Scritti politici e autobiografici/A Filippo Turati. Dal carcere di Savona

A Filippo Turati. Dal carcere di Savona

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Come Turati lasciò l'Italia Fuga in quattro tempi
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IL PROCESSO DI SAVONA1

(Lettera a Filippo Turati)


Caro Turati,

Dieci di questi processi, ebbe a dire un avvocatone fascista del direttorio di Genova, e il regime è spacciato. Nella evidente esagerazione del suo giudizio devi vedere l’influsso dell’atmosfera specialissima, straordinaria, del processo. Furono circa cinque giornate indimenticabili, durante le quali assistemmo ad una progressiva inesorabile rivalutazione di cose, di uomini, di idee che si credevano da tutti sepolte. Si è parlato di te, della povera signora Anna, di Matteotti, di Amendola, di socialismo, di libertà in tono sempre più alto e commosso. Un miracoloso concorso di circostanze [p. 29 modifica]soprattutto sentimentali ha trasformato l’aula delle Assise di Savona in un’isola non conformista dove anche i pochi avversari presenti furono costretti ad inchinarsi di fronte alla tua personalità, al tuo passato, alle nostre idee, alle nostre stesse persone.

Una volta rotto il ghiaccio coi nostri interrogatorii nei quali tra l’altro sostenemmo la tesi della legittima difesa, fu una gara a superarsi. Da parte degli avvocati che si sentivano sostenuti dal pubblico — e nell’ultima ora dall’intera città — fu un autentico bombardamento, una requisitoria aperta, fiera, ostinata contro il regime. Venti volte i giudici tollerarono che la legge fosse definita mostruosa. Più volte il nome di Matteotti risuonò nell’aula. Si giunse al punto di leggere l’elenco dei morti e delle devastazioni di novembre!

L’ultima sera, quando parlò stupendamente bene il modesto avvocato Luzzatti (un tuo antico seguace) fu un trionfo. Piangevano tutti nell’aula, giudici e fascisti compresi. Al P. M. che pietosamente aveva voluto rintracciare il movente politico della tua fuga nel dolore da te provato per la soppressione della tua rivista, bene rispose che la «Critica Sociale» non appartiene più a te ma alla storia del nostro paese. Così pure altamente simbolico fu il duello finale tra il vecchio Erizzo e l’infuriato giovane rappresentante della legge. Da un lato lo Stato — questo Stato con la sua forza cieca, brutale, dispotica, soffocatrice — , dall’altro tutto un grande patrimonio giuridico e la coscienza morale [p. 30 modifica]dell’individuo che a un certo punto grida il suo «basta» e rivendica con gli atti il supremo diritto alla ribellione.

Il processo fu un dramma continuo, nel quale le passioni si purificarono e i cuori non di rado batterono all’unisono. Tutti sentivano chiaramente che non era più in gioco la sorte miserabile di qualche uomo, ma la vita di un grande principio morale. I giudici che per loro stessa confessione soffersero terribilmente durante il dibattimento, erano consapevoli della storica responsabilità del loro verdetto.

Tu avresti dovuto vedere l’ultima sera. Si ritirano i giudici, la folla si accalca fino all’inverosimile, studenti e combattenti, amici noti ed ignoti circondano la gabbia. Intanto durante le quattro ore di deliberazione, il grande cortile del palazzo e la piazza antistante si riempiono di una grande folla operaia, muta ma inflessibile. Dava proprio l’impressione di essere là per giudicare i giudicatori.

Finalmente il campanello suona. Il verdetto viene accolto con un grido unanime di gioia e con una grande salva di applausi. La gabbia è presa d’assalto. Dopo un’ora, poiché la folla in cortile non si smuoveva, fummo fatti sortire per una uscita secondaria, e a piedi in gran fretta raggiungemmo il carcere. Ti risparmio i cento particolari gentili, dai fiori che dovevano essere gettati al nostro (al tuo...) passaggio, ai carabinieri che, togliendoci le manette, ci stringevano la mano commossi, all’impresario dei trasporti [p. 31 modifica]che volle mettere i cuscini di velluto rosso sulle panche della diligenza destinata ai giudicabili. E neppure sto a descrivere la gioia delle mamme e delle mogli. Te lo puoi immaginare.

Alle volte avemmo la sensazione che ciò che avveniva nella piccola città provinciale potesse significare qualcosa di nuovo. Non m’illudo. Controllo i miei 28 anni! Quel che però mi pare assodato è che la gente è stufa, che il popolo ha bisogno per rinnovarsi di potenti elementi sentimentali; infine occorre dare una anima e un contenuto più preciso, definito, indipendente, alla nostra posizione oppositoria che è e deve essere la risolvente dei due bestiali estremi ai quali sembra talvolta che il nostro paese non possa sottrarsi.

Come avrai già saputo, il procuratore generale ha 40 giorni per ricorrere. Speriamo che non se ne faccia nulla. In tal caso, dovremmo noi pure ritirare il nostro appello e alla fine di dicembre partiremmo per il confino. Durante questi quaranta giorni (ma non oltre per carità!) sei pregato, insieme a Pertini, di essere...... savio. E con questo umoristico consiglio (umoristico data la fonte) vi abbraccio tutti anche a nome di Parri, Albini, Da Bove.

P. S. Avrai forse saputo dell’assoluzione di Como. Un gran peso levato. In questi ultimi tempi ho ripreso a lavorare e può essere che più in là vi mandi qualcosa. Piani per l’avvenire non ne faccio. Credo [p. 32 modifica]però non rimarrò più di un anno al confino. Leggi doppiamente fra le righe......

Seguo attentamente la situazione economica. Molto grave, senza dubbio, ma non risolutiva. Sorriderai, vero?, quando ti dirò che a questa conclusione mi ci porta, prima che il mio modesto giudizio di economista, il mio volontarismo.

Di nuovo affettuosamente.

Savona 18-9-27.

Carlo Rosselli

Note

  1. Rosselli e i suoi compagni scoperti ed arrestati al loro ritorno dalla Corsica vennero condannati dal Tribunale di Savona a dieci mesi di carcere. Questa lettera, che descrive il processo, venne contrabbandata fuori dalla prigione e fu pubblicata da «Giustizia e Libertà» dopo la morte di Rosselli.