Statero d'oro di Posidonia

Arthur Sambon

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Statero d'oro di Posidonia Intestazione 16 novembre 2016 75% Numismatica

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STATERO D’ORO DI POSIDONIA1




Nelle vicinanze di Lavello, in Basilicata, fu rinvenuta poco tempo fa, una moneta d’oro di Posidonia del peso di grammi 8 e mezzo, per dimensione e tipo eguale perfettamente ai ben noti didrammi di quella città, del principio del V secolo.

Sul diritto di questo statero d’oro, è Nettuno, gradiente a destra che protende il braccio sinistro e vibra colla destra il tridente. Dinnanzi: ΠΟΣΕΙ.

Al rovescio: Toro volto a sinistra e leggenda retrograda ΠΟΣΕΙΔΑ.

Dal disegno e dalle epigrafi si desume che la moneta ha dovuto essere coniata tra il 480-460 a. C.

Quando mi mostrarono questa moneta, pensai subito si trattasse di una falsificazione; di una fusione cioè, a mezzo di matrice, ricavata sulla moneta d’argento. Ma, osservando attentamente la moneta dovetti bandire ogni sospetto di fusione, giacché erano evidenti le tracce del conio, e, sebbene il dritto, corroso alquanto, non offriva una superficie molto [p. 478 modifica]liscia; al rovescio, incavato dalla forza del conio, erano assai apparenti indizi della battitura a martello, e sopratutto nella radiazione che si osserva nella compagine del metallo, propria dell’oro a buona lega, quando è sottoposto a forte percussione. Del resto per quanto, con forti lenti d’ingrandimento, attentamente esaminassi la superficie e l’orlo della moneta, non mi riesciva scorgere alcun indizio di fusione: nè gl’inevitabili buchetti prodotti dalle bollicine d’aria, nè quei fiacchi contorni che risultano sempre con tal metodo. Tuttavia titubante, per la stranezza della moneta, domandai al proprietario, on. G. Fortunato, che si fosse fatta osservare ad un incisore pratico della fusione e del conio de’ metalli, e ne fummo assicurati che non poteva trattarsi di fusione.

Ammesso dunque il conio della moneta, mi sembra assai difficile possa essere una falsificazione moderna. Il disegno secco e preciso della muscolatura, l’attitudine della divinità, il rilievo di certi dettagli sono talmente in accordo con tutte le manifestazioni artistiche di quel periodo, ch’io non saprei ammettere tanta perfezione nello imitare, e una così precisa intuizione dell’antico, in qualsiasi artista odierno2.

Citerò, a questo proposito, l’opinione del chiarissimo direttore del medagliere del Museo Britannico, sig. Barclay V. Head, al quale mandai un calco di questa moneta. Gentilmente mi rispondeva, che avendo esaminato l’impronta in gesso, parevagli che la moneta non offrisse nessun indizio [p. 479 modifica]di falsificazione moderna, qualora fosse effettivamente da escludersi l’idea della fusione.

Ebbe anche occasione di vedere questa moneta, e la ritenne genuina, il Dott. F. Von Duhn professore di Archeologia ad Heidelberg.

Le monete greche d’oro sono state accolte sempre colla massima diffidenza. Eckel non volle mai ammettere la moneta d’oro d’Atene; malgrado che il Winckelman ed altri eruditi nummografi asserissero averne viste alcune dell’autenticità delle quali non si poteva dubitare; e dichiarò pure falsi gli stateri di Cizico, di Lampsaco, e di Focea3. Furono ritenute false le monete d’oro di Gela, in Sicilia, pubblicate già dal Torremuzza4, senonchè un ripostiglio, rinvenuto presso Catania, in cui comparve gran varietà di emissioni, tolse ogni dubbio.

Dubitavasi sino a poco tempo fa della monetina d’oro di Cuma (480 a. C.) che poi Poole5, il Garrucci6 e l’Head7 non esitarono a dichiarare autentica.

Maggiore, ed a buon dritto, dovrà essere la diffidenza per questo strano statero di Posidonia, e dico strano, sia perchè, sinora è l’unico esempio di statero d’oro, coniato in quel tempo in Italia, sia perchè dovuto allo stesso conio dell’argento.

Consideriamo quindi attentamente le obiezioni che si potrebbero fare, e che difatti da alcuni mi si fecero: poiché credo non abbiano poi tutta quella efficacia che ad esse si concede a primo aspetto.

Non posso negare che sembra strano che Posidonia abbia coniato, in quel tempo, moneta d’oro in questo modulo. In Italia, l’oro coniavasi, allora, soltanto in Etruria ed a Cuma e, per le monetine d’oro di Cuma, che sono quasi identiche [p. 480 modifica]ai dioboli d’argento, alcuni dubitano sempre, malgrado che il Poole, l’Head ed il Garrucci le abbiano dichiarate antiche. Se però sono antiche le cumane, parrà certo meno strano il conio dell’oro a Posidonia, che dovette avere colla Campania, sin dal VI secolo, attivissimi rapporti commerciali. In Sicilia poi, durante la prima metà del V secolo, non si coniò moneta di oro. Vero è che il Millingen pubblicò una monetina d’oro di Messina8, della collezione Pucci di Firenze, che rimonterebbe a questa epoca; ma l’autenticità di quella moneta non pare ammissibile. Però non mi sembra che questa scarsezza di moneta d’oro, ci dia ragione ad impugnare efficacemente l’autenticità dello statero d’oro di Posidonia.

