AL SIG. JACINTO CICOGNINO.

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AL SIG. JACINTO CICOGNINO.
XXI XXIII
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XXII

AL SIG. JACINTO CICOGNINO.

     Jacinto, l’altra sera io mi posava
Soletto, come soglio, ad un librajo
Colà presso le scale di Badia.
Attendeansi da me le ventiquattro
5Per venirmene a vegghia, e passar l’ore
Al bellissimo giuoco di picchetto;
Ed ecco un uom togato. Avea costui
Le mascelle ingombrate di gran pelo,
E le ciglia aggrottate; a rimirarsi
10Uno straniero: a sorte volse il guardo
Alle rime del Varchi, e stette alquanto
Pensoso, e poscia dispettoso disse
Verso di me, che lui giammai non vidi:
Puossi egli perdonare? Un intelletto
15Acconcio a penetrar tutti i segreti
Più chiusi di natura; un uomo asato
A passeggiare collo Stagirita,
Noto nell’accademia di Platone:
Puossi egli perdonar? perdere il tempo
20In sillabar parole? in tesser versi?
E così dunque vil l’umana vita,
Ch’ella si debba consumare in ciance?
Quivi batteo le palme in sulla panca,
E volsemi le reni, e va con Dio,
25Pur borbottando. Io pien di meraviglia
Rimasi senza spirto, e senza moto,
Come la statua del gigante in piazza:
Scossimi al fine, e mi fei vivo, e meco
Presi a così parlar: Dove siam noi?
30È pur questa Firenze? or donde appare
Personaggio sì fatto, che divulga
Così pronta sentenza? e dà sul viso
Un fregio d’ignoranza all’universo?
Come fia ciò? se il Varchi era intelletto
35Acconcio a penetrar gli alti segreti
Più chiusi di natura; e s’ei sapea,
Quanto veracemente egli sapea,
Non sapev’ei, che poetando egli era
Degno di colpa? il poetare è ciancia?
40Disperdersi la vita in poetando?
Ah sciocchezza! ah bestemmia! adunque in vano
Cantò l’Argivo, ed il roman Parnaso
L’ira di Achille, e la pietà d’Enea?
Sì dicendo mi accesi, e per disdegno
45Battei col piè le lastre, e misi un grido:
Non più, non più; chi m’apparì fu larva,
Se non fu bestia. Or, Cicognino, ascolta:
Se Omero in sulle rive d’Elicona
Malamente per sè fesse ghirlanda,
50E commettesse error nell’arti sue,
Che farebbe egli allor? certo non altro,
Salvo aprir nostre bocche a gran sorrisi:
Ma se nel suo mestier Galeno inciampa,
Io rinchiuso men vo sotto un avello,
55E mia famiglia vestirassi a bruno:
Bartolo intende sanamente un testo,
È vincitor d’un piato, i tuoi poderi
Quinci son salvi dalla frode altrui,
Dolcissime vendemmie a’ tuoi figliuoli
60Andranne maturando il buon Leneo:
Ma se in cima di Pindo un sacro ingegno
Forte fa risuonar Castalia tromba,
Ecco doma l’Invidia, ecco sepolta
L’obblivïon della Letea palude,
65E della falce disarmato il Tempo.
Quinci volando di Ruggiero il nome,
E di Goffredo, se ne van per l’alto:
Fansi le città chiare, e d’aureo lume
Eternamente quell’età s’illustra.