Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/75: differenze tra le versioni

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Ma nel ''{{TestoCitato|Il Principe|Principe}}'', ne’ ''{{TestoCitato|Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio|Discorsi}}'', nelle ''{{TestoCitato|Lettere}}'', nelle ''Relazioni'', ne’ ''Dialoghi sulla milizia'', nelle ''{{TestoCitato|Istorie fiorentine|Storie}}'', Machiavelli scrive come gli viene, tutto inteso alle cose, e con l’aria di chi reputi indegno della sua gravità correre appresso alle parole e a’ periodi. Dove non pensò alla forma riuscì maestro della forma. E senza cercarla trovò la prosa italiana.
Ma nel ''{{TestoCitato|Il Principe|Principe}}'', ne’ ''{{TestoCitato|Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio|Discorsi}}'', nelle ''{{TestoCitato|Lettere}}'', nelle ''Relazioni'', ne’ ''Dialoghi sulla milizia'', nelle ''{{TestoCitato|Istorie fiorentine|Storie}}'', Machiavelli scrive come gli viene, tutto inteso alle cose, e con l’aria di chi reputi indegno della sua gravità correre appresso alle parole e a’ periodi. Dove non pensò alla forma riuscì maestro della forma. E senza cercarla trovò la prosa italiana.


È visibile in Niccolò Macchiavelli lo spirito incredulo e beffardo di {{AutoreCitato|Lorenzo de' Medici|Lorenzo}}, impresso sulla fronte della borghesia italiana in quel tempo. E avea pure quel senso pratico, quella intelligenza degli uomini e delle cose, che rese Lorenzo eminente fra’ principi, e che troviamo generalmente negli statisti italiani a Venezia, a Firenze, a Roma, a Milano, a Napoli, quando vivea Ferdinando d’Aragona, Alessandro VI, Ludovico il Moro, e gli ambasciatori veneziani scrivevano ritratti così vivi e sagaci delle corti, presso le quali dimoravano. Ci era l’arte, mancava la scienza. Lorenzo era l’artista. Macchiavelli doveva essere il critico.
È visibile in Niccolò Macchiavelli lo spirito incredulo e beffardo di {{AutoreCitato|Lorenzo de' Medici|Lorenzo}}, impresso sulla fronte della borghesia italiana in quel tempo. E avea pure quel senso pratico, quella intelligenza degli uomini e delle cose, che rese Lorenzo eminente fra’ principi, e che troviamo generalmente negli statisti italiani a Venezia, a Firenze, a Roma, a Milano, a Napoli, quando vivea Ferdinando d’Aragona, Alessandro VI, Ludovico il Moro, e gli ambasciatori veneziani scrivevano ritratti così vivi e sagaci delle corti, presso le quali dimoravano. Ci era l’arte, mancava la scienza. Lorenzo era l’artista. Macchiavelli doveva essere il critico.