Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/27

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../28 IncludiIntestazione 27 marzo 2010 75% diritto

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- La sentenza di omologa rappresenta uno dei capisaldi dell’intera vicenda.

Essa è un capolavoro di bizantinismo applicato.

Ed invero, leggendola al lume delle considerazioni fin qui formulate, ben può cogliersi la reale intenzione dell’estensore. Innanzi tutto si dovevano smussare le asperità di ordine formale che avrebbero potuto costituire un irrimediabile ostacolo. Non si dimentichi che in sede di ammissione alla procedura una delle questioni più scottanti, quella della meritevolezza, era stata rimessa alla fase dell’omologa, come del resto la definitiva valutazione circa la tenuta di una regolare contabilità.

Orbene, il dott. Greco era stato il solo ad aver esaminato quale giudice delegato le scritture contabili di Federconsorzi e non ebbe difficoltà a segnalare irregolarità men che modeste, di per sé inidonee ad impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

D’altro canto la spinosa questione dei bilanci falsi era stata rimessa all’apposita commissione, che si sarebbe pronunciata solo qualche mese dopo, quando invece il rilievo immediato di gravi, seppur pregresse irregolarità avrebbe potuto essere d’ostacolo all’omologa.

Neppure nella sentenza, come già nel primo decreto di ammissione, fu rilevata la mancanza di un’elencazione analitica ed estimativa dei beni e la mancanza di un inventario, ma fu dato conto della scelta, effettuata di concerto con il commissario giudiziale, di incaricare i singoli stimatori di procedere ciascuno per la sua parte anche al relativo inventario.

Quanto poi alla meritevolezza fu osservato che la scelta del commissariamento veniva di fatto a sanzionare la precedente gestione, di talché sui commissari non sarebbero potute ricadere le conseguenze di quella, argomento di per sé tautologico, poiché il concordato rappresenta solo una delle possibili soluzioni concorsuali, avendo il Ministro a disposizione anche la liquidazione coatta amministrativa.

Inoltre fu dato atto che attraverso la nomina della commissione di esperti volta alla verifica delle condizioni per un’azione di responsabilità e attraverso un comportamento complessivamente volto a tutelare i creditori e il patrimonio i commissari avevano agito in modo da cercare di restituire alla società la sua funzionalità, il che appare assai singolare, visto che il concordato fu chiesto dopo appena un mese e mezzo dal commissariamento.

Sul piano dei valori di riferimento la sentenza di omologa fece proprie le stime del commissario giudiziale, costituenti una mera rielaborazione di quelle dei consulenti all’uopo incaricati. Nell’apportare, rispetto alle valutazioni del prof. Picardi, una correzione concernente le spese in prededuzione, la sentenza ipotizzò la distribuzione ai chirografari di una percentuale non inferiore al 70%.

Ma le vette più impervie furono raggiunte all’esito di un ripido sentiero, costellato di insidie, quando furono trattati gli argomenti della nomina del liquidatore e delle modalità della liquidazione, che l’art. 182 L.F. vorrebbe inseriti nella sentenza, anche se si conviene che le relative disposizioni abbiano natura ordinatoria e gestoria.

Ed invero da un lato si provvide all’immediata nomina del liquidatore, con la riserva di una sua eventuale sostituzione, ma dall’altro fu solo abbozzata la definizione delle modalità di liquidazione, rimessa ad una fase successiva.

In particolare, perseguendo un’esigenza di innovazione, fu presa in considerazione la vendita in blocco di tutti i beni come ipotesi da preferire, in quanto ammissibile anche nell’ambito del fallimento e tanto più nella procedura di concordato preventivo, connotata da marcata flessibilità, e in quanto idonea ad assicurare un risparmio di spese e di tempo.

Proprio in tale contesto fu sottolineata l’importanza dell’offerta presentata dall’Avv. Casella, giudicata ammissibile, anche se ritenuta allo stato come “una semplice ipotesi di liquidazione, da coltivare soltanto in prosieguo, anche con eventuale pubblica gara”. In particolare non fu affrontato il tema della congruità del prezzo, precisandosi che si sarebbe trattato di stabilire “fino a che punto la celerità della monetizzazione possa giustificare un divario tra il prezzo offerto e il valore presunto dei beni”.

