Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/183: differenze tra le versioni

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di quel pazzo, di quel gran malanno, di quel voltafaccia,
E sbigottirono, e invase terrore Troiani ed Achivi;
{{R|860}}che, pur dïanzi, a me promise e a Giunone, che guerra
tale fu l’urlo di Marte, che mai non si sazia di guerre.
egli farebbe ai Troiani, darebbe soccorso agli Argivi:
E quale tutto negro pei nugoli l’ètere appare
e coi Troiani, invece, pugna ora, ed ha tutto scordato!».
quando per la calura si leva la furia dei venti:
E, cosí detto, cacciò dal carro giú Stenelo a tèrra,
tale il bronzeo Marte apparve al figliuol di Tidèo,
che con la mano indietro lo trasse; ed ei subito scese;
mentre, di nembi avvolto, movea verso il cielo infinito.
{{R|865}}e sopra il carro sali, vicina al figliuol di Tidèo,
Rapidamente giunse dei Numi alla sede, all’Olimpo,
ansia di pugne, la Dea. Cigolava alto l’asse di faggio,
e si sede’, col cuore doglioso, vicino al Croníde,
al peso: ché un eroe portava, e una Diva tremenda.
l’icore ambrosio a lui mostrò, che scorrea dalla piaga,
Essa i corsieri avventò solidunguli prima su Marte.
a lui, tra le querele, parlò queste alate parole:
L’armi al piú prode campione d’Etolia stava egli predando,
«E non t’adiri, Giove, mirando questi orridi scempi?
{{R|870}}a Perifante, immane d’Ocesio bellissimo figlio.
Sempre noialtri Numi soffriamo le pene piú crude,
Marte cruento lo stava spogliando. Ed Atena si cinse
l’uno crucciando l’altro, cercando il piacer dei mortali.
l’elmo d’Averno, che lei rendesse invisibile a Marte.
E tutti in guerra siamo con te; ché una stolta figliuola
Or, come questi vide venire il divino Tidíde,
hai generato, funesta, ch’a sempre la mente ad empiezze.
quivi disteso a terra lasciò Perifante gigante,
E tutti gli altri, quanti noi siamo Celesti d’Olimpo,
{{R|875}}dov’ei l’aveva ucciso, gli aveva levata la vita,
tutti obbediamo a te, ti siamo, uno ad uno, soggetti:
e al figlio di Tidèo, domator di cavalli, si volse.
costei, non a parole tu mai la castighi, né a fatti,
E quando l’un su l’altro movendo, già eran vicini,
anzi, la provochi, questo malanno ch’ài tu generato.
Marte per primo, sopra le redini e il giogo proteso,
Ed ora, essa eccitò Dïomede, il superbo Tidíde,
scagliò l’asta di bronzo, bramoso di tòrgli la vita.
che la sua pazza furia sui Numi celesti provasse.
{{R|880}}Ma lo ghermí con la mano la Diva dagli occhi azzurrini,
Esso, Cípride prima nel carpo ferí della mano:
e sotto il carro lo spinse, ché vano sortisse il suo volo.
contro me stesso poi si lanciò, che pareva un demonio;
Secondo, poi, lanciò Dïomede, fiero urlo di guerra,
e me trassero in salvo le gambe veloci; o che a lungo
l’asta di bronzo; e la spinse la Diva, figliuola di Giove,
avrei patito lí, fra le orrende cataste dei morti,
verso l’estremo ventre, dov’era aggirata una fascia.
oppur, vivo, sarei disfatto dai colpi del bronzo!».
{{R|885}}Qui lo colpí la Dea, lo ferí, lacerò la sua cute,
Ma bieco lo guardò, gli rispose il signore dei nembi:
e l’asta ancora svelse. Un urlo die’ il bronzeo Marte,
«Non ti piantare qui, voltafaccia, a fiottare! Fra quanti
qual novemila, o vuoi diecimila guerrieri a battaglia
sono d’Olimpo i Numi, su tutti odioso mi sei,
ché sempre è a te la rissa diletta, e la zuffa e la guerra.
levano insieme, quando s’appicca la zuffa di guerra.
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