Scritti vari (Ardigò)/Polemiche/La confessione/VIII
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VIII.
Articolo comunicato.
Il signor Professore Roberto Ardigò volendo soggiungere alcune osservazioni all’ultima lettera del signor Profess. De Sanctis apparsa nella Favilla, e non volendo per la brevità dello scritto farne una separata stampa, ci ha pregati a inserirlo nella Gazzetta.
Aderiamo al desiderio del signor Professore Ardigò dichiarando però che ci teniamo affatto estranei alla polemica e non assumiamo altra responsabilità che quella imposta dalla legge.La Redazione
Ecco la lettera.
Non sapendo più che rispondere sul tema da loro intavolato della confessione, che fanno i signori Pettoello e De Sanctis?
Il primo, perchè non sa più cosa dire, va in collera con me; ripete delle false e sciocche accuse, che io aveva disprezzato, e si sfoga chiamandomi vile ed infame.
E il secondo, ossia il signor Luigi De Sanctis? Il vecchio teologo che da 32 anni a questa parte insegna teologia, storia ecclesiastica ed antichità cristiane, l’uomo di cui non solo il nome impone rispetto ma che gode la stima e l’amicizia di quanti vi hanno in Italia letterati, letta la mia Risposta, si sente venir meno il fiato, e balbetta una scusa, nella quale è tirato in scena... Chi? Il tipografo.
Così in nome del Mutuo Soccorso, Pettoello nei suoi bisogni ricorre a De Sanctis, e De Sanctis nelle sue necessità chiama in ajuto il tipografo.
Ora delle rinnovate accuse che dirò? Dirò che tengo nel mio portafoglio una Protesta degli studenti del ginnasio, stati miei scolari nell’anno testè finito, colla quale i medesimi, tra le altre cose, si dichiarano pronti a smentire quelle accuse anche in giudizio, ogniqualvolta piacesse al prof. Ardigò invocare dalla legge... le punizioni dovute ai calunniatori.
E qui, mentre ringrazio pubblicamente i miei scolari dell’interessamento grandissimo, onde in questa occasione, come in molte altre, hanno voluto attestarmi la loro stima e benevolenza, li prego di perdonarmi, se mi sono trattenuto dall’adempiere il vivo desiderio da loro espressomi di far inserire la loro Protesta per intero sulla stessa Favilla. Questa, lo credano, è abbastanza umiliata dal sapere, che io non sento il bisogno di tale soddisfazione.
Che dirò poi delle colpe attribuite al tipografo? Con siffatto puerile ed infelice ripiego il signor De Sanctis si è messo in una posizione troppo poco invidiabile. Egli ha dimostrato, e di non poter sostenere i suoi ragionamenti contro le mie risposte, e di non abborrire dal ricorrere, per rimediare ad una bugia, ad una bugia più grossa e più palese.
L’asserzione attribuita a Sozomeno che i vescovi del mezzogiorno d’Italia vollero rimettere in uso l’antica disciplina della pubblica confessione, come non c’è e non ci può essere nel suo libro 9 capo 35, che il signor De Sanctis dice essere numeri sbagliati dal tipografo, non ci può essere e non c’è neanche nel libro 7 capo 16, che sono i numeri che, com’egli afferma, dovevano essere stampati. Siamo sempre da capo. Prima eravamo mandati a cercare un fatto in un capitolo che non esiste: adesso siamo minchionati di nuovo, perchè siamo indirizzati ad un capitolo, dove il fatto non si trova. E dopo ciò il signor De Sanctis ha il coraggio di rimproverarmi di averlo incolpato di un errore materiale, che io sapeva esser tale? ?
Eh! signor De Sanctis, ella merita che io la confonda interamente, e che le faccia conoscere quale sia la morale di certi preti, affinchè possa essere paragonata colla sua. Sa ella, che mi accusa di mala fede, quali diligenze ho usato, per essere sicuro di avere ragione, quando ho detto di Lei, che cita i capitoli che non esistono, e fa contare i fatti del 459 alle storie che finiscono la loro narrazione trentacinque anni prima?
Visto che il capitolo 35 del libro 9 non esisteva, ho dato un’occhiata a tutti i capitoli dei nove libri della storia di Sozomeno nella bella edizione di Torino del 1747 e in altre otto o dieci edizioni, come ben sa il distributore della regia biblioteca al quale è toccato di andarmele a pescare per le sale e per gli scaffali, per vedere se in qualcheduno di essi si conteneva la narrazione attribuitagli. Non la trovai, e mi accorsi che non ci poteva essere, perchè quella storia finisce un trentacinque anni prima dell’epoca relativa. Mi restavano però ancora due dubbi. Primo, che dei frammenti di Sozomeno, contenenti quella narrazione, fossero stati scoperti di fresco; e per eliminarlo ho consultato quante biografie e bibliografie recenti ho potuto. Secondo, che ci fosse sbaglio nel nome, e che, invece di Sozomeno si dovesse leggere, o Socrate, o Niceforo Callisto, o Cassiodoro; e per escluderlo ho dato una scorsa anche a quegli altri storici, come ne può far fede il giornale della detta regia biblioteca.
Ecco le diligenze da me usate per essere sicuro di quello che asseriva. Ecco che cosa fanno certi preti prima di affermare una cosa, invece di imitare il signor De Sanctis, che inventa le citazioni, pronto a darne la colpa agli stampatori, se lo trovano in bugia, e ad inventarne di nuovo delle altre, più false delle prime; senza curarsi punto del pericolo a cui espone la propria riputazione.
Sono incolpato di malignità, di una malignità tutta mia, perchè, facendo uso di quella buona vista che a Dio piacque di darmi, ho letto riunisce, come c’è nei fogli stampati e pubblicati, invece che si unisce, come il signor De Sanctis dice, dover essere scritto nella sua lettera, che sarà, credo, chiusa e nascosta in qualche cassetto della Direzione della Favilla.
Ma col riunisce il passo non ha senso. Perchè? Perchè quando uno dice — il sacerdote riunisce a pregare pei peccati del penitente — altri può domandare — chi? — Benissimo. Ma è peggio se mettiamo si unisce; perchè allora si potrà domandare — a chi? — Col si unisce il passo ha ancor meno senso di prima.
E poi siamo sempre da capo. Come l’espressione accedit precator, non vuol dire, riunisce a pregare, così non vuol dire neanche — massime nel luogo di cui si tratta, — si unisce a pregare. L’errata-corrige non toglie la sificazione, ma la conferma. Nella decretale di S. Leone la proposizione — qui (sacerdos) pro delictis poenitentium precator accedit — ha un senso identico a quello di un luogo di S. Pier Damiani, che dice (1) dovere il confessore essere religioso, ut puras manus levet ad Deum et pro peccatoribus fiducialiter intercedat.
Signor De Sanctis, torno a dirlo. Col puerile ed infelice ripiego degli errori di stampa, col pentirsi di avere scritto una lettera in difesa dell’amico compromesso, coll’inveire pazzamente contro la persona di un avversario, di cui non può confutare le ragioni, ella ha provveduto male alla sua riputazione: ha nociuto alla fama di insigne teologo, di illustre letterato, di persona venerabile, onde la onoravano quelli che non la conoscevano; e mi ha ajutato a far conoscere a’ miei concittadini a quale meschinità sì riduca molte volte una grandezza creata dalla passione e dal partito.
Prof. Roberto Ardigò
(Dal N. 411, domenica 1 settembre 1867, della Gazzetta di Mantova).
Note
- ↑ Op. Parisiis., 1743, P. 150.