Scritti editi e postumi/Manoscritto di un prigioniero/Capitolo XIX
Questo testo è completo. |
◄ | Manoscritto di un prigioniero - Capitolo XVIII | Manoscritto di un prigioniero - Capitolo XX | ► |
CAPITOLO XIX.
Poffare Dio! ho scritto queste quattordici pagine tutte d’un fiato, e con tanto impeto, che me ne trovo stordito. Ho lasciato fare il più al sentimento, e alla penna; – al cervello è toccata la minima parte. Non so se sia bene; – comunque siasi, è andata così. Mi son voluto lasciare andare, dove il flutto voleva portarmi, – ho lasciato le vele in balìa del vento. Se invece di arrivare in porto ho dato in secco, non ve ne prema; – il danno è tutto mio. Quando me ne vada il peggio, vuol dire che non avrò ragionato. Benissimo; – è una cosa, che mi succede spesso, anche quando ho le più serie intenzioni di fare il contrario. – Per me è una baia. Quandoque bonus dormitat Homerus. Non lo dico per superbia di paragone, – lo dico così per citare, e per far vedere, che anch’io sono stato in collegio, dove in quattro anni m’insegnarono a non sapere il Latino. Non lo dico per superbia di paragone. Omero era cieco, e poeta; io invece ho due begli occhi, e non sono nè poeta, nè prosatore. Scrivo per capriccio, – per far diventar nero un foglio bianco. Scrivo perchè non ho da parlare con nessuno, chè se io potessi anche con una vecchia, anche con un bambino, non pensate, non toccherei la penna. Andate a leggere, se vi riesce, quello che ho scritto quando io non era in prigione! Certo potrei parlar meco stesso, – ma non voglio avvezzarmici, perchè uscendo di prigione con questo vizio, e portandolo meco in società, mi potrebbero prender per matto. Assai in fatto di giudizio non godo di un credito troppo esteso! – allora la storia sarebbe bella e finita. – D’altronde, quando io scrissi le suddette quattordici pagine, avevo il cuore pieno pieno, – non so di che, – ma veramente pieno, – e bisognava sfogarlo. Se fossi stato un romantico, avrei scritto una ballata malinconica, – se un classicista, avrei scritto un’elegia; – se un musico, avrei cantato qualche melodia del Bellini. Ma io non sono nulla di tutto questo, – non so che fischiare; – però lo faccio quando ho l’umor nero, o quando una coppia di grilli mi mettono in festa di ballo la fantasia. – Del resto, ve lo ripeto, ho scritto quel che io sentiva; – il calcolo ci è entrato per un momento, e poi fuori. L’anima ha qualche quarto d’ora, in cui se ne vuole star sola sola con le sue sensazioni, liete o dolorose che sieno, e guai se la mente vuol venirne a parte; – guasta tutto, come qualche viso antipatico spesso mette il freddo e il silenzio in un crocchio cordiale d’amici. D’altra parte è impossibile star sempre sopra una nota, – e quand’anche ti riuscisse, verresti noioso a tutti, e i casigliani ti caccerebbero del casamento. La vita, a voler che sia bella, a voler che sia gaia, a voler che sia vita, dev’essere un arcobaleno, – una tavolozza con tutti i colori, – un sabbato dove ballano tutte le streghe. Il sollazzo e la noia, il pianto e il riso, la ragione e il delirio, tutti devono avere un biglietto per questo festino. Che serve far della vita una riga diritta diritta, lunga lunga, sottile sottile, noiosa noiosa, e color della nebbia? È un volersi reggere sopra un piede solo, – è un mettere l’anima umana nella stessa situazione, in cui si pose lo Stilita, che stette quarant’anni in cima a una colonna. Vuol essere un’orchestra piena, e non un piffero solo; – varietà vuol essere. Viva la varietà! Per tutti questi motivi, io ho scritto quattordici pagine senza pensare, e non me ne pento. Giorgio Spugna mio dilettissimo amico mi ha ripetuto sovente queste notabili parole: «L’uomo che è sempre savio val poco più dell’uomo che è sempre pazzo; – est modus in rebus: – l’arte di pensare è un’arte, che va stimata e riverita; è una fatica concessa all’uomo, e negata alla bestia; – ma il farlo sempre si assomiglia all’avaro, che conta e riconta perpetuamente i suoi scudi; – qualche volta bisogna spendere; – il superchio rompe il coperchio; – qualche volta bisogna non pensare per riflessione; se no, all’ultimo, spesso invece di una scoperta psicologica ti trovi di aver pescato un’emicrania». Così mi diceva Giorgio Spugna, filosofo, che si è fatto da sè senza bisogno di libri, senza bisogno di Pisa, di Bologna, e di Padova. Non già che Giorgio Spugna sia ritroso al viaggiare, – anzi è questo un suo desiderio vivissimo, e giuoca sempre al lotto per vedere se un giorno o l’altro potesse mettersi in corso; e mi ha giurato più volte, che se ottiene il suo intento vuol fare il giro del globo, componendo un trattato di pratica comparata sui migliori vini dell’uno o dell’altro emisfero. Mi ha detto ancora, che giro facendo non avrebbe scrupolo di mettere in carta le sue osservazioni di qualunque altra maniera, dacchè egli pure possiede un cannocchiale fatto da sè, col quale guarda tutti gli atti di questa umana tragicommedia. – «Ma io nol farei», – soggiugneva Giorgio, – «giusto appunto perchè mi è venuto fatto di osservare, che le opinioni, anche buttate là colla stessa insouciance, colla quale soffio il fumo della mia pipa, possono cadere in frodo peggio del tabacco, e la multa non è lieve, ed è certa sempre la perdita della merce, e talvolta anche quella della persona; per questo io nol farei, e procurerei al summum di tenermele a mente per ridirtele poi testa testa nel giolito d’un simposio, nell’intervallo fra un bicchier e l’altro.» ― E credete, che Giorgio Spugna è più filosofo di quel che non pare, precisamente perchè non pare un filosofo. E ripeterò con lui: qualche volta bisogna spendere. Che direste d’un uomo, che stesse da mattina a sera a guardar l’orologio per far buon uso del tempo? Per lo meno perderebbe il tempo a vederlo passare. Mettetevi in tasca l’orologio, e fate le vostre faccende, l’orologio consultatelo di quando in quando secondo il bisogno. Bisogna fare a tutti la sua parte, e se coltivate una cosa sola, e l’altre trascurate, godete meno, e le altre vi vanno a male. Così è come io ve la dico, e vi esorto a crederci, o almeno potete fidar più sul mio senno quand’io discorro alla buona, e senza pretensioni, che quando mi metto in aria di ragionare. Sopratutto rammentatevi il nome e le opinioni di Giorgio Spugna. Ei se lo merita, ed a me farete cosa cara.