Storia d'Italia/Libro IV/Capitolo VIII
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VIII
Le quali mentre che si sollecitano, crescevano continuamente i pericoli di Lodovico Sforza. Perché né la interposizione sua all’accordo aveva in parte alcuna placati gli animi de’ viniziani, costanti nel desiderio della sua distruzione, per l’odio e per la speranza del guadagno; né Massimiliano era cosí pronto alla guerra contro al re di Francia come era sollecito a dimandargli spesso danari, anzi, contro alle promesse molte volte fattegli, prolungò la tregua sua col re per tutto il mese d’agosto prossimo, e togliendogli in uno tempo medesimo la speranza che gli avesse a giovare piú il soccorso suo di quello che gli avesse giovato la diversione, unito con la lega de’ svevi, roppe guerra a’ svizzeri, dichiaratigli ribelli dello imperio, per varie differenze che erano tra loro: la quale, continuata da ogni banda con grande impeto, ebbe vari progressi e grande uccisione dall’una parte e dall’altra; in modo che Lodovico era certo non potere piú, in caso gli bisognasse, ottenere aiuto da lui se non terminasse prima questa guerra o con vittoria o con accordo; e nondimeno, promettendogli Massimiliano che mai converrebbe né col re di Francia né co’ svizzeri senza includervi lui, era costretto, per non se lo alienare, porgergli spesso nuovi danari. La quale occasione conoscendo il re di Francia, e quanto importasse l’avere congiunti seco i viniziani e il pontefice, disprezzati i conforti di molti, che lo consigliavano che, per essere re nuovo e poco abbondante di pecunia, differisse all’anno seguente la guerra contro al ducato di Milano, e sperando dovere ottenere in spazio di pochi mesi la vittoria e però non essergli necessaria quantitá grande di danari, apertamente si preparava; porgendo secretamente, per tenere occupato Massimiliano, qualche somma di danari a’ svizzeri. E perciò il duca di Milano, vedendo manifestamente approssimarsi la guerra, si sforzava con grandissima diligenza e sollecitudine di non rimanere solo in tanti pericoli; perché e di trovare mezzo di concordia col re e di convenire piú co’ viniziani totalmente si diffidava, né trovava ne’ re di Spagna, ricercati instantemente da lui, pensiero alcuno della sua salute. Però, tentando in un tempo medesimo gli animi di tutti gli altri, mandò Galeazzo Visconte a Massimiliano e a’ svizzeri per interporsi a ridurgli a concordia; e sapendo che al pontefice non riusciva il pensiero del matrimonio di Ciarlotta per Cesare Borgia suo figliuolo, perché la fanciulla, o mossa dall’amore e dalla autoritá paterna o vero confortatane occultamente dal re di Francia, benché esso dimostrasse di affaticarsi in contrario, ricusava ostinatamente di volerlo per marito se insieme non si componevano le cose di Federigo suo padre, il quale offeriva al re di Francia tributo annuo e ampie condizioni, ebbe speranza Lodovico di alienarlo dalle cose oltramontane, e gli fece grandissima instanza di tirarlo in confederazione seco, nella quale prometteva che oltre al re Federico entrerebbono i fiorentini: offerendo che da lui e dagli altri confederati gli sarebbe dato aiuto contro a’ vicari della Chiesa, e donata quantitá grande di danari per comprare qualche stato onorato per il figliuolo. Le quali offerte, benché da principio fussino udite simulatamente da Alessandro, si scoperseno presto vane; perché egli, sperando dalla compagnia del re di Francia premi molto maggiori che quegli era per conseguire se Italia di nuovo non si empieva di eserciti oltramontani, consentí che il figliuolo, escluso giá del matrimonio di Ciarlotta, si congiugnesse con una figliuola di monsignore di Alibret, il quale per essere del sangue reale e per la grandezza de’ suoi stati non era inferiore ad alcuno de’ signori di tutto il reame di Francia. Né cessò Lodovico, certificato ogni dí piú della mala disposizione de’ viniziani, di stimolare secretamente contro a loro con uomini propri, concorrendo al medesimo il re Federigo, il principe de’ turchi, il quale giá per se medesimo faceva potentissimi apparati; persuadendosi che assaltati da lui non darebbeno molestia allo stato di Milano. Ed essendogli note le preparazioni che facevano i fiorentini per espugnare Pisa, si sforzò, con offerire loro quello aiuto sapessino desiderare, di obligargli alla difesa sua con trecento uomini d’arme e dumila fanti, espugnata che avessino Pisa. E da altra parte, il re di Francia gli ricercava che gli promettessino di accomodarlo di cinquecento uomini d’arme per uno anno; obligandosi, acquistato che avesse lo stato di Milano, aiutargli per uno anno con mille lancie alle imprese loro, e promettendo non fare accordo alcuno con Lodovico se nel medesimo tempo non fussino reintegrati di Pisa e dell’altre terre, e che il pontefice e i viniziani prometterebbono difendergli se innanzi all’acquisto di Milano fussino molestati da alcuno.
