Storia d'Italia/Libro X/Capitolo VI

Capitolo VI

../Capitolo V ../Capitolo VII IncludiIntestazione 13 dicembre 2020 75% Da definire

Libro X - Capitolo V Libro X - Capitolo VII
[p. 129 modifica]

VI

Diversitá di giudizi intorno alla politica del pontefice. Atti del pontefice contro a’ cardinali dissidenti; sdegno suo contro Firenze e il Soderini. Orazione del Soderini perché si usino le entrate dei beni delle chiese se il pontefice muoverá guerra. Ragioni per cui si delibera di non assalire i fiorentini.

Destò questa confederazione, fatta dal pontefice sotto nome di liberare Italia da’ barbari, diverse interpretazioni negli animi degli uomini, secondo la diversitá delle passioni e degli ingegni. Perché molti, presi dalla magnificenza e gioconditá del nome, esaltavano con somme laudi insino al cielo cosí alto proposito, chiamandola professione veramente degna della maestá pontificale; né potere la grandezza dell’animo di Giulio avere assunto impresa piú generosa, né meno piena di prudenza che di magnanimitá, avendo con la industria sua commosso l’armi de’ barbari contro a’ barbari; onde spargendosi contro a’ franzesi piú il sangue degli stranieri che degli italiani, non solamente si perdonerebbe al sangue nostro, ma cacciata una delle parti sarebbe molto facile cacciare con l’armi italiane l’altra giá indebolita ed enervata. Altri, considerando forse piú intrinsecamente la sostanza delle cose né si lasciando abbagliare gli occhi dallo splendore del nome, temevano che le guerre che si cominciavano con intenzione di liberare Italia da’ barbari nocerebbono molto piú agli spiriti vitali di questo corpo che non aveano nociuto le cominciate con manifesta professione e certissima intenzione di soggiogarla; ed essere cosa piú temeraria che prudente lo sperare che l’armi italiane, prive di virtú, di disciplina, di riputazione, di capitani di autoritá, né conformi le volontá de’ príncipi suoi, [p. 130 modifica]fussino sufficienti a cacciare di Italia il vincitore; al quale quando mancassino tutti gli altri rimedi non mancherebbe mai la facoltá di riunirsi co’ vinti a ruina comune di tutti gli italiani: ed essere molto piú da temere che questi nuovi movimenti dessino occasione di depredare Italia a nuove nazioni che da sperare che, per l’unione del pontefice e de’ viniziani, s’avessino a domare i franzesi e gli spagnuoli. Avere da desiderare Italia che la discordia e consigli malsani de’ nostri príncipi non avessino aperta la via d’entrarvi all’armi forestiere; ma che, poi che per la sua infelicitá due de’ membri piú nobili erano stati occupati dal re di Francia e dal re di Spagna, doversi riputare minore calamitá che amendue vi rimanessino, insino a tanto che la pietá divina o la benignitá della fortuna conducessino piú fondate occasioni (perché dal fare contrapeso l’un re all’altro si difendeva la libertá di quegli che ancora non servivano) che il venire tra loro medesimi alle armi; per le quali, mentre durava la guerra, si lacererebbono, con depredazioni con incendi con sangue e con accidenti miserabili, le parti ancora intere, e finalmente quel di loro che rimanesse vincitore l’affliggerebbe tutta con piú acerba e piú atroce servitú.