La scelta finale fu quella di non pregiudicare la possibilità della vendita in blocco e di prevedere per intanto che fosse la stessa Federconsorzi in persona del suo legale rappresentante a porre in essere l’atto o gli atti di disposizione necessari.

Fu altresì dato incarico al commissario giudiziale, d’intesa con la società, e dunque con il commissario governativo, di predisporre in alternativa un piano di vendite frazionate, da utilizzarsi residualmente in caso di riscontrata impraticabilità di una vendita in blocco.

A ben guardare la preferenza accordata alla vendita in blocco, in presenza della sola offerta proveniente dall’Avv. Casella, e la scelta di nominare Federconsorzi come liquidatrice di se stessa (rectius: di non nominare alcun liquidatore), in luogo di uno o più liquidatori diversi, erano tali da rivelare non solo una tendenziale opzione di metodo, bensì una più precisa volontà di addivenire comunque alla cessione in favore dei promotori di quella cordata, che era stata a suo tempo attesa.

D’altro canto, essendosi presa in considerazione come mera ipotesi, a fronte della manifestata intenzione di addivenire alla cessione in blocco, la pubblica gara, la proposta Casella finiva di fatto per assumere la strapotere strategico e la forza contrattuale tipica del monopolista.

Ed invero nulla sarebbe stato fatto in prosieguo di tempo per rinvenire dei concorrenti, ma si sarebbe instaurata solo una sorta di trattativa, avente per oggetto la definizione della proposta Casella.

Quest’ultima tuttavia era inaccoglibile e tale sarebbe stata fatalmente in prosieguo, poiché la sentenza di omologa muoveva dal presupposto che il patrimonio assicurasse ben più del 40% ai creditori chirografari, mentre, stante il calcolo dell’onere concordatario, pur ridotto in considerazione della teorica maggiore celerità della procedura, il prezzo offerto non avrebbe assicurato che una percentuale di poco superiore al 34%, così da rendere il concordato non omologabile.

Ora, la mancata ricerca di nuovi acquirenti, nonostante la manifestata intenzione dei proponenti di non aumentare quel prezzo, finisce per risultare rivelatrice: essa indica infatti che il differimento della scelta definitiva fu null’altro che un escamotage, volto a far sì che l’accoglimento della proposta non condizionasse l’esito del giudizio di omologa.

Ciò però non significa che una siffatta strategia, pur abilmente attuata e ovviamente avallata dallo stesso Presidente Greco, mostratosi ben consapevole al dibattimento (e non si sarebbe potuto immaginare il contrario) delle differenti conseguenze derivanti dalla mancanza di un patrimonio sufficiente e dal mancato raggiungimento a valle, cioè nel corso della liquidazione, della percentuale richiesta, non sia affetta da illegittimità.

Infatti tutte le determinazioni sulle modalità della vendita, coeve o meno alla sentenza, non si sarebbero potute discostare dai parametri di legge previsti per l’omologa e dagli specifici parametri utilizzati nella sentenza, tanto meno nel caso di una vendita in massa.

In questa sede inoltre, nonostante gli sforzi interpretativi a favore della scelta, contenuti in alcuni pareri acquisiti agli atti , e nonostante taluni precedenti conformi di giudici di merito, concernenti situazioni assai diverse, non può non rimarcarsi l’incongruità del conferimento al debitore di un incarico che postula il perseguimento fiduciario degli interessi dei creditori, oltre che di quello pubblicistico, comunque sotteso alla procedura, all’equa ripartizione del ricavato .

Ciò vale tanto più nel caso di specie, in cui si trattava di cedere un patrimonio vasto ed eterogeneo.

Né sarebbe potuto sostenersi, come invece fu fatto, che la nomina di Federconsorzi come liquidatore e la vendita in blocco fossero idonee ad assicurare un enorme risparmio, connesso in primis al mancato compenso ai liquidatori, giacché la procedura, a causa delle liti pendenti e delle complessità della gestione, avrebbe avuto comunque un dispendioso decorso, gravato fra l’altro dagli oneri per il personale.

In pratica la sentenza di omologa segnava la via ed era una via senza ritorno.

Ma in fondo a quella via ad attendere vi era solo il prof. Capaldo.