Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/2

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CRONISTORIA: DALLA CRISI ALLA LIQUIDAZIONE CONCORDATIZIA

Parlare della Federazione dei Consorzi Agrari-Federconsorzi, in gergo Fedit, dall’angolo visuale della procedura di concordato preventivo, che ha contrassegnato la fase finale della sua storia, è come prender parte ad una festa danzante della corte imperiale asburgica, guardandola dal buco di una serratura.

Perché in realtà può già dirsi che almeno in una determinata fase storica “fu vera gloria”, nonostante i molti detrattori.

La crescita economica e sociale dell’Italia, nel secondo dopoguerra, non può essere appieno compresa se si prescinde dal contributo che quell’organismo seppe fornire, aiutando la produzione agricola e fornendole sbocchi commerciali.

In base al D.l.vo 1235/48, poi ratificato con L 561/65, la Federconsorzi altro non era che una società cooperativa a responsabilità limitata, di cui erano soci i consorzi agrari provinciali o interprovinciali per quote costituite da azioni del valore di £ 50.000 ciascuna: così come i consorzi agrari avevano la funzione di contribuire al miglioramento e all’incremento della produzione agricola, alla Federconsorzi competeva la stessa funzione su scala nazionale, dovendo essa curare sia l’approvvigionamento di materie prime e di mezzi, anche finanziari, attraverso operazioni creditizie, sia assicurare ai prodotti un adeguato sbocco. La sua rigida struttura e le funzioni svolte, nonché la sottoposizione alla vigilanza ministeriale hanno concorso negli anni a far sorgere dubbi sulla natura pubblica o privata dell’ente.

Sta di fatto che progressivamente ha finito per imporsi il convincimento che si trattasse di una società privata a tutti gli effetti, salve alcune peculiarità, e che tuttavia ad essa fossero demandate non di rado funzioni più propriamente pubblicistiche, come nel caso dei c.d. ammassi, con ricaduta non tanto sullo statuto dell’ente ma sulla qualificazione della specifica attività, oggettivamente intesa .

Essendo tanto i consorzi agrari quanto la Federconsorzi retti da uno statuto tipo, a forte impronta maggioritaria, accadde che del complessivo sistema si impossessarono alcune associazioni di categoria, a cominciare dalla Coldiretti, che negli anni riuscì ad imporre una forte influenza.

Poiché peraltro quelle associazioni erano a loro volta legate al partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, che ha dominato la scena politica italiana fino ai giorni nostri, ben si comprende che quel partito avesse sempre considerato la Federconsorzi ed i consorzi agrari come strumenti della propria azione e come fonte di ampio consenso nel mondo contadino.

Anche per questo, ben prima dell’affermazione, ormai irrinunciabile, dei valori dell’Unione Europea, il sistema federconsortile veniva guardato con forte diffidenza dall’opposizione politica, che aspirava a spezzare il monopolio democristiano.

Sta di fatto che la Federconsorzi anche attraverso la gestione degli ammassi conobbe un periodo di forte sviluppo, che la portò a disporre di notevoli risorse.

Avendo progressivamente acquisito un cospicuo patrimonio immobiliare e rilevanti partecipazioni in numerose società, essa finì per assumere la struttura e la funzione di una vera e propria holding, cui non corrispondeva tuttavia un adeguato capitale, fermo per legge a poco più di £ 4.000.000, in considerazione delle quote sottoscritte dai consorzi agrari suoi soci.

Ma soprattutto negli anni ’80 si registrò la progressiva crisi dei consorzi agrari, i quali non riuscirono più a costituire un valido supporto dell’attività agricola, essendo di quest’ultima mutato nel frattempo il quadro di riferimento.

Nella perdurante assenza di interventi di tipo strutturale il sistema fu alimentato da una sconsiderata politica creditizia, che però determinò progressivamente un fortissimo indebitamento dei consorzi agrari verso Federconsorzi e di quest’ultima verso banche e istituti finanziari, tra i quali Agrifactoring.

Ed invero Federconsorzi, priva di proprie risorse, non poteva che rivolgersi alle banche, mentre dai consorzi agrari e indirettamente dagli agricoltori essa riceveva cambiali che venivano girate allo sconto o fattorizzate presso Agrifactoring, di cui Federconsorzi era cliente esclusivo.

D’altro canto la struttura di Federconsorzi aveva assunto dimensioni gigantesche anche sotto il profilo occupazionale, non facendo a ciò riscontro la fluidità dei meccanismi decisionali, condizionati da influenze politiche.

La situazione si fece pertanto sempre più precaria.

Nondimeno il debito continuava a crescere senza che gli istituti di credito giudicassero opportuno munirsi di idonee garanzie, essendovi in tutti la convinzione che un ente quale Federconsorzi, attratto nell’orbita della politica e chiamato a svolgere anche compiti di tipo pubblicistico, non potesse mai divenire insolvente.