Ma il pontefice, il quale sentiva altrimenti, divenuti per la nuova confederazione gli spiriti suoi maggiori e piú ardenti, subito che passò il termine prefisso nel monitorio fatto prima a’ cardinali autori del concilio, convocato con solennitá grande il concistorio publico, sedendo nell’abito pontificale nella sala detta de’ re, dichiarò i cardinali di Santa Croce, di San Malò, di Cosenza e quel [di] Baiosa essere caduti dalla degnitá del cardinalato, e incorsi in tutte le pene alle quali sono sottoposti gli eretici e gli scismatici. Publicò, oltre a questo, uno monitorio sotto la forma medesima al cardinale di San Severino, il quale insino a quel dí, non avea molestato; e procedendo col medesimo ardore a’ pensieri delle armi sollecitava continuamente la venuta degli spagnuoli, avendo nell’animo che innanzi a ogni altra cosa si movesse la guerra contro a’ fiorentini, per indurre a’ voti de’ confederati quella republica, [p. 131 modifica]rimettendo al governo la famiglia de’ Medici, né meno per saziare l’odio smisurato conceputo contro a Piero Soderini gonfaloniere, come se dalla autoritá sua fusse proceduto che i fiorentini non si fussino mai voluti separare dal re di Francia e che dipoi avessino consentito che in Pisa si celebrasse il concilio. Della quale deliberazione penetrando molti indizi a Firenze, e facendosi per potere sostenere la guerra diverse preparazioni, fu trall’altre cose proposto essere molto conveniente che alla guerra mossa ingiustamente dalla Chiesa si resistesse colle entrate de’ beni delle chiese, e perciò si astringessino gli ecclesiastici a pagare quantitá grandissima di danari; ma con condizione che, deponendosi in luogo sicuro, non si spendessino se non in caso fusse mossa la guerra, e che cessato il timore che la dovesse essere mossa si restituissino a chi gli avesse pagati: alla qual cosa contradicevano molti cittadini, alcuni temendo di non incorrere nelle censure e nelle pene imposte dalle leggi canoniche contro a’ violatori della libertá ecclesiastica, ma la maggiore parte di loro per impugnare le cose proposte dal gonfaloniere, dalla autoritá del quale era manifesto procedere principalmente questo consiglio. Ma essendo, per la diligenza del gonfaloniere e per la inclinazione di molti altri, deliberata giá ne’ consigli piú stretti la nuova legge ordinata sopra questo, né mancando altro che l’approvazione del consiglio maggiore, il quale era convocato per questo effetto, il gonfaloniere parlò per la legge in questa sentenza:

