Pensieri e discorsi/Il fanciullino: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Alebot (discussione | contributi)
Correzione via bot
Nessun oggetto della modifica
Riga 4:
==I.==
 
È dentro noi un fanciullino <ref>Platone, Fedro, 77 E. E Cebes con un sorriso, Come fossimo spauriti, disse, o Socrate, prova di persuaderci; o meglio non come spauriti noi, ma forse c’è dentro anche in noi un fanciullino che ha timore di siffatte cose: costui dunque proviamoci di persuadere a non aver paura della morte come di visacci d’orchi.</ref> che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell’età giovanile forse così come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell’angolo d’anima d’onde esso risuona. E*Chi anche,può egliimaginare, l’invisibilese fanciullo,non sivecchio perital’aedo vicinoe alil giovanebardo? piùVyàsa cheè accantoinvecchiato all’uomonella fattopenitenza e alsa vecchio,tutte chéle piùcose dissimilesacre ae sé vede quello che questiprofane. IlVecchio giovaneè in vero di rado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo; ché ne sdegna la conversazioneOssian, comevecchi chimolti sidegli vergogniskaldi. d’unL’aedo passato ancor troppo recente. Maè l’uomo riposatoche amaha parlareveduto con lui(oîde) e udirneperciò il chiacchiericciosa, e risponderglianzi atalvolta tononon evede più grave; eè l’armoniail diveggente quelle(aoidós) vociche èfa assaiapparire dolceil adsuo ascoltare,canto come<ref> d’unOMERO, usignuoloOdissea, che8, gorgheggi499; presso un ruscello chephaîne mormorad’aoidén.
 
O presso il vecchio grigio mare. Il mare è affaticato dall’ansia della vita, e si copre di bianche spume, e rantola sulla spiaggia. Ma tra un’ondata e l’altra suonano le note dell’usignuolo ora singultite come un lamento, ora spicciolate come un giubilo, ora punteggiate come una domanda. L’usignuolo è piccolo, e il mare è grande; e l’uno è giovane, e l’altro è vecchio. Vecchio è l’aedo, e giovane la sua ode. Väinämöinen è antico, e nuovo il suo canto <ref>Che Femio sia vecchio, non si dichiara da Omero con parola espressa, ma indirettamente con l’epiteto periclytós (Odissea, 1, 325) comune all’altro aedo Demodoco (ibidem 8, 521 e al.), e specialmente con ciò che Femio stesso afferma di sé (ibidem 22, 347):
 
<poem>
Sono maestro a me io, ché un dio piantommi nel cuore
Ogni ragione di canti...
</poem>
 
Il che consuona con ciò che di lui dice Penelope (ibidem 1, 337 sg.):
 
<poem>
Femio, poi che sai molt’altre malie de le genti,
Opere d’uomini e dei...
</poem>
 
E il vecchio Femio con la canzone più nuova o più giovane (ibidem, 351 sg.):
 
<poem>
Poi che gli uomini pregiano ed amano più quel canto
che il più nuovo all’intorno de li ascoltanti risuoni.
</poem>
 
Quanto a Väinämöinen, ricordo da quel meraviglioso frammento di versione dovuto al mio P. E. Pavolini (Sul limitare, pp. 75 sg.):
 
<poem>
L’antico e verace Väinämöinen
..............................
Quindi l’antico Väinämöinen
..............................
quando udirono il nuovo canto,
sentirono il dolce suono.
</poem></ref>. Chi può imaginare, se non vecchio l’aedo e il bardo? Vyàsa è invecchiato nella penitenza e sa tutte le cose sacre e profane. Vecchio è Ossian, vecchi molti degli skaldi. L’aedo è l’uomo che ha veduto (oîde) e perciò sa, e anzi talvolta non vede più ; è il veggente (aoidós) che fa apparire il suo canto <ref> OMERO, Odissea, 8, 499; phaîne d’aoidén.
 
Badiamo che io non intendo affermare l’etimo di aeidein da a privativo e vid- vedere. No: intendo asseverare che codesto etimo era presente agli antichi cantori. Si confrontino i due versi di Odissea, 1, 337 sg. che terminano il primo con oîdas e il secondo con aoidoì. Si mediti il 64 di 8: Degli occhi, sì, lo privò, ma gli dava la soave aoidén. Si ripensi l’espressione su riferita: mostrava l’aoidén.