.
XIV
Pervenne la nuova della rotta a Roma il terzodecimo dí di aprile; portata da Ottaviano Fregoso che corse co’ cavalli delle poste da Fossombrone, e sentita con grandissima paura e tumulto da tutta la corte. Però i cardinali, concorsi subitamente al pontefice, lo strignevano con sommi prieghi che, accettando la pace la quale non diffidavano potersi ottenere assai onesta dal re di Francia, si disponesse a liberare oramai