Il piacere/XVI: differenze tra le versioni

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La mattina del 20 giugno, lunedì, alle dieci, incominciò la publica vendita delle tappezzerie e dei mobili appartenuti a S. E. il Ministro plenipotenziario del Guatemala.
 
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Andrea, prima di risolversi a varcare la soglia di quella casa, vagò pe’ marciapiedi, alla ventura, lungo tempo, provando una orribile stanchezza, una stanchezza così vacua e disperata che quasi pareva un bisogno fisico di morire.
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Quando vide uscir dalla porta su la strada un facchino con un mobile su le spalle, si risolse. Entrò, salì le scale rapidamente; udì, dal pianerottolo, la voce del perito.
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Egli ritornò nella sala del perito. Sentì di nuovo il lezzo. Volgendosi, vide in un angolo la principessa di Ferentino con Barbarella Viti. Le salutò, avvicinandosi.
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- Ebbene, Ugenta, che avete comprato?
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Egli comprò il Buddha, un grande armario, qualche maiolica, qualche stoffa. A un certo punto udì come un suono di voci e di risa feminili, un fruscio di vesti feminili, verso l’uscio. Si volse. Vide entrare Galeazzo Secìnaro con la marchesa di Mount Edgcumbe, e poi la contessa di Lùcoli, Gino Bommìnaco, Giovanella Daddi. Quei gentiluomini e quelle dame parlavano e ridevano forte.
 
Egli cercò di nascondersi, di rimpicciolirsi, tra la folla
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che assediava il banco. Tremava, al pensiero d’essere scoperto. Le voci, le risa gli giungevano di sopra le fronti sudate della folla, nel calor soffocante. Per ventura, dopo alcuni minuti, i gai visitatori se ne andarono.
 
Egli si aprì un varco tra i corpi agglomerati, vincendo il ribrezzo, facendo uno sforzo enorme per non venir meno. Aveva la sensazione, in bocca, come d’un sapore indicibilmente amaro e nauseoso che gli montasse su dal dissolvimento del suo cuore. Gli pareva d’escire, dai contatti di tutti quegli sconosciuti, come infetto di mali oscuri e immedicabili. La tortura fisica e l’angoscia morale si mescolavano.
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- Li portano proprio in questo momento. Ella dovrebbe averli incontrati, signor conte.
 
Nelle stanze non rimaneva quasi più nulla. Dalle finestre prive di tende entrava lo splendore rossastro del tramonto, entravano tutti gli strepiti della via sottoposta. Alcuni uomini staccavano ancóra qualche tappezzeria dalle pareti, scoprendo il parato di carta a fiorami volgari, su cui erano visibili qua e là i buchi e gli strappi.
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Alcuni altri toglievano i tappeti e li arrotolavano, suscitando un polverio denso che riluceva ne’ raggi. Un di costoro canticchiava una canzone impudica. E il polverio misto al fumo delle pipe si levava sino al soffitto.
 
Andrea fuggì.
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<small>Francavilla al Mare: luglio-dicembre 1888.</small>
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