Scritti vari (Ardigò)/Articoli/La breccia di Porta Pia
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12.
La breccia di Porta Pia.
— Noi siamo a Roma per tre disfatte di Garibaldi più gloriose di qualunque vittoria. Quella del 49, quella di Aspromonte e quella di Mentana, che fruttò la presa di Roma del 1870.
Roma o morte, aveva gridato Garibaldi. Roma o morte, ripeterono gli Italiani per ogni città, per ogni borgo, per ogni casa, per ogni dove. Venne il momento e l’esercito italiano dovè volgere a Roma le sue bandiere, accerchiarla, sfondarne le mura a Porta Pia ed entrarvi dalla breccia delle cannonate il 20 settembre; e Vittorio Emanuele proclamava in nome dell’Italia: «Ci siamo e ci resteremo».
Nel luogo della breccia sul muro ricostruito, si legge oggi una iscrizione. Essendo a Roma, andai a vederla; e la sua vista mi commosse assai più che quella del monumento antico di Piazza Colonna che ricorda che gli Italiani erano padroni e vincevano in tutte le parti del mondo.
Quella iscrizione dice, che di là entrarono a prendere possesso della loro capitale e ad abbattere per sempre il fatale dominio del papa soldati di ogni regione d’Italia. Ciò leggendo, mi tremarono per la commozione le ginocchia sotto, mi si fece ansante ii petto e grosso e difficile il respiro, e grosse lagrime mi sgorgarono dagli occhi: e, nella esaltazione dell’entusiasmo mi pareva di vedere la breccia aperta nel momento che vi salivano questi figli di ogni angolo d’Italia: e, in mezzo, sulla cima, anche un mantovano col sacco in ispalla, col fucile nella destra, la faccia coperta di polvere e di sudore, e gli occhi lampeggianti di fiera gioja. E di sentirlo che gridasse nel mio energico dialetto, con una frase potente, che suona ignobile e sconcia sotto le baracche della piazza delle erbe, e là mi echeggiava come la parola terribilmente sublime dell’angelo della vendetta.(Numero unico, Due Giugno, Porto Maurizio, 2 giugno 1902).