Scritti politici e autobiografici/Le dichiarazioni di Carlo Rosselli al processo di Lugano

Le dichiarazioni di Carlo Rosselli al processo di Lugano

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Le dichiarazioni di Carlo Rosselli al processo di Lugano
Fuga in quattro tempi Una battaglia perduta
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IL DIRITTO DEI POPOLI AD INSORGERE

CONTRO LA TIRANNIA1


«Io, Bassanesi, Tarchiani e migliaia di altri compatrioti ci battiamo per riconquistare l’Italia alla libertà e alla civiltà. «Giustizia e Libertà», il movimento al quale mi onoro di appartenere, ha questo, terso programma. Noi vogliamo una Italia libera, democratica, repubblicana, una Italia che sia madre equa di tutti i suoi figli, un’Italia pacifica in una Europa pacificata, lontana così dagli estremi del fascismo come da quelli del comunismo. [p. 56 modifica]

Lo Stato che noi vagheggiamo è lo Stato che voi Ticinesi vi siete dato. La libertà per la quale combattiamo è quella che voi conoscete. Questa libertà me la avete appresa ad amare, sin da bambino, quando mi entusiasmavo per Tell e disprezzavo in Gessler il Tiranno di tutte le epoche e di tutte le terre. Ricordo che allora nessuno mi fece osservare che Tell, rifiutando di togliersi il cappello dinanzi a Gessler, aveva violato, come certamente violò, regolamenti.

Ora in Italia la libertà — tutte le libertà — sono morte. Il popolo è diviso in due fazioni: da un lato una piccola minoranza armata che impera, dall’altro una immensa maggioranza che langue nella miseria fisica e morale. Nessuna possibilità di opposizione legale ci è rimasta. Non abbiamo più alcun diritto di critica e di controllo. Il Tribunale vorrà permettermi di citare la mia esperienza personale. Non perché essa possa avere minimamente concorso a determinare la mia opposizione — al contrario — ma perché questa mia esperienza può considerarsi tipica.

Avevo una casa: me l’hanno devastata. Avevo un giornale: me lo hanno soppresso. Avevo una cattedra: l’ho dovuta abbandonare. Avevo, come ho oggi, delle idee, una dignità, un ideale: per difenderli ho dovuto andare in galera. Avevo dei maestri, degli amici — Amendola, Matteotti, Gobetti — : me li hanno uccisi.

Purtroppo la mia esperienza è quella di infiniti [p. 57 modifica]compagni miei che per troppo amore d’Italia sono stati cacciati d’Italia.

La nostra colpa — quella che il fascismo non può perdonarci — è di non rassegnarci, di non chinare il capo di fronte a tanta tragedia, di continuare a lottare. Lottiamo. Lottiamo come tutti i popoli hanno lottato, con lo stesso animo con cui probabilmente lottavano sei secoli or sono gli Svizzeri «Confederati» sul campo di Grutli.

In questa lotta dura, disuguale, contro uno Stato potente deciso a difendersi con tutte le armi, noi intravvedemmo un giorno la possibilità di un gesto umano e bello, che fosse di incitamento e di sollievo per i fratelli in patria. Su un fragile apparecchio due giovani voleranno su Milano e vi recheranno la parola della libertà. Rischieranno forse la vita; forse l’apparecchio non tornerà e il piombo della milizia suggellerà l’audace gesto. Vorrei che quei manifestini potessero essere qui riletti. Vi si ritroverebbero in sintesi i principii fondamentali della Costituzione Svizzera».

— Presidente: «La lotta tra l’idealismo e l’ordine costituito è vecchia come la storia. La vera libertà sta nel rispetto della legge».

— Rosselli: «C’è un ordine giuridico e un ordine morale. In tutti gli ordinamenti giuridici sorgono ai margini dei conflitti drammatici tra morale e diritto. La funzione dei giudici è appunto quella di superarli, conciliando le due esigenze. La nostra tragedia sta [p. 58 modifica]appunto in questo: che nella lotta per la libertà noi non disponiamo più dei mezzi legali. Noi ci troviamo posti di fronte a drammatiche alternative: o non agire per riconquistare quello Stato di diritto che dovrà seppellire e cancellare per sempre anche il ricordo dello Stato - fazione, dello Stato - partito; o agire violando non scientemente, ma nel fatto, i regolamenti di un altro paese.

Nel compiere il gesto, Bassanesi, e noi che con tutto il cuore l’aiutammo, violammo una norma del diritto aereo svizzero. Ce ne dispiace immensamente. Ma ora vengo qui dinanzi ai miei giudici e dico: se abbiamo contravvenuto, eccomi qui pronto a pagare. Siamo andati in prigione in Italia. Siamo pronti ad andare in prigione anche in Svizzera, in qualunque altro paese d’Europa o del mondo, dovunque vi sia per noi la possibilità di affermare in forma umana e civile la nostra fede. Noi non desisteremo da questo proposito se non quando il nostro scopo sarà raggiunto. Crediamo in tal guisa di servire non solo gli interessi supremi del nostro Paese, ma quelli della stessa civiltà Europea».

(Tra il Presidente e l’imputato si stabilisce una cortese discussione sul diritto dei popoli all’insurrezione).

«Tutti i popoli, dice Rosselli, hanno conquistato la loro libertà attraverso la rivoluzione. Grandi giuristi anche di parte conservatrice — ricordo Blackstone — hanno sostenuto la tesi del diritto del popolo [p. 59 modifica]all’insurrezione contro il Tiranno. Ricordo una frase di Gladstone: «Se il popolo d’Inghilterra avesse dovuto attendere le sue libertà dal ricorso ai mezzi legali, esso le aspetterebbe ancora».

Note

  1. Il 4 luglio 1930, l’aviatore antifascista Giovanni Bassanesi volava su Milano, per gettarvi dei manifestini di «Giustizia e Libertà», la giovane organizzazione che Rosselli e i suoi compagni avevano fondato in Italia e in esilio. Al ritorno, l’aeroplano di Bassanesi si infranse sul Gottardo, e ne seguì, nella Svizzera, un processo, al quale Rosselli e Tarchiani comparvero come complici di Bassanesi. Gli imputati furono assolti.
    Da «Libertà», 28 novembre 1930: Dichiarazioni di Carlo Rosselli.