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128 ILIADE 869-898

E sbigottirono, e invase terrore Troiani ed Achivi;
860tale fu l’urlo di Marte, che mai non si sazia di guerre.
     E quale tutto negro pei nugoli l’ètere appare
quando per la calura si leva la furia dei venti:
tale il bronzeo Marte apparve al figliuol di Tidèo,
mentre, di nembi avvolto, movea verso il cielo infinito.
865Rapidamente giunse dei Numi alla sede, all’Olimpo,
e si sede’, col cuore doglioso, vicino al Croníde,
l’icore ambrosio a lui mostrò, che scorrea dalla piaga,
a lui, tra le querele, parlò queste alate parole:
«E non t’adiri, Giove, mirando questi orridi scempi?
870Sempre noialtri Numi soffriamo le pene piú crude,
l’uno crucciando l’altro, cercando il piacer dei mortali.
E tutti in guerra siamo con te; ché una stolta figliuola
hai generato, funesta, ch’a sempre la mente ad empiezze.
E tutti gli altri, quanti noi siamo Celesti d’Olimpo,
875tutti obbediamo a te, ti siamo, uno ad uno, soggetti:
costei, non a parole tu mai la castighi, né a fatti,
anzi, la provochi, questo malanno ch’ài tu generato.
Ed ora, essa eccitò Dïomede, il superbo Tidíde,
che la sua pazza furia sui Numi celesti provasse.
880Esso, Cípride prima nel carpo ferí della mano:
contro me stesso poi si lanciò, che pareva un demonio;
e me trassero in salvo le gambe veloci; o che a lungo
avrei patito lí, fra le orrende cataste dei morti,
oppur, vivo, sarei disfatto dai colpi del bronzo!».
     885Ma bieco lo guardò, gli rispose il signore dei nembi:
«Non ti piantare qui, voltafaccia, a fiottare! Fra quanti
sono d’Olimpo i Numi, su tutti odioso mi sei,
ché sempre è a te la rissa diletta, e la zuffa e la guerra.