Nelle quali contrarie dimande era ne’ fiorentini molta irresoluzione, cosí per la difficoltá della materia come per la divisione degli animi. Perché non ricercando Lodovico gli aiuti loro se non in caso che avessino ricuperato Pisa, era molto piú presente e piú certo il soccorso suo che quello che prometteva il re di Francia, riputato in quanto alle cose di Pisa di poco frutto; perché, per l’occasione di essere allora quella cittá abbandonata da ciascuno, erano voltati tutti i pensieri loro a conseguirla in quella state: e moveva oltre a questo non poco gli animi di molti la memoria che l’avergli ne’ loro pericoli aiutato Lodovico fusse stato cagione che ’l senato viniziano si fusse confederato col re di Francia alle offese sue; e molto piú gli moveva il timore che per lo sdegno di essere negate le sue dimande non impedisse loro l’espugnare Pisa, il che con non molta difficoltá arebbe potuto fare. Ma in contrario, giudicandosi che egli non potesse resistere al re di Francia e a’ viniziani, pareva pericolosa deliberazione inimicarsi con uno re le cui armi si dubitava che dopo non molti mesi avessino a correre per tutta Italia; e la memoria de’ benefici ricevuti da Lodovico nella guerra contro a’ viniziani, per i quali diceva con veritá avere avuta origine i suoi pericoli, era facilmente cancellata dalla memoria che per opera sua fusse prima proceduta la ribellione di Pisa, che egli, desideroso di insignorirsene, gli avesse sostentati e fatto sostentare da altri per molti mesi e perseguitato in quel tempo i fiorentini con molte ingiurie, in modo che maggiori erano state l’offese che i favori: a’ quali non era anche condisceso se non per non potere tollerare che i viniziani gli avessino tolto quello che giá con la speranza e con l’ambizione riputava proprio ne’ concetti suoi. E veniva in considerazione che, dichiarandosi per Lodovico, il re potrebbe similmente, per mezzo del pontefice e de’ viniziani confederati suoi, impedire la recuperazione di Pisa. Però deliberorno in ultimo di non muoversi in favore né del re di Francia né del duca di Milano, e in questo mezzo fare la impresa di Pisa, alla quale pensavano bastare le forze proprie; e nondimeno, per non dare a Lodovico cagione di interromperla, usando seco le sue arti, tenerlo in piú speranza potessino. E però, dopo avere differito molti dí a dargli risposta, mandorno uno segretario publico a fargli intendere che la intenzione della republica era, in quanto all’effetto, la medesima che la sua, ma essere qualche discrepanza nel modo: perché erano determinati, recuperato che avessino Pisa, di non gli mancare degli aiuti dimandati, ma conoscere molto pernicioso il farne seco espressa convenzione, perché non si potendo nelle cittá libere tali cose espedire senza consentimento di molti non potevano essere segrete, e palesandosi darebbeno occasione al re di Francia di fare che il pontefice e i viniziani soccorressino i pisani; donde la promessa sarebbe nociva a loro e a lui inutile, perché non espugnando Pisa non sarebbono obligati né potrebbono aiutarlo. Però giudicare che e’ bastasse la fede che si dava a parole col consentimento de’ cittadini principali, dall’autoritá de’ quali tutte le deliberazioni publiche dependevano; né recusare per altra cagione il convenirne seco per scrittura; offerendo finalmente, per maggiore dichiarazione dell’animo loro, che se da lui si dimostrasse qualche modo da potere, fuggendo tanto danno, sodisfare al desiderio suo sarebbeno parati a eseguirlo. Per la quale risposta, benché acuta e piena di artificio, e perché non accettavano l’offerte degli aiuti suoi, conobbe Lodovico non potere avere speranza certa delle genti loro: accorgendosi che da ogni parte gli mancavano le speranze. Perché il soccorso promessogli continuamente dal re de’ romani era incerto molto per la varietá della natura sua e per lo impedimento della guerra co’ svizzeri; e se bene Federigo prometteva mandargli quattrocento uomini d’arme e mille cinquecento fanti sotto Prospero Colonna, dubitava non tanto della volontá, perché la difesa del ducato di Milano era anche a beneficio suo, quanto della impotenza e lentezza sua; ed Ercole da Esti suo suocero, ricercato di aiuto da lui, gli aveva, rimproverandogli quasi l’antica ingiuria che per opera sua fusse rimasto a’ viniziani il Pulesine di Rovigo, risposto dispiacergli l’essere impedito ad aiutarlo, perché essendo i confini de’ viniziani tanto vicini alle porte di Ferrara era necessitato attendere a guardare la casa propria.
