Aminta (1590)/Atto secondo/Scena seconda: differenze tra le versioni

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Scena seconda

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Atto secondo - Scena prima Atto secondo - Scena terza


[p. 33 modifica]

SCENA SECONDA.

Dafne. Tirſi.

T
Irsi com’io t’hò detto, io m’era accorta,

Ch’Aminta amaua Siluia: e Dio sà quanti
     Buoni officij n’hò fatti, e ſon per farli
     Tanto più volontier, quant’hor vi aggiungi
     5Le tue preghiere: ma torrei più tosto
     À domar un giuuenco, un’orſo, un tigre,
     Che à domar una ſemplice fanciulla,
     Fanciulla tanto ſciocca, quanto bella,
     Che non s’auueggia ancor, come ſian calde
     10L’armi di ſua bellezza, e come acute;
     Ma, ridendo e piangendo, uccida altrui,
     E l’uccida, e non ſappia di ferire.

     Tir.Ma, quale è coſi ſemplice fanciulla,
     Che, uſcita da le faſchie, non apprenda
     15L’arte del parer bella, e del piacere?
     De l’uccider piacendo, e del ſapere
     Qual arme fera, e qual dia morte, e quale
     Sani, e ritorni in vita?
     Daf.     Chi è’l maſtro
     Di cotant’arte?
     Tir.     Tu fingi, e mi tenti:
     20Quel, che inſegna à gli augelli il canto, e’l volo,
     A’ peſci il nuoto, & à montoni il cozzo,
     Al toro uſar il corno, & al pauone
     Spiegar la pompa de l’occhiute piume.

     Daf.Come hà nome’l gran maſtro?     Tir.     Dafne ha nome.

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     Daf.25Lingua bugiarda.     Tir.     E perche? tu non ſei
     Atta à tener mille fanciulle à ſcola?
     Benche, per dir il ver, non han biſogno
     Di Maeſtro. Maeſtra è la Natura,
     Ma la Madre, e la Balia, anco v’han parte.

     Daf.30In ſomma, tu ſei goffo inſieme, e triſto.
     Hora, per dirti il ver, non mi riſoluo,
     Se Siluia è ſemplicetta, come pare
     À le parole, à gli atti. hier vidi un ſegno,
     Che me ne mette in dubbio. io la trouai
     35Là preſſo la cittade in quei gran prati,
     Oue frà ſtagni giace un’Iſoletta,
     Soura eſſa un lago limpido, e tranquillo,
     Tutta pendente in atto, che parea
     Vagheggiar ſe medeſma, e’nſieme inſieme
     40Chieder conſiglio à l’acque, in qual maniera
     Dispor doueſſi in su la fronte i crini,
     E ſoura i crini il velo, e ſoura’l velo
     I fior, che tenea in grembo; e speſſo speſſo
     Hor prendeua un ligustro, hor una roſa,
     45E l’accoſtaua al bel candido collo,
     À le guancie vermiglie, e de’ colori
     Fea paragone; e poi, ſi come lieta
     De la vittoria, lampeggiaua un riſo,
     Che parea, che diceſſe: Io pur vi vinco,
     50Nè porto voi per ornamento mio,
     Ma porto voi ſol per vergogna voſtra;
     Perche ſi veggia quanto mi cedete.

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     Ma, mentre ella s’ornaua, e vagheggiaua,
     Riuolſe gli occhi à caſo, e ſi fù accorta,
     55Ch’io di lei m’era accorta, e vergognando
     Rizzoſſi toſto, e i fior laſciò cadere.
     In tanto io più ridea del ſuo roſſore;
     Ella più s’arroſſia del riſo mio.
     Ma, perche accolta una parte de’ crini,
     60E l’altra haueua sparſa, una, ò due volte,
     Con gli occhi al fonte conſiglier ricorſe,
     E ſi mirò quaſi di furto, pure
     Temendo, ch’io nel ſuo guatar guataſſi;
     Et incolta ſi vide, e ſi compiacque,
     65Perche bella ſi vide ancor che incolta.
     Io me n’auuidi, e tacqui.
     Tir.     Tu mi narri
     Quel ch’io credeua à punto. hor non m’appoſi?