I bilanci approvati nel corso degli anni ’80 non esprimevano con puntualità la reale consistenza dello stato di crisi, in quanto si concludevano immancabilmente con un utile di esercizio, ottenuto mediante spericolate operazioni di “maquillage”.

Ciò non significa peraltro che la situazione fosse radicalmente compromessa. Nel 1989 fu nominato direttore generale il dott. Silvio Pellizzoni, che avrebbe dovuto dare alla gestione di Federconsorzi un’impronta di tipo manageriale.

Del resto anche le associazioni di categoria, ispiratrici della politica di Federconsorzi, cominciavano ad aprirsi ad una concezione meno statica e più moderna del ruolo dell’ente e soprattutto ad accettare l’idea di una diversa struttura di base, pur non rinunciando a meccanismi che lasciassero inalterata la loro influenza dominante.

Fu tentata una riclassificazione dei dati di bilancio, peraltro non del tutto appagante. Furono inoltre individuate le linee guida per la creazione di una nuova struttura, incentrate sull’alleggerimento dei costi, su un piano di dismissioni e sulla riduzione e accorpamento dei consorzi agrari.

Ma nulla di concreto venne realizzato.

Peraltro sulla consistenza dello stato di crisi di Federconsorzi le opinioni sono tutt’altro che univoche.

Secondo alcuni nel 1990 la situazione era divenuta insostenibile per l’entità delle spese di gestione e per l’onerosità dell’indebitamento ; per altri invece era stato messo in atto un circolo virtuoso di riduzione di costi che avrebbe in prospettiva potuto preludere ad una progressiva ripresa .

Certo è che il bilancio al 31-12-1990 si chiuse apparentemente in pareggio.

Nel frattempo, nel mese di aprile del 1991 la carica di Ministro dell’Agricoltura, cui competeva l’apposizione del visto sul bilancio e il controllo su Federconsorzi, era stata assunta dall’On. Giovanni Goria, uomo politico di provata esperienza e certamente in grado di valutare ogni tipo di problematica di carattere economico-finanziario.

Fin dall’inizio egli mostrò di voler esercitare con maggiore incisività i poteri di vigilanza ministeriale.

Si consigliò sul da farsi innanzi tutto con il prof. Pellegrino Capaldo , che da tempo aveva assunto il ruolo di ispiratore delle strategie di Federconsorzi , tanto da aver alla fine degli anni ’80 condotto un’indagine sullo stato dei consorzi agrari e da aver anche indicato i possibili rimedi allo stato di difficoltà in cui l’ente e l’intero sistema federconsortile si dibattevano, oltre che avallato la nomina del dott. Pellizzoni come direttore generale . Di seguito egli conferì a due persone di sua fiducia, il dott. Renato Della Valle e il dott. Flavio Dezzani, l’incarico di assumere dati conoscitivi sulla reale situazione di Federconsorzi .

In quel periodo, nonostante la situazione di forte indebitamento, non vi era sentore all’esterno di una reale difficoltà di Federconsorzi ad onorare i propri debiti. Cominciava solo ad affacciarsi una qualche forma di prudenza da parte di taluni istituti bancari nei confronti dei Consorzi agrari.

Ma le linee di credito non erano esaurite, potendo l’ente ancora disporre di fidi e essendo ancora alla metà di maggio sul punto di ottenere un significativo finanziamento dal Credito Italiano, garantito dal cospicuo credito di Federconsorzi verso lo Stato per la gestione degli ammassi.

Si andò però diffondendo negli ambienti, politici e non, legati a Federconsorzi la voce che il Ministro stesse per esercitare il potere di commissariamento, riconosciutogli dall’art. 35 del D.l.vo 1235/48.

Per questo l’On. Arcangelo Lobianco, massimo esponente di Coldiretti, chiese la mediazione del Sottosegretario Cristofori, affinché potesse organizzarsi un incontro con l’On. Goria e con il Presidente del Consiglio Sen. Andreotti, nel quale discutere della questione e del futuro di Federconsorzi.

L’incontro avvenne la mattina del 17-5-1991 presso la Presidenza del Consiglio anche alla presenza dell’On. Arnaldo Forlani, segretario politico della Democrazia Cristiana, e del Ministro Cirino Pomicino, ma esso servì solo a chiarire che il Ministro Goria aveva ormai irrevocabilmente assunto la decisione di commissariare la Federconsorzi, il che equivaleva a creare nella politica agricola una netta soluzione di continuità tra quanto era fino ad allora avvenuto e quanto sarebbe potuto avvenire in futuro.

Infatti nel pomeriggio del 17-5-1991, quando era in fase di avanzata istruttoria la concessione del finanziamento del Credito Italiano, di cui s’è già detto, il Ministro dell’Agricoltura diffuse la notizia della firma del decreto di commissariamento, con il quale l’incarico di commissari veniva affidato al dott. Giorgio Cigliana, al prof. Agostino Gambino e al dott. Pompeo Locatelli, personaggi di spessore, provenienti da esperienze diverse e appartenenti ad area sia democristiana che socialista.