— Niuno è che possa, prestantissimi cittadini, giustamente dubitare quale sia stata sempre contro alla vostra libertá la mente del pontefice, non solo per quel che ne apparisce di presente, d’averci tanto precipitosamente sottoposti allo interdetto, senza udire molte nostre verissime giustificazioni e la speranza che se gli dava di operare di maniera che dopo pochi dí si removesse il concilio da Pisa, ma molto piú per il discorso delle azioni continuate da lui in tutto il tempo del suo pontificato. Delle quali raccontando brevemente una parte (perché ridurle tutte alla memoria sarebbe cosa molto lunga) [p. 132 modifica]chi è che non sappia che nella guerra contro a’ pisani non si potette ottenere da lui, benché molte volte ne lo supplicassimo, favore alcuno né palese né occulto? con tutto che e la giustizia della causa lo meritasse, e che lo spegnere quel fuoco, che non molti anni prima era stato materia di gravissime perturbazioni, appartenesse e alla sicurtá dello stato della Chiesa e alla quiete di tutta Italia; anzi, come insino allora si sospettò, e fu dopo la vittoria nostra piú certo sempre, quante volte ricorrevano a lui uomini de’ pisani gli udiva benignamente e gli nutriva nella pertinacia loro con varie speranze: inclinazione in lui non nuova ma cominciata insino nel cardinalato; perché, come è noto a ciascuno di voi, levato che fu da Pisa il campo de’ franzesi, procurò quanto potette appresso al re di Francia e il cardinale di Roano perché, esclusi noi, ricevessino in protezione i pisani. Pontefice, non concedette mai alla republica nostra alcuna di quelle grazie delle quali è solita a essere spesso liberale la sedia apostolica; perché in tante difficoltá e bisogni nostri non consentí mai che una volta sola ci aiutassimo delle entrate degli ecclesiastici (come piú volte aveva consentito Alessandro sesto, benché inimico tanto grande di questa republica) ma, dimostrando nelle cose minori l’animo medesimo che aveva nelle maggiori, ci negò ancora il trarre dal clero i danari per sostentare lo studio publico, benché fusse piccola quantitá e continuata con la licenza di tanti pontefici, e che si convertiva in causa pietosa della dottrina e delle lettere. Quel che per Bartolomeo d’Alviano fu trattato col cardinale Ascanio in Roma non fu trattato senza consentimento del pontefice, come allora ne apparirono molti indizi, e tosto ne sarebbono appariti effetti manifesti se gli altri di maggiore potenza che vi intervenivano non si fussino ritirati per la morte improvisa del cardinale: ma benché, cessati i fondamenti primi non volle mai consentire a’ giusti prieghi nostri di proibire all’Alviano che non adunasse o intrattenesse soldati nel territorio di Roma, ma proibí bene a’ Colonnesi e a’ Savelli, per mezzo de’ quali aremmo con piccola spesa divertiti i nostri pericoli, che non [p. 133 modifica]assaltassino le terre di quegli che si preparavano per offenderci. Nelle cose di Siena, difendendo sempre Pandolfo Petrucci contro a noi, ci astrinse con minaccie a prolungare la tregua, né si interpose poi per altro, perché noi recuperassimo Montepulciano (per la difesa del quale avea mandato gente a Siena), se non per paura che l’esercito del re di Francia non fusse da noi chiamato in Toscana. Da noi, pel contrario, non gli era mai stata fatta offesa alcuna, ma proceduti sempre con la divozione conveniente verso la Chiesa, gratificato lui particolarmente in tutte le dimande che sono state in potestá nostra, concedutegli, senza alcuna obligazione anzi contro alla propria utilitá, le genti d’arme alla impresa di Bologna; ma niuno officio niuno ossequio è bastato a placare la mente sua. Della quale sono molti altri segni, ma il piú potente quello, che per non parere traportato dallo sdegno e perché so essere nella memoria di ciascuno voglio tacitamente passare, d’avere prestato orecchie (voglio che le parole siano moderate) a quegli che gli offersono la morte mia; non per odio contro a me, dal quale mai avea ricevuta ingiuria alcuna, e che quando era cardinale m’avea sempre onoratamente raccolto, ma per il desiderio ardente che ha di privare voi della vostra libertá: perché avendo sempre cercato che questa republica aderisse alle sue immoderate e ingiuste volontá, fusse partecipe delle sue spese e de’ suoi pericoli, né sperando dalla moderazione e maturitá de’ consigli vostri potere nascere imprudenti e precipitose deliberazioni, ha diritto il fine suo a procurare di introdurre in questa cittá una tirannide che dependa da lui, che non si consigli e governi secondo le vostre utilitá ma secondo l’impeto delle sue cupiditá; con le quali, tirato da fini smisurati, non pensa ad altro che a seminare guerre di guerre e a nutrire continuamente il fuoco nella cristianitá. E chi è quello che possa dubitare che ora che seco si dimostrano congiunte sí potenti armi, che ora che signoreggia la Romagna, che gli ubbidiscono i sanesi (donde ha lo adito a penetrare insino nelle viscere nostre), che e’ non abbi intenzione di assaltarci? che e’ non sia per ingegnarsi apertamente di ottenere [p. 134 modifica]colle forze quel che giá ha tentato occultamente colle insidie, e che con tanto ardore ha bramato sí lungamente? e tanto piú quanto piú fussimo mal preparati a difenderci. Ma quando niuna altra cosa il dimostrasse, non dimostra egli i pensieri suoi abbastanza d’avere diputato nuovamente legato di Bologna il cardinale de’ Medici, con intenzione di proporlo all’esercito? cardinale non mai onorato o beneficato da lui, e nel quale non dimostrò mai alcuna confidenza. Che significa questo, altro che, dando autoritá, accostando a’ vostri confini anzi mettendo quasi in sul collo vostro, con tanta degnitá con riputazione e con armi, quel che aspira a essere vostro tiranno, dare animo a’ cittadini (se alcuni ne sono tanto pravi) che amino piú la tirannide che la libertá, e sollevare i sudditi vostri a questo nome? Per le quali cose questi miei onorevoli colleghi, e molti altri buoni e savi cittadini, hanno giudicato essere necessario che per difendere questa libertá si faccino i medesimi provedimenti che s’arebbono a fare se la guerra fusse certa; e se bene sia verisimile che il re di Francia, almeno per l’interesse proprio, ci aiuterá potentemente, non dobbiamo per questa speranza omettere i rimedi che sono in nostra potestá, né dimenticarci che facilmente molti impedimenti potrebbono sopravenire che ci priverebbono in