Scritti editi e postumi/Manoscritto di un prigioniero/Capitolo IV
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CAPITOLO IV.
Fra bene e male una buona mezz’ora è passata. Cos’abbia fatto il signore frattanto, io non ve lo posso dire. Io non sono S. Antonio, non posso trovarmi al tempo stesso in due luoghi. Ho lasciato il signore, e sono uscito col soprastante andandogli dietro dietro ad una giusta lontananza. Il soprastante ha girato due strade, – poi è riuscito sur una piazza. Quivi a passi smisurati s’è accostato a uno stabile di bella apparenza, che al primo piano portava una mostra dipinta nelle regole con certe parole cubitali, che dicevano: Restaurateur. Come ha messo il piede sul primo scalino, ha cavato fuori una scatola, – ha preso tabacco, – ha fatto uno sternuto, – e poi s’è infilato su per le scale. E io dietro senza perder tempo. Io son l’ombra del soprastante; – non mica per nulla, vedete, – ma son curioso anch’io, – forse troppo; – già sono stato sempre, – curioso forse come una femmina.....
Il soprastante ha aperta la bussola franco franco, come se fosse stato il padrone, o come un avventore dei buoni. Arrivato in mezzo ha dato il buon giorno, e del compare a un cert’uomo, che stava inchinato sopra una tavola a mettere in sesto non so quali vivande. Il compare s’è riscosso, – s’è rigirato in un fiat, e veduto il soprastante ha fatto subito bocca da ridere, e gli ha reso bene e meglio il buon giorno. Egli ha compreso istantaneamente di che sì trattava. Allora si sono strette le mani come due vecchie conoscenze, – hanno parlato forte, – si son bisbigliati non so che nelle orecchie. Dopo di che il trattore ha lasciato quel che aveva da fare, – si è messo in ordine, e son venuti via di conserva.
Eccoli insieme alle carceri; – già salgono una scala, – due scale, – tre scale; eccoli sul pianerottolo. Il soprastante avanti, il trattore dietro. Ecco, che il primo mette adagio adagio la chiave, – la gira lentamente, quasi che la serratura fosse di vetro, – e prima di sospigner l’uscio ingentilisce la voce, e la manda dentro dicendo:
― È permesso? si può passare?
― Oh bella! se non passate voi, che avete le chiavi, chi deve passare?
― Vossignoria ha sempre ragione; ma io conosco con chi ho da trattare, e i miei doveri non li so d’oggi.
― Bene, bene. Che abbiamo di nuovo?
― Son venuto a sentir quel che occorre, conducendo meco quest’uomo.
― Avete fatto bene. Galantuomo, chi siete?
― Sono un trattore bello e buono, ai servigi di Vossignoria.
― Ah! siete un trattore? siete una cosa più necessaria della prigione.
― Viva la faccia di Vossignoria! in questi luoghi vuol essere borsa, e buon umore.
― Come vi chiamate?
― Marco Trappolanti ai servigi di Vossignoria.
― Avete un nome curioso.
― Eh! Signore! che vuole? tanto il nome che il grado son cose, che bisogna portarle come Dio ce le mette adosso. Se stesse a noi lo scegliere, non andrebbe così; – io mi sarei messo un nome lungo e liscio come una coda di cavallo, e invece di cucinare per gli altri farei cucinare per me. Non so se dico bene, sono un ignorante.
― Bisogna contentarsi. La provvidenza ha saputo quello che ha fatto. Ma veniamo al pranzo. Come mi tratterete.
― Vossignoria di certo non vorrà stare all’ordinario, – mi parrebbe un’offesa a proporglielo. Del resto la tratterò come merita, come vuol essere servita. Non dubiti, l’arte la so fino in fondo; – com’ella vede, ci sono invecchiato. Scelga, chè io son qua tutto per lei. Vuol cucina alla Francese? alla Piemontese? la vuole all’Inglese?
― Per non confondermi le assaggerò tutte. L’ordinario non lo voglio; – mi appresterete un pranzo a parte secondo la nota che vi darò. Pietanze sane, e in abbondanza. Vino sincero; – mi contento, che me lo diate come l’avete ricevuto. Voglio sperare, che col fatto smentirete la cattiva impressione, che produce il suono del vostro cognome. Scommetto, che siete un galantuomo. Dite di no?
― Eh! non ho detto nulla, – e come vede io non sono in prigione.
― Bravo! è una risposta che vale un paolo. Prendete (gli dà un paolo). Andate, – spicciatevi, – servitemi bene, – ed io penserò a voi.