Il fatto, poi, che questa moneta è dovuta allo stesso conio dell’argento, non mi sembra ragione sufficiente a negarle ogni carattere monetale ed ogni commerciale importanza, nè tampoco ad issare dei dubbi sull’autenticità.

Questa usanza di ripetere in oro, e col medesimo conio, le emissioni d’argento, fu assai comune nel I secolo a. C, e fu continuata da quasi tutti gli Imperatori romani dei primi tre secoli dell’era volgare. Nè mancano esempi consimili tra le monete greche; così, a mo’ d’esempio, i sigli persiani d’argento erano affatto simili ai darici d’oro; ed identici pure sono gli stateri d’oro e di argento della Lidia coniati nel VI secolo. Per tutto il V secolo, in Grecia o in Asia minore, trovansi monete d’oro coi tipi medesimi dell’argento, approssimandosene per lo più il modulo a qualche frazione d’argento; lo statero Ateniese ripete pure esattamente i tipi della dramma di argento, nè v’ha gran differenza nel modulo; cito poi, a caso, le monete d’oro di Clazomene, di Rodi, di Filippi di Macedonia che ripetono lo stesso tipo dell’argento, con varietà di modulo o di disegno appena percettibili.

A Posidonia stessa, abbiamo monete d’argento e di bronzo simili per tipi e per modulo. Perchè dunque dovrà parer strano che l’oro sia stato impresso col conio medesimo dell’argento, o, almeno, con un conio in tutto simile a quello che serviva per i didrammi?

[p. 481 modifica]Il peso di questo statero d’oro di Posidonia è di gr. 8,50 e corrisponde quindi esattamente a quello dei darici persiani, o degli stateri di parecchie città dell’Asia minore9, derivati dal sessantesimo della mina assiro-babilonese. I darici persiani coniati su questa base, dalla metà del VI secolo sino alla metà del IV, erano assai abbondanti nel periodo in cui fu coniato lo statero di Posidonia. Circolavano per quasi tutto il mondo antico, secondo ne attestano gli scrittori, e furono trovati spesso nei ripostigli siculi, che rimontavano al VI secolo o alla metà del susseguente. Altre monete d’oro puro coniavansi, in quel torno, nella Cirenaica, in Etruria ed a Cuma.

Disgraziatamente abbiamo poche notizie su Posidonia; ma dalle monete, che trovansi in grande abbondanza nelle rovine de’ sontuosi suoi templi, alcuni dei quali furono costruiti certamente nel VI e V secolo, possiamo formarci una idea della sua prosperosità e della sua importanza commerciale.

Posidonia, dipendente in certo qual modo dalla metropoli Sibari, ebbe con questa comunanza di commercio, specialmente per le relazioni tra l’Etruria, e l’Asia minore, per cui Sibari, in breve tempo, divenne così ricca. Dopo la distruzione di Sibari, continuò Posidonia a prosperare, e di ciò fanno fede sopratutto le sue monete.

Parmi quindi che nessuna ragione o tecnica o storica possa indurci a dubitare di questa moneta, e che se nasce il dubbio su di essa, forse si è perchè di tutto ciò che ha inusuale importanza siamo proclivi a dubitare.

Ad ogni modo, sia che altri confermi questo mio giudizio, sia che io dimostri erroneo, mi è parso necessario che questa moneta sia conosciuta e discussa.


Note

  1. Il presente articolo venne tolto dall’Archivio Storico per le Provincie Napoletane. Anno XVIII, fasc. II, 1893.
  2. Esistono parecchi conii falsi di monete d’oro della Lucania. Ne conosco di Velia, di Sibari, di Eraclea, di Metaponto. Di Velia, vidi poco tempo fa uno staterò d’oro coi tipi dell’argento, dovuto ad un conio; ma lo stile della moneta lascia molto a desiderare ed il moderno fa capolino in parecchi punti. Credo si debba attribuire all’artista che lavorò il tetradramma di Velia, riprodotto dal Garrucci nell’ultima tavola della sua opera Monete dell’Italia antica. A Roma, la falsificazione delle monete antiche è diventata un’industria attivissima. Devonsi specialmente a questa turpe industria denari d’oro, medaglioni e sesterzi di bronzo degli imperatori; ma tutti questi lavori, per quanto abilmente foggiati, non reggono ad un accurato esame. Ciò nonostante la massima precauzione è necessaria per tutto ciò che è raro o di speciale interesse storico. Sono noti a tutti gli stupendi conii del Becker, di triste rinomanza negli annali numismatici.
  3. Prolegomena Generalia, cap. IX, tom. I, p. XLI.
  4. N. 1 e 2 tav. XXI. V. Head, Coins of Syracuse, p. 17 e Mommsen, Hist. de la Monnaie Romaine, cap. II, p. 129.
  5. Catalogue of the British Museum.
  6. Monete dell’Italia antica.
  7. Historia Numorum, 1887, p. 31.
  8. Sylloge of ancient inedited coins, tav. IV, n. 11.
  9. Nell’Asia Minore si cominciò a coniare l’oro puro, per lo più sostituito alla monetazione di elettro, verso la fine del V secolo. In Grecia pure la moneta d’oro puro appare alla fine del V o al principio del IV secolo.