qualche parte degli aiuti suoi. Non crediamo che alcuno nieghi che questo sia salutifero e necessario consiglio, e chi pure lo negasse potrebbe essere che altro lo movesse che ’l zelo del bene comune. Ma sono bene alcuni che allegano che, essendo noi incerti se il pontefice ha nell’animo di muoverci la guerra, è inutile deliberazione, offendendo l’autoritá sua e gravando i beni ecclesiastici, dargli giusta cagione di sdegnarsi e provocarlo a farci quasi necessariamente la guerra: come se, per tanti e cosí evidenti segni e argomenti, non si comprendesse manifestamente quale sia la mente sua; o come se appartenesse a prudenti governatori delle republiche tardare a prepararsi dopo il principio dell’assalto, volere prima ricevere dall’inimico il colpo mortale che vestirsi dell’armi necessarie a difendersi. Altri dicono che, per non aggiugnere all’ira del pontefice l’ira divina, [p. 135 modifica]si debbe provedere alla salute nostra con altro modo, perché non è in noi quella necessitá senza la quale è sempre proibito, con pene gravissime, dalle leggi canoniche, a’ secolari, imporre gravezze a’ beni o alle persone ecclesiastiche. È stata considerata questa ragione similmente da noi e dagli altri che hanno consigliato che si faccia questa legge: ma non bastando, come voi sapete, l’entrate publiche alle spese che occorreranno, ed essendo state sí lungamente e sí gravemente affaticate le borse vostre, ed essendo manifesto che nella guerra aranno a ogn’ora a essere di nuovo affaticate, chi è quello che non vegga essere molto conveniente e necessario che le spese che si faranno per difenderci dalla guerra mossa dalle persone ecclesiastiche si sostenghino in qualche parte co’ danari delle persone ecclesiastiche? cosa molte altre volte usata nella nostra cittá e molto piú da tutti gli altri príncipi e republiche, ma non giá mai, né qui né altrove, con maggiore moderazione e circospezione; poiché non s’hanno a spendere in altro uso, anzi s’hanno a depositare in luogo sicuro, per restituirgli, se il timore nostro sará stato vano, a’ religiosi medesimi. Se adunque il pontefice non ci moverá la guerra non spenderemo i danari degli ecclesiastici, né quanto allo effetto aremo imposto loro gravezza alcuna; se ce la moverá, chi si potrá lamentare che con tutti i modi a noi possibili ci difendiamo da una guerra tanto ingiusta? Che cagione gli dá questa republica, che per necessitá non per volontá, come a lui è notissimo, ha tollerato che a Pisa si chiami il concilio, per la quale si possa dire che l’abbiamo provocato o irritato? se giá non si dice provocare o irritare chi non porge il collo o il petto aperto allo assaltatore. Benché, non lo provoca o irrita chi si prepara a difendersi, chi si mette in ordine per resistere alla sua ingiusta violenza; ma lo provocheremmo o irriteremmo se non ci provedessimo, perché, per la speranza della facilitá della impresa, diventerebbe maggiore lo impeto e l’ardore che ha di distruggere da’ fondamenti la vostra libertá. Né vi ritenga il timore di offendere il nome divino; perché il pericolo è sí grave e sí evidente, e sono tali i bisogni e le necessitá [p. 136 modifica]nostre (né si può in pregiudicio vostro trattare cosa di maggiore peso), che è permesso non solo l’aiutarsi con quella parte di queste entrate che non si converte in usi pii, anzi sarebbe lecito mettere mano alle cose sacre: perché la difesa è, secondo la legge della natura, comune a tutti gli uomini e approvata dal sommo Iddio e dal consentimento di tutte le nazioni; nata insieme col mondo e duratura quanto il mondo, e alla quale non possono derogare né le leggi civili né le canoniche fondate in su la volontá degli uomini, e le quali, scritte in sulle carte, non possono derogare a una legge non fatta dagli uomini ma dalla stessa natura, e scritta scolpita e infissa ne’ petti e negli animi di tutta la generazione umana. Né si ha aspettare che noi siamo ridotti a estrema necessitá, perché condotti in tale stato, e circondati e quasi oppressi dagli inimici, tardi ricorreremmo a’ rimedi, tardi sarebbono gli antidoti, incarnato che fusse nel corpo nostro il veleno. Ma oltre a questo, come si può negare che ne’ privati non sia gravissima necessitá? quando le gravezze che si pongono ne costringono una grandissima parte a estremare di quelle spese senza le quali non possono vivere se non con grandissima incomoditá, e con diminuire assai delle cose necessarie al grado loro. Questa è la necessitá considerata dalle leggi, le quali non vogliono che si aspetti che i vostri cittadini siano ridotti al pericolo della fame e in termine che non possino sostentare piú né sé né le sue famiglie: e da altra parte, con questa imposizione, non si dá agli ecclesiastici alcuna incomoditá, anzi si disagiano di quella parte delle entrate la quale o conserverebbeno inutilmente nella cassa o consumerebbeno in spese superflue, o forse molti di loro (siami perdonata questa parola) spenderebbeno in piaceri non convenienti e non onesti. È conclusione comune di tutti i savi che a Dio piaccino sommamente le libertá delle cittá, perché in quelle piú che in altra specie di governi si conserva il bene comune, amministrasi piú senza distinzione la giustizia, accendonsi piú gli animi de’ cittadini all’opere virtuose e onorate, e si ha piú rispetto e osservanza alla religione. E voi [p. 137 modifica]credete che gli abbia a dispiacere che per difendere cosa sí preziosa, per la quale chi sparge il proprio sangue è laudato sommamente, vi vagliate d’una piccola parte di frutti e di entrate di cose temporali? le quali benché dedicate alle chiese sono però pervenute tutte in quelle dalle elemosine dalle donazioni e da’ lasci de’ nostri maggiori; e le quali si spenderanno non meno in conservazione e per salute delle chiese, sottoposte nelle guerre non altrimenti che le cose secolari alla crudeltá e avarizia de’ soldati, e che non saranno piú riguardate in una guerra fatta dal pontefice che sarebbeno in una guerra fatta da qualunque empio tiranno o da’ turchi. Aiutate, mentre che voi potete, cittadini, la vostra patria e la vostra libertá; e vi persuadete non potere fare cosa alcuna piú grata e piú accetta al sommo Iddio, e che a rimuovere la guerra dalle case dalle possessioni da i tempii, e da i monasteri vostri non è migliore rimedio che fare conoscere, a chi pensa di offendervi, che voi siete determinati di non pretermettere cosa alcuna per difendervi. —