     Daf.Ben t’apponeſti: ma pur odo dire,
     Che non erano pria le paſtorelle,
     70Nè le Ninfe sì accorte, nè io tale
     Fui in mia fanciullezza. Il mondo inuecchia,
     E inuecchiando intriſtiſce.
     Tir.     Forſe allhora
     Non uſauan ſi ſpeſſo i Cittadini
     Ne le ſelue, e ne i campi, nè ſi speſſo
     75Le nostre foroſette haueano in uſo
     D’andare à la cittade. hor ſon miſchiate
     Schiatte, e costumi. ma laſciam da parte
     Queſti diſcorſi: hor non farai, ch’un giorno
     Siluia contenta ſia, che le ragioni
     80Aminta? ò ſolo, ò almeno in tua preſenza?

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     Daf.Non sò. Siluia è ritroſa fuor di modo.
     Tir.E coſtui riſpettoſo è fuor di modo.
     Daf.È spacciato un’amante riſpettoſo:
     Conſiglial pur, che faccia altro meſtiero,
     85Poich’egli è tal. chi imparar vuol d’amare,
     Diſimpari il rispetto; oſi, domandi,
     Solleciti, importuni, al fine inuoli:
     E, ſe queſto non baſta, anco rapiſca.
     Hor, non ſai tu, com’è fatta la donna?
     90Fugge, e fuggendo vuol, che altri la giunga;
     Niega, e niegando vuol, ch’altri ſi toglia;
     Pugna, e pugnando vuol, ch’altri la vinca.
     Vè, Tirſi, io parlo teco in confidenza;
     Non ridir, ch’io ciò dica. e ſoura tutto
     95Non parlo in rime. tu ſai, s’io ſaprei
     Renderti poi per verſi altro, che verſi.

     Tir.Non hai cagion di ſoſpettar, ch’io dica
     Coſa giamai, che ſia contra tuo grado.
     Ma ti prego, ò mia Dafne, per la dolce
     100Memoria di tua freſcha giouanezza,
     Che tu m’aiti ad aitar Aminta
     Miſerel, che ſi muore.
     Daf.     Ò che gentile
     Scongiuro hà ritrouato queſto ſciocco
     Di rammentarmi la mia giouanezza,
     105Il ben paſſato, e la preſente noia.
     Ma, che vuoi tu, ch’io faccia?
     Tir.     À te non manca
     Nè ſaper, nè conſiglio. baſta ſol, che
     Ti disponga à voler.
     Daf.     Hor sù dirotti

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     Debbiamo in breue andare Siluia, & io
     110Al fonte, che s’appella, di Diana;
     Là doue à le dolci acque fà dolc’ombra
     Quel Platano, ch’inuita al freſco ſeggio
     Le Ninfe cacciatrici. iui sò certo,
     Che tufferà le belle membra ignude.

     Tir.115Ma, che però?     Daf.     Ma, che però? Da poco
     Intenditor. s’hai ſenno, tanto basti.

     Tir.Intendo: ma non sò s’egli haurà tanto
     D’ardir.
     Daf.     S’ei non l’haurà, ſtiaſi, & aſpetti,
     Ch’altri lui cerchi.
     Tir.     Egli è ben tal, che’l merta.
     Daf.120Ma non vogliamo noi parlar alquanto
     Di te medeſmo? hor su, Tirſi, non vuoi
     Tu inamorarti? ſei giouane anchora,
     Nè paſſi di quattr’anni il quinto luſtro;
     (Se ben ſouuiemmi, quando eri fanciullo)
     125Vuoi viuer neghittoſo, e ſenza gioia?
     Che ſol’amando huom sà, che ſia diletto.

     Tir.I diletti di Venere non laſcia
     L’huom, che ſchiua l’amor; ma coglie, e guſta
     Le dolcezze d’Amor ſenza l’amaro.

     Daf.130Inſipido è quel dolce, che condito
     Non è di qualche amaro, e toſto ſatia.

     Tir.E’ meglio ſatiarſi ch’eſſer ſempre
     Famelico nel cibo, e dopo’l cibo.

     Daf.Ma non, se’l cibo ſi poſſede, e piace,
     135E guſtato à guſtar ſempre n’inuoglia.