Perdute adunque tutte le speranze che non dependevano da se medesimo, attendeva sollecitamente a fortificare, Anon, Novara e Alessandria della Paglia, terre esposte a primi movimenti del re di Francia; con deliberazione d’opporre all’impeto suo Galeazzo da San Severino con la maggiore parte delle sue forze, e il resto sotto il marchese di Mantova opporre a’ viniziani: benché non molto poi, o per imprudenza o per avarizia o perché a’ consigli celesti non si possa resistere, disordinò da sé proprio questo sussidio. Perché, avendosi cominciato vanamente a persuadere che i viniziani, a’ quali Baiseth ottomanno avea per terra e per mare con apparato stupendo rotta la guerra, necessitati a difendere contro a tanto inimico le cose proprie, non l’avessino a molestare, e desiderando sodisfare a Galeazzo da San Severino, impaziente che ’l marchese lo precedesse di titolo, cominciò a muovergli difficoltá ricusando di pagargli certo residuo di stipendi vecchi e ricercando da lui giuramenti e cauzioni insolite dell’osservanza della fede; e benché poi, vedendo che i viniziani mandavano continuamente gente nel bresciano, per essere parati a muovere la guerra nel tempo medesimo che i franzesi la movessino, cercasse per mezzo del duca di Ferrara, suocero comune di riconciliarselo, le difficoltá non si risolverono sí presto che piú presto non sopravenissino i pericoli. I quali apparivano ogni dí maggiori: perché nel Piemonte, ove il duca di Savoia si era di nuovo congiunto al re, passavano continuamente genti che si fermavano intorno ad Asti; e le speranze del duca sempre diminuivano perché il re Federico, o per impossibilitá o per negligenza, tardava a mandare gli aiuti promessi, e qualche speranza che gli restava che i fiorentini, espugnata che avessino Pisa, gli manderebbono in soccorso Pagolo Vitelli, della virtú del quale teneva tutta Italia grandissimo conto, fu dalla diligenza del re di Francia interrotta; perché, con aspre parole e quasi minaccie usate agli oratori loro, ottenne che la republica secretamente gli promesse per scrittura di non dare al duca aiuto alcuno, senza ricevere di questo in ricompenso da sé promessa alcuna. Però Lodovico, lasciata a’ confini de’ viniziani sotto il conte di Gaiazzo leggiera difesa, mandò Galeazzo da San Severino di lá dal fiume del Po, con mille seicento uomini d’arme mille cinquecento cavalli leggieri diecimila fanti italiani e cinquecento fanti tedeschi; ma piú con intenzione di attendere alla difesa delle terre che di resistere nella campagna, perché giudicava che l’allungare gli fusse utile per molte cagioni, e specialmente perché di dí in dí sperava la conclusione dell’accordo trattato in nome suo dal Visconte tra Massimiliano e le leghe de’ svizzeri, il quale subito che avesse avuto perfezione gli erano promessi aiuti potenti da lui, ma altrimenti non solo non ne poteva sperare ma gli era difficile il soldare fanti in quelle parti, perché i moti che vi erano grandissimi tiravano gli uomini del paese a quella guerra.