Brani di vita/Libro primo/Tempo di vendemmia: differenze tra le versioni

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Una decina d'anni sono mi misi in capo di attraversare tutta l'alta Italia da Genova a Trieste in bicicletta e ci riuscii, senza infamia. Da Voltri per la galleria del Turchino, scesi ad Ovada, dove tutte le strade si chiamano o ''Saracco senatore Giuseppe'' o ''Saracco cavalier Giuseppe'' ed era tempo di vendemmia. In quei pressi, sino verso la Capriata d'Orba, trovai che quello doveva essere un paese di gran galantuomini. Noi chiudiamo le vigne con folte siepi di pruni e in Toscana le chiudono a dirittura con muricciuoli; qui invece, pochi fascetti di ginestre secche, stesi sul margine della strada, erano l'unico segno di confine, e, ad un palmo di là dal fosso, cominciava la vigna pari pari e ricca di grappoli maturi. Pensai che, tra le viti, qualche contadino facesse buona guardia, ma non ci vidi anima viva. Possibile che lassù non vi sia qualche ladruncolo cui piaccia l'uva degli altri come a me le mele acide che mi erano vietate? E me ne rallegrai coi concittadini di ''Saracco comm. Giuseppe'', il quale, vivendo, fu un ottimo galantuomo ed ha forse lasciato ai suoi vicini l'esempio e il ricordo della sua specchiata onestà.
Forse perchè ero assorto in questi generosi pensieri o forse perchè lessi male la Guida del T. C. I., verso Basaluzzo sbagliai la strada. Il caldo era grande, il sole bruciava la strada ed io, in questa oppressione di solitudine, mi sentivo maturo per un po' di requie. Trovata l'ombra di una casa, appoggiai la bicicletta al muro e ripresi a studiare la Guida. Nel silenzio meridiano non passava un soffio, non che una creatura viva, e sentivo una gran voglia di chiudere un occhio, tanto più in paese di galantuomini come si vede dal modo di guardare le vigne, quando ad un tratto dalla casa uscì un suono di pianoforte.
Chi era quella buona, santa e bella ragazza (perchè doveva essere una ragazza bella, santa e buona) che mi suonava la sesta Rapsodia del Liszt, proprio quella che mia figlia suonò la sera prima della mia partenza? Mi sentii dentro un rimescolìo di riconoscenza e di amore, ma l'aspettavo all'''allegro'' che ha le ossa dure. "Ora ti voglio" dicevo io! Ebbene; la ragazza santa, buona e bella, eseguì l'allegro con disinvoltura brillante, come se nulla fosse! Benedetta sia!
Me ne andai, lo confesso, con una tendenza alla tenerezza che, se gli amici mi avessero visto, riderebbero ancora. Me ne andai e giunsi ad Alessandria, ripetendo per la incognita i versi del [[Autore:Giacomo Leopardi|Leopardi]]:
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La bicicletta è il cavallo della libertà; con lei si va dove si vuole, ci fermiamo dove ci pare, forte, piano, a destra, a sinistra, come detta la volontà o il capriccio. Così la sera, cenando, mi venne in mente di andare a Bassano, deviando dal mio itinerario, per un pensiero capitatomi in testa lì per lì.
Dovete sapere che a Bassano opera il migliore fabbricatore di pipe di terra cotta che sia in Italia. Modesto, nemico della ''réclame'', ingegnoso e attivo, la sua terra cotta non è creta volgare esposta alla fortuna instabile della fornace, ma una composizione che ricorda la terra cotta di Signa. Le famose, le vere pipe di Schemnitz inseparabili dalle labbra di ogni buon ungherese, le fabbrica lui, in una officina modesta che egli chiama bizzarramente ''Pipificio Cavazzon''; ed io decisi di andare a rifornirmi del mio modello (N. 112) proprio dove si fabbrica.
Così in una mattina fresca per Sandrigo e Marostica (non vidi i pellegrini) giunsi a Bassano, passai lo strano ponte coperto, ordinai le pipe, mangiai un boccone al ''Cardellino'' e per la via di Cittadella, mi misi verso Padova.
Tutto questo a voi non importa, ma importa molto a me, perchè quei sessanta chilometri pedalati solo per comprare alcune pipe di coccio, furono tra i più lieti e fortunati chilometri che abbiano posto nei miei ricordi.
Da Bassano a Padova la via eccellente è in lenta discesa e un venticello benigno mi aiutava. Io mi trovavo in quella felice disposizione d'animo che i fisiologi chiamano ''euforìa'' e che fa parere tutto bello, tutto lieto e beato, di un ottimismo da vincere il dottor Pangloss, buon'anima sua, e le vendemmiatrici cantavano nei campi, quasi per ricordarmi le vendemmiatrici della mia infanzia. Ahimè, dove saranno?
E rivivevo con delizia quei giorni lontani, cercando con occhio memore il melo dalle frutta acide, quando a Limena mi accorsi che la ''brisiola'' del ''Cardellino'' non era più che una santa memoria anche lei. Avevo appetito e (beata libertà della bicicletta!) mi fermai alla prima osteria.
Sotto ad un gran portico, dove erano molti barrocci, mi accolse una magnifica ragazza che mi condusse ad un pergolato, mi servì uno spuntino sopra una tavola rustica e mi interrogò, curiosa de' fatti miei, per abitudine professionale. Ritta davanti a me, puntava sulla tavola un braccio nudo fino quasi all'ascella, un braccio un po' morso dal sole, ma degno di animare i moncherini della Venere di Milo. Il pergolato, l'odore caldo del mosto, i canti, mi ricordavano il passato; e quel braccio nudo, con una fossetta insolente al gomito, mi pareva uno di quelli delle vendemmiatrici, delle canefore di una volta, quando non sapevo che la stretta di due braccia di donna può uccidere.
La ragazza s'ingannò evidentemente sui motivi della mia contemplazione, si allontanò e quando venne a farmi pagare il conto, notai che non aveva più le maniche rimboccate, il che mi indusse in meditazioni maliziose che prima non avevo avuto. Conseguenze logiche del pudore, il quale, più che velare, stuzzica. Me ne andai, ma da Limena a Padova ebbi davanti agli occhi quel braccio che, nudo, mi aveva destato tanti ricordi e, coperto tanti mali pensieri. Il peccato è figlio della proibizione. Ricordatevi le mele acide! Ma ecco, anche i tenui ricordi di quell'ora entrano nel passato di dove li evocherò lieti fino al giorno in cui dovrò dire: ''Addio panieri, la vendemmia è finita.''
Ci vorrà pazienza.... ma che magnifico braccio!