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quattordici pagine senza pensare, e non me ne pento. Giorgio Spugna mio dilettissimo amico mi ha ripetuto sovente queste notabili parole: «L’uomo che è sempre savio val poco più dell’uomo che è sempre pazzo; – est modus in rebus: – l’arte di pensare è un’arte, che va stimata e riverita; è una fatica concessa all’uomo, e negata alla bestia; – ma il farlo sempre si assomiglia all’avaro, che conta e riconta perpetuamente i suoi scudi; – qualche volta bisogna spendere; – il superchio rompe il coperchio; – qualche volta bisogna non pensare per riflessione; se no, all’ultimo, spesso invece di una scoperta psicologica ti trovi di aver pescato un’emicrania». Così mi diceva Giorgio Spugna, filosofo, che si è fatto da sè senza bisogno di libri, senza bisogno di Pisa, di Bologna, e di Padova. Non già che Giorgio Spugna sia ritroso al viaggiare, – anzi è questo un suo desiderio vivissimo, e giuoca sempre al lotto per vedere se un giorno o l’altro potesse mettersi in corso; e mi ha giurato più volte, che se ottiene il suo intento vuol fare il giro del globo, componendo un trattato di pratica comparata sui migliori vini dell’uno o dell’altro emisfero. Mi ha detto ancora, che giro facendo non avrebbe scrupolo di mettere in carta le sue osservazioni di qualunque altra maniera, dacchè egli pure possiede un cannocchiale fatto da sè, col quale guarda tutti gli atti di questa umana tragicommedia. – «Ma io nol farei», – soggiugneva Giorgio, – «giusto appunto perchè mi è venuto fatto di osservare, che le opinioni, anche buttate là colla stessa insouciance, colla quale soffio il fumo della mia pipa, possono cadere in frodo peggio del tabacco, e la multa non è lieve, ed è certa sempre la perdita della merce, e talvolta