     Tir.Ma, chi poſſede sì quel, che gli piace,

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     Che l’habbia ſempre preſſo à la ſua fame?
     Daf.Ma, chi ritroua il ben, s’egli no’l cerca?
     Tir.Perigiloſo è cercar, quel che trouato
     140Trastulla ſi, ma più tormenta aſſai
     Non ritrouato. allhor vedraſſi amante
     Tirſi mai più, ch’Amor nel ſeggio ſuo
     Non haurà più nè pianti, nè ſospiri.
     À bastanza hò già pianto, e ſospirato.
     145Faccia altri la ſua parte.
     Daf.     Ma non hai
     Già goduto à bastanza.
     Tir.     Nè deſio.
     Goder, ſe così caro egli ſi compra.

     Daf.Sarà forza l’amar, ſe non fia voglia.
     Tir.Ma non ſi può sforzar chi stà lontano.
     Daf.150Ma, chi lung’è d’Amor?     Tir.     Chi teme, e fugge.
     Daf.E che gioua fuggir da lui, c’hà l’ali?
     Tir.Amor naſcente hà corte l’ali, à pena
     Può sù tenerle, e non le spiega à volo.

     Daf.Pur non s’accorge l’huom, quand’egli naſce:
     155E, quando huom ſe n’accorge, è grande, e vola.

     Tir.Non, s’altra volta naſcer non l’ha viſto.
     Daf.Vedrem, Tirſi, s’haurai la fuga à gli occhi,
     Come tu dici. io ti protesto, poi
     Che fai del corridore, e del ceruiero,
     160Che, quando ti vedrò chieder aita,
     Non mouerei, per aiutarti, un paſſo,
     Un dito, un detto, una palpebra ſola.

     Tir.Crudel, daratti il cor vedermi morto?
     Se vuoi pur, ch’ami, ama tu me: facciamo

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     165L’amor d’accordo.     Daf.     Tu mi ſcherni, e forſe
     Non merti Amante così fatta: ahi, quanti
     N’inganna il viſo colorito, e liſcio.

     Tir.Non burlo io, nò, ma tu con tal proteſto
     Non accetti il mio amor, pur come è l’uſo
     170Di tutte quante: ma, ſe non mi vuoi,
     Viuerò ſenza amor.
     Daf.     Contento viui
     Più che mai foſſi, ò Tirſi, in otio viui;
     Che ne l’otio l’amor ſempre germoglia.

     Tir.Ò Dafne, à me quest’otio ha fatto Dio:
     175Colui, che Dio qui può stimarſi; à cui
     Si paſcon gli ampi armenti, e l’ampie greggie
     Da l’uno, à l’altro mare, e per li lieti
     Colti di fecondiſſime campagne,
     E per gli alpeſtri doſſi d’Appennino.
     180Egli mi diſſe, allhor, che ſuo mi fece,
     Tirſi, altri ſcacci i lupi, e i ladri, e guardi
     I miei murati ouili altri comparta
     Le pene, e i premij a’ miei miniſtri; & altri
     Paſca, e curi le greggi; altri conſerui
     185Le lane, e’l latte; & altri le diſpenſi:
     Tu canta, hor che sè’n otio. ond’è ben giuſto,
     Che non gli ſcherzi di terreno amore,
     Ma canti gli aui del mio viuo, e vero
     (Non sò, s’io lui mi chiami) Apollo, ò Gioue;
     190Che ne l’opre, e nel volto ambi ſomiglia,
     Gli aui più degni di Saturno, ò Celo;
     Agreste Muſa à Regal merto: e pure

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     Chiara, ò roca che ſuoni, ei non la sprezza.
     Non canto lui, però che lui non poſſo
     195Degnamente honorar ſe non tacendo,
     E riuerendo: ma non fian giamai
     Gli altari ſuoi ſenza i miei fiori, e ſenza
     Soaue fumo d’oderati incenſi;
     Et allhor queſta ſemplice, e deuota
     200Religion mi ſi torrà dal core,
     Che d’aria paſceranſi in aria i cerui;
     E che mutando i fiumi e letto, e corſo,
     Il Perſo bea la Sona, il Gallo il Tigre.

