Iliade (Monti)/Libro III: differenze tra le versioni

<section begin="arg"/>Da definire<section end="arg"/>

</div></onlyinclude><!-- a qui -->{{Qualità|avz=75%|data=7 ottobre 2008|arg=Da definire}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Libro III|prec=../Libro II|succ=../Libro IV}}

{{Centrato|{{x-larger|ILIADE}}}}

 

Come talor del monte in su la cima

di Scirocco il soffiar spande la nebbia

al pastore odiosa, al ladro cara

più che la notte, né va lunge il guardo

l’ira temendo del figliuol d’Atreo,{{R|45}}

l’avvenente codardo retrocesse.

Ettore il vide, e con ripiglio acerbo

gli fu sopra gridando: Ahi sciagurato!

che ben tagliente una navale antenna

fende, vibrata da gagliardi polsi,{{R|80}}

e nerbo e lena al fenditor raddoppia.

Non rinfacciarmi di Ciprigna i doni,

fra noi surta ed accesa è tanta guerra.

Egli vuol che de’ Teucri e degli Achei

quete stian l’armi, e sia da solo a solo{{R|115}}

col bellicoso Menelao decisa

Sì disse; e rallegrò Teucri ed Achei

la dolce speme di finir la guerra.

Schieraro i cocchi e ne smontâr: svestiti

quindi dell’armi, le adagiâr su l’erba,{{R|150}}

del prode vincitor cara consorte.

Con questo ragionar la Dea le mise

un subito nel cor dolce desìo

del primiero marito e della patria

non hai colpa tu meco, ma gli Dei,{{R|215}}

che contra mi destâr le lagrimose

arme de’ Greci. Or drizza il guardo, e dimmi

chi sia quel grande e maestoso Acheo

avean le tende, ed io co’ miei m’aggiunsi

lor collegato, e fui del numer uno{{R|250}}

discesero. Ma tante allor non fûro

le frigie torme no quante or l’achee.

ch’uom di molto sermone egli non era,

né verbo in fallo gli cadea dal labbro,

benché d’anni minor. Quando poi surse{{R|285}}

l’itaco duce a ragionar, lo scaltro

Forse di Sparta non son ei venuti;

o venuti, di sé nelle battaglie

niegan far mostra, del mio scorno ahi! forse

vergognosi, e dell’onta che mi copre.

procedean venerandi. Ad incontrarli{{R|350}}

tosto rizzossi Agamennón, rizzossi

l’accorto Ulisse; e i risplendenti araldi

tutto venìan frattanto apparecchiando

finché punito il mancator ne sia.

Disse; e col ferro degli agnelli incise{{R|385}}

le mansuete gole, e palpitanti

sul terren li depose e senza vita.

le mani alzando supplicava al cielo,

e qualche labbro bisbigliar s’udìa:

Giove padre, che grande e glorïoso{{R|420}}

godi in Ida regnar, quello de’ due,

l’aste squassando al mezzo dell’arena

s’avvicinâr sdegnosi; ed il Troiano

primier la lunga e grave asta vibrando

la rotella colpì del suo nemico,{{R|455}}

verso gli Achivi quel meschino, a cui

la delicata gola soffocava

il trapunto guinzaglio che le barbe

annodava dell’elmo sotto il mento.

riposarsi. Sì disse, e il cor nel seno{{R|520}}

le commosse. Ma quando all’incarnato

del bellissimo collo, e all’amoroso

petto, e degli occhi al tremolo baleno

e cheta cheta in via si pose, a tutte

le Troadi celata, e precorreva{{R|555}}

a’ suoi passi la Dea. Poiché venute

fur d’Alessandro alle splendenti soglie,

No, non t’amai quel dì quant’ora, e quanto

di te m’invoglia il cor dolce desìo.

Disse; ed al letto s’avvïaro, ei primo,{{R|590}}

ella seconda; e l’un dell’altro in grembo