Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/57: differenze tra le versioni

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cosa indispensabile nella tragedia, e che sola genera l’energia, non si può esserlo che usando molti modi contratti, che oscuri non sono a chi sa le proprietá di questa divina lingua; ma possono ben parerlo alla lettura per chi non le sa. Mi si dirá: per chi scrivi? Pel pubblico. Ma il pubblico non le sa. In parte le sa; e le saprá meglio, quando ottimi attori, sapendole perfettamente, reciteranno questi miei versi cosí a senso, che sará impossibile lo sbagliare. Il pubblico italiano non è ancora educato a sentir recitare: ci vuol tempo, e col tempo si otterrá; ma intanto non per questo lo scrittore deve essere lasso o triviale. Se le cose sue meritano, non è egli meglio, e piú giovevole, che il volgo faccia un passo verso il sapere, imparando, che non l’autore un passo verso l’ignoranza, facendo in sue mani scapitar l’arte che tratta e la lingua che scrive? Qual rimprovero meritamente ci fanno ad una voce gli stranieri? di non aver teatro; e le poche nostre recite, che tal nome si usurpano, d’essere sdolcinate, cantate, snervate, insipide, lunghe, nojose, insoffribili. A dire il vero, mi parve tale l’indole della lingua nostra, da non mai temere in lei la durezza, bensí molto la fluiditá troppa, per cui le parole sdrucciolano di penna a chi scrive, di bocca a chi recita, e, colla stessa facilitá, dagli orecchi di chi ascolta. E se non volessi tediarla, sarebbe forse quí il luogo d’individuare quanto ho detto, con alcuni esempj di versi miei, poiché de’ miei quí si parla; e glie ne potrei citare dei duri, e dirle perché li facessi cosí, e dove bene, e dove male facessi; glie ne direi dei pieni, degli imitativi, dei languidi, dei sonanti, dei fluidi, degli armoniosi, dei piani, e d’ogni genere in somma, perché di tutti ve ne ho messi variando; e dico ''messi'', perché non mi sono sfuggiti, e di ciascuno potrei render ragione a tribunal competente. E di tutte le parole pregiatissime, ch’ella nella sua amorevole lettera mi dice, la sola ch’io non ricevo, è: ''negletto lo stile''; perché l’assicuro anzi che moltissimo l’ho lavorato, e troppo; poiché i difetti rimproveratimi, ed in parte da me riconosciuti, gli ho trovati con fatica e studio; da altro non provenendo, che dall’aver sempre avuto di mira di sfuggire la cantilena e la trivialitá.
cosa indispensabile nella tragedia, e che sola genera l’energia, non

si può esserlo che usando molti modi contratti, che oscuri non
sono a chi sa le proprietà di questa divina lingua; ma possono ben
parerlo alla lettura per chi non le sa. Mi si dirà: per chi scrivi?
Pel pubblico. Ma il pubblico non le sa. In parte le sa; e le saprà
meglio, quando ottimi attori, sapendole perfettamente, reciteranno
questi miei versi cosi a senso, che sarà impossibile lo sbagliare.
Il pubblico italiano non è ancora educato a sentir recitare: ci vuol
tempo, e col tempo si otterrà; ma intanto non per questo lo scrit¬
tore deve essere lasso o triviale. Se le cose sue meritano, non è
egli meglio, e più giovevole, che il volgo faccia un passo verso il
sapere, imparando, che non l’autore un passo verso l’ignoranza,
facendo in sue mani scapitar l’arte che tratta e la lingua che
scrive? Qual rimprovero meritamente ci fanno ad una voce gli stra¬
nieri? di non aver teatro; e le poche nostre recite, che tal nome
si usurpano, d’essere sdolcinate, cantate, snervate, insipide, lunghe,
nojose, insoffribili. A dire il vero, mi parve tale l’indole della lingua
nostra, da non mai temere in lei la durezza, bensì molto la flui¬
dità troppa, per cui le parole sdrucciolano di penna a chi scrive,
di bocca a chi recita, e, colla stessa facilità, dagli orecchi di chi
ascolta. E se non volessi tediarla, sarebbe forse qui il luogo d’in¬
dividuare quanto ho detto, con alcuni esempj di versi miei, poiché
de’ miei qui si parla; e glie ne potrei citare dei duri, e dirle perché
li facessi cosi, e dove bene, e dove male facessi; glie ne direi dei
pieni, degli imitativi, dei languidi, dei sonanti, dei fluidi, degli ar¬
moniosi, dei piani, e d’ogni genere in somma, perché di tutti ve
ne ho messi variando; e dico messi , perché non mi sono sfuggiti,
e di ciascuno potrei render ragione a tribunal competente. E di
tutte le parole pregiatissime, ch’ella nella sua amorevole lettera mi
dice, la sola ch’io non ricevo, è: negletto lo stile\ perché l’assicuro
anzi che moltissimo l’ho lavorato, e troppo; poiché i difetti rim¬
proveratimi, ed in parte da me riconosciuti, gli ho trovati con fatica
e studio; da altro non provenendo, che dall’aver sempre avuto di
mira di sfuggire la cantilena e la trivialità.
Non m’arresterò dunque che ai soli passi da lei osservati.
Non m’arresterò dunque che ai soli passi da lei osservati.

Basso terror d’infame tradimento
<poem>
A re, che merti esser tradito, lascia.
::::Basso terror d’infame tradimento
Quel lascia lontanetto, a lei fastidio. Io ve l’ho posto cosi, per¬
::::A re, che merti esser tradito, lascia.
ché mi pare che moltissima forza vi aggiunga, essendo la parola
</poem>


Quel ''lascia'' lontanetto, a lei fastidio. Io ve l’ho posto cosí, perché mi pare che moltissima forza vi aggiunga, essendo la parola