     Daf.Ò, tu mai alto: hor sù, diſcendi un poco
     205Al propoſito noſtro.
     Tir.     Il punto è queſto,
     Che tu in andando al fonte con colei
     Cerchi d’intenerirla: & io frà tanto
     Procurerò, ch’Aminta là ne venga.
     Nè la mia forſe men difficil cura
     210Sarà di queſta tua. hor uanne.
     Daf.     Io vado,
     Ma il propoſito nostro altro intendeua.

     Tir.Se ben rauuiſo di lontan la faccia,
     Aminta è quel, che di là spunta. è deſſo.

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SCENA SECONDA.

Dafne. Tirsi.

T
Irsi com’io t’ho detto, io m’era accorta,

Ch’Aminta amava Silvia: e Dio sa quanti
     Buoni officii n’ho fatti, e son per farli
     Tanto più volontier, quant’or vi aggiungi
     5Le tue preghiere: ma torrei più tosto
     A domar un giuvenco, un orso, un tigre,
     Che a domar una semplice fanciulla,
     Fanciulla tanto sciocca, quanto bella,
     Che non s’avveggia ancor, come sian calde
     10L’armi di sua bellezza, e come acute;
     Ma, ridendo e piangendo, uccida altrui,
     E l’uccida, e non sappia di ferire.

     Tir.Ma, quale è così semplice fanciulla,
     Che, uscita da le fascie, non apprenda
     15L’arte del parer bella, e del piacere?
     De l’uccider piacendo, e del sapere
     Qual arme fera, e qual dia morte, e quale
     Sani, e ritorni in vita?
     Daf.     Chi è’l mastro
     Di cotant’arte?
     Tir.     Tu fingi, e mi tenti:
     20Quel, che insegna a gli augelli il canto, e’l volo,
     A pesci il nuoto, ed a montoni il cozzo,
     Al toro usar il corno, ed al pavone
     Spiegar la pompa de l’occhiute piume.

     Daf.Come ha nome’l gran mastro?     Tir.     Dafne ha nome.

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     Daf.25Lingua bugiarda.     Tir.     E perché? Tu non sei
     Atta a tener mille fanciulle a scola?
     Benché, per dir il ver, non han bisogno
     Di Maestro. Maestra è la Natura,
     Ma la Madre, e la Balia, anco v’han parte.

     Daf.30In somma, tu sei goffo insieme, e tristo.
     Ora, per dirti il ver, non mi risolvo,
     Se Silvia è semplicetta, come pare
     A le parole, a gli atti. Ier vidi un segno,
     Che me ne mette in dubbio. Io la trovai
     35Là presso la cittade in quei gran prati,
     Ove fra stagni giace un’Isoletta,
     Sovra essa un lago limpido, e tranquillo,
     Tutta pendente in atto, che parea
     Vagheggiar se medesma, e’nsieme insieme
     40Chieder consiglio a l’acque, in qual maniera
     Dispor dovessi in su la fronte i crini,
     E sovra i crini il velo, e sovra’l velo
     I fior, che tenea in grembo; e spesso spesso
     Or prendeva un ligustro, or una rosa,
     45E l’accostava al bel candido collo,
     A le guancie vermiglie, e de’ colori
     Fea paragone; e poi, si come lieta
     De la vittoria, lampeggiava un riso,
     Che parea, che dicesse: Io pur vi vinco,
     50Né porto voi per ornamento mio,
     Ma porto voi sol per vergogna vostra;
     Perché si veggia quanto mi cedete.

[p. 35 modifica]

     Ma, mentre ella s’ornava, e vagheggiava,
     Rivolse gli occhi a caso, e si fu accorta,
     55Ch’io di lei m’era accorta, e vergognando
     Rizzossi tosto, e i fior lasciò cadere.
     In tanto io più ridea del suo rossore;
     Ella più s’arrossia del riso mio.
     Ma, perché accolta una parte de’ crini,
     60E l’altra haveva sparsa, una, o due volte,
     Con gli occhi al fonte consiglier ricorse,
     E si mirò quasi di furto, pure
     Temendo, ch’io nel suo guatar guatassi;
     Et incolta si vide, e si compiacque,
     65Perché bella si vide ancor che incolta.
     Io me n’avvidi, e tacqui.
     Tir.     Tu mi narri
     Quel ch’io credeva a punto. Or non m’apposi?