Udito il parlare del gonfaloniere non fu difficoltá alcuna che la legge proposta non fusse approvata dal consiglio maggiore. Dalla qual cosa benché crescesse sopra modo la indignazione del pontefice e si concitasse tanto piú al disporre i confederati a rompere la guerra a’ fiorentini, nondimeno rimossono da questa sentenza e lui e quegli che in Italia trattavano per il re d’Aragona le persuasioni di Pandolfo Petrucci; il quale, confortando che si assaltasse Bologna, detestava il muovere la guerra in Toscana: allegando che Bologna, impotente per se medesima a difendersi, sarebbe solamente difesa dalle forze del re di Francia; ma per i fiorentini resisterebbe e la potenza di loro medesimi e, per l’utilitá propria non meno che per Bologna, il medesimo re. I fiorentini, se bene inclinati con l’animo al re di Francia, nondimeno prudenti e gelosi della conservazione dello stato loro, non avere in tanti moti a instanza sua offeso alcuno coll’armi, né gli essere stati utili in altro che in accomodarlo, per difesa dello stato di Lombardia, di dugento uomini d’arme, per gli oblighi della [p. 138 modifica]capitolazione fatta comunemente col re cattolico e con lui: non potersi fare cosa piú grata né piú utile al re di Francia che necessitare i fiorentini a partirsi dalla neutralitá, e fare diventare la causa loro comune con la causa sua; ed essere grande imprudenza, avendo invano il re astrettigli con molti prieghi e promesse che si dichiarino per lui, che gli inimici suoi sieno cagione di fargli conseguire quello che con l’autoritá sua non avesse potuto ottenere: comprendersi da ciascuno per molti segni, ma averne egli certissima notizia, che a’ fiorentini era molestissimo che il concilio si celebrasse in Pisa, né averlo consentito per altro che per non avere avuto ardire di repugnare alle dimande del re di Francia, fatte subito dopo la rebellione di Bologna e quando non si vedevano armi opposite in Italia; e che era certo concorrere al concilio l’autoritá di Cesare, e si credeva che anche vi fusse il consentimento del re cattolico: sapere egli medesimamente che i fiorentini non erano per tollerare che nel dominio loro si fermassino soldati franzesi, ed essere cosa molto perniciosa il minacciargli o l’aspreggiargli, anzi per il contrario essere utilissimo il trattare con mansuetudine e con dimostrazione di ammettere le loro scuse; perché cosí procedendo o si otterrebbe da loro, col tempo o con qualche occasione, quel che ora non si poteva sperare, o almeno, non gli costringendo a fare per timore nuove deliberazioni, si addormenterebbono in modo che ne’ tempi pericolosi non nocerebbeno, e ottenendosi la vittoria sarebbe in potestá de’ confederati dare quella forma al governo de’ fiorentini che piú giudicassino espediente. Diminuiva in questa causa l’autoritá di Pandolfo il conoscersi che per l’utilitá propria desiderava che nella Toscana non si incominciasse una guerra tanto grave, per la quale o dagli eserciti amici o dagli inimici sarebbono parimenti distrutti i paesi di tutti; ma parveno tanto efficaci le sue ragioni che facilmente si deliberò di non assaltare i fiorentini. Il quale consiglio fece riputare migliore la contenzione che, non molti dí poi, cominciò tra’ fiorentini e i cardinali.