     Daf.Ben t’apponesti: ma pur odo dire,
     Che non erano pria le pastorelle,
     70Né le Ninfe sì accorte, né io tale
     Fui in mia fanciullezza. Il mondo invecchia,
     E invecchiando intristisce.
     Tir.     Forse allora
     Non usavan si spesso i Cittadini
     Ne le selve, e ne i campi, né si spesso
     75Le nostre forosette aveano in uso
     D’andare a la cittade. Or son mischiate
     Schiatte, e costumi. Ma lasciam da parte
     Questi discorsi: or non farai, ch’un giorno
     Silvia contenta sia, che le ragioni
     80Aminta? O solo, o almeno in tua presenza?

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     Daf.Non so. Silvia è ritrosa fuor di modo.
     Tir.E costui rispettoso è fuor di modo.
     Daf.È spacciato un amante rispettoso:
     Consiglial pur, che faccia altro mestiero,
     85Poich’egli è tal. Chi imparar vuol d’amare,
     Disimpari il rispetto; osi, domandi,
     Solleciti, importuni, al fine involi:
     E, se questo non basta, anco rapisca.
     Or, non sai tu, com’è fatta la donna?
     90Fugge, e fuggendo vuol, che altri la giunga;
     Niega, e niegando vuol, ch’altri si toglia;
     Pugna, e pugnando vuol, ch’altri la vinca.
     Ve’, Tirsi, io parlo teco in confidenza;
     Non ridir, ch’io ciò dica. E sovra tutto
     95Non porlo in rime. Tu sai, s’io saprei
     Renderti poi per versi altro, che versi.

     Tir.Non hai cagion di sospettar, ch’io dica
     Cosa giamai, che sia contra tuo grado.
     Ma ti prego, o mia Dafne, per la dolce
     100Memoria di tua fresca giovanezza,
     Che tu m’aiti ad aitar Aminta
     Miserel, che si muore.
     Daf.     O che gentile
     Scongiuro ha ritrovato questo sciocco
     Di rammentarmi la mia giovanezza,
     105Il ben passato, e la presente noia.
     Ma, che vuoi tu, ch’io faccia?
     Tir.     A te non manca
    Né saper, né consiglio. Basta sol, che
    Ti disponga a voler.
     Daf.     Or su dirotti

[p. 37 modifica]

     Debbiamo in breve andare Silvia, ed io
     110Al fonte, che s’appella, di Diana;
     Là dove a le dolci acque fa dolce ombra
     Quel Platano, ch’invita al fresco seggio
     Le Ninfe cacciatrici. Ivi so certo,
     Che tufferà le belle membra ignude.

     Tir.115Ma, che però?     Daf.     Ma, che però? Da poco
     Intenditor. S’hai ſenno, tanto basti.

     Tir.Intendo: ma non so s’egli avrà tanto
     D’ardir.
     Daf.     S’ei non l’avrà, stiasi, ed aspetti,
     Ch’altri lui cerchi.
     Tir.     Egli è ben tal, che’l merta.
     Daf.120Ma non vogliamo noi parlar alquanto
     Di te medesmo? Or su, Tirsi, non vuoi
     Tu inamorarti? Sei givane ancora,
     Né passi di quattr’anni il quinto lustro;
     (Se ben sovviemmi, quando eri fanciullo)
     125Vuoi viver neghittoso, e senza gioia?
     Che sol’amando uom sa, che sia diletto.

     Tir.I diletti di Venere non lascia
     L’uom, che schiva l’amor; ma coglie, e gusta
     Le dolcezze d’Amor senza l’amaro.

     Daf.130Insipido è quel dolce, che condito
     Non è di qualche amaro, e tosto sazia.

     Tir.E’ meglio saziarsi ch’esser sempre
     Famelico nel cibo, e dopo’l cibo.

     Daf.Ma non, se’l cibo si possede, e piace,
     135E gustato a gustar sempre n’invoglia.

     Tir.Ma, chi possede sì quel, che gli piace,

[p. 38 modifica]

     Che l’abbia sempre presso a la sua fame?
     Daf.Ma, chi ritrova il ben, s’egli no’l cerca?
     Tir.Perigiloso è cercar, quel che trovato
     140Trastulla sì, ma più tormenta assai
     Non ritrovato. Allor vedrassi amante
     Tirsi mai più, ch’Amor nel seggio suo
     Non avrà più né pianti, né sospiri.
     A bastanza ho già pianto, e sospirato.
     145Faccia altri la sua parte.
     Daf.     Ma non hai
     Già goduto a bastanza.
     Tir.     Né desio.
     Goder, se così caro egli si compra.

     Daf.Sarà forza l’amar, se non fia voglia.
     Tir.Ma non si può sforzar chi sta lontano.
     Daf.150Ma, chi lung’è d’Amor?     Tir.     Chi teme, e fugge.
     Daf.E che giova fuggir da lui, c’ha l’ali?
     Tir.Amor nascente ha corte l’ali, a pena
     Può su tenerle, e non le spiega a volo.

     Daf.Pur non s’accorge l’uom, quand’egli nasce:
     155E, quando uom se n’accorge, è grande, e vola.

     Tir.Non, s’altra volta nascer non l’ha visto.
     Daf.Vedrem, Tirsi, s’avrai la fuga a gli occhi,
     Come tu dici. io ti protesto, poi
     Che fai del corridore, e del cerviero,
     160Che, quando ti vedrò chieder aita,
     Non moverei, per aiutarti, un passo,
     Un dito, un detto, una palpebra sola.

     Tir.Crudel, daratti il cor vedermi morto?
     Se vuoi pur, ch’ami, ama tu me: facciamo

[p. 39 modifica]

     165L’amor d’accordo.     Daf.     Tu mi scherni, e forse
     Non merti Amante così fatta: ahi, quanti
     N’inganna il viso colorito, e liscio.

     Tir.Non burlo io, no, ma tu con tal protesto
     Non accetti il mio amor, pur come è l’uso
     170Di tutte quante: ma, se non mi vuoi,
     Viverò senza amor.
     Daf.     Contento vivi
     Più che mai fossi, o Tirsi, in ozio vivi;
     Che ne l’ozio l’amor sempre germoglia.

     Tir.O Dafne, a me quest’ozio ha fatto Dio:
     175Colui, che Dio qui può stimarsi; a cui
     Si pascon gli ampi armenti, e l’ampie greggie
     Da l’uno, a l’altro mare, e per li lieti
     Colti di fecondissime campagne,
     E per gli alpestri dossi d’Appennino.
     180Egli mi disse, allor, che suo mi fece,
     Tirsi, altri scacci i lupi, e i ladri, e guardi
     I miei murati ovili altri comparta
     Le pene, e i premii a’ miei ministri; ed altri
     Pasca, e curi le greggi; altri conservi
     185Le lane, e’l latte; ed altri le dispensi:
     Tu canta, or che se’ ’n ozio. Ond’è ben giusto,
     Che non gli scherzi di terreno amore,
     Ma canti gli avi del mio vivo, e vero
     (Non so, s’io lui mi chiami) Apollo, o Giove;
     190Che ne l’opre, e nel volto ambi somiglia,
     Gli avi più degni di Saturno, o Celo;
     Agreste Musa a Regal merto: e pure

[p. 40 modifica]

     Chiara, o roca che suoni, ei non la sprezza.
     Non canto lui, però che lui non posso
     195Degnamente onorar se non tacendo,
     E riverendo: ma non fian giamai
     Gli altari suoi senza i miei fiori, e senza
     Soave fumo d’oderati incensi;
     Ed allor questa semplice, e devota
     200Religion mi si torrà dal core,
     Che d’aria pasceransi in aria i cervi;
     E che mutando i fiumi e letto, e corso,
     Il Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre.

     Daf.O, tu mai alto: or su, discendi un poco
     205Al proposito nostro.
     Tir.     Il punto è questo,
     Che tu in andando al fonte con colei
     Cerchi d’intenerirla: ed io fra tanto
     Procurerò, ch’Aminta là ne venga.
     Né la mia forse men difficil cura
     210Sarà di questa tua. Or vanne.
     Daf.     Io vado,
     Ma il proposito nostro altro intendeva.

     Tir.Se ben ravviso di lontan la faccia,
     Aminta è quel, che di là spunta. È desso.