Scavo di miniere di piombo nella Valsassina

Gabriele Rosa

1863 Indice:Scavo di miniere di piombo nella Valsassina.djvu geologia Testi scientifici Scavo di miniere di piombo nella Valsassina Intestazione 8 gennaio 2014 100% Da definire

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Estratto dal Vol. XVI.
del P O L I T E C N I C O


SCAVO


DI MINIERE DI PIOMBO


NELLA VALSASSINA




Milano. Tip. e Stereotip. Pietro Agnelli. Contr. del Morone N. 5.


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Scavo di miniere di piombo nella Valsassina.


Dopo l’invenzione del fuoco, che per la sua importanza primordiale si disse divina, venne seguace l’arte di cavare e trattare i metalli, strumento indispensabile ed efficacissimo di civiltà, segno sicuro d’intelligenza, di ricchezza, di forza. Onde i popoli più civili si distinsero dall’arte di produrre e lavorare i metalli, ed i Fenici che recarono all’Europa i primi semi di coltura, furono metallurgici per eccellenza, come ora sono gli Inglesi che rappresentano quelli ne’ tempi moderni. La squisita civiltà de’ Greci e de’ Romani ci è dimostrata dai lavori finissimi d’ogni maniera di metalli che sapeano condurre, e che restano ancora sparsi per l’antico mondo, documento di loro prevalenza materiale e morale.

In Italia, come è molto remota la civiltà, è vetusta la metallurgia; ed il venerando poeta ricorda come trenta secoli sono sulle coste della Calabria si cambiassero rame e ferro. Ma quando Roma convocò al banchetto della sua civiltà i vari popoli assisi sul Mediterraneo, volle allontanare dal seno della antica madre Italia lo spettacolo degli schiavi dannati allo scavo de’ metalli, ed occupare i fortunati abitanti di essa nelle arti più geniali o più libere; e però allora cessarono qui molti lavori metallurgici, preferendosi quelli delle provincie. Laonde, sebbene a’ tempi dell’impero romano fossero in Italia pochi scavi di miniere, pei fatti anteriori sapeano i Romani la potenza metallurgica di questa penisola, e Plinio in due luoghi recisamente asserì che l’Italia non la cede ad alcuna regione per la fecondità di tutti i metalli (Italia metallorum omnium fertilitate nullis cedit terris — Nulla fecundior metallorum quoque erat tellus). Ma soggiunge esserne sospesa l’escavazione per vecchio decreto del Senato inteso a risparmiare l’Italia (vetere consulto Patruum, Italiae porci jubentium).

Come questa terra cessò d’essere centro della republica romana e la nazione ne staccò le membra e la isolò, l’attività nativa si volse di nuovo avidamente alla metallurgia, e nel mille, coi primi albori della libertà cittadina, si vede ovunque novello fervore di lavori metallici in Italia a fornire potente naviglio, argomenti di guerra, svariatissimi ingegni d’arti e d’industrie. Questo terzo risorgimento alla libertà ed alla civiltà ne dovea rimenare alla metallurgia per far convergere a quella forze scientifiche e lavori e capitali, e trarne nuovi impulsi e mezzi di grandezza. E ne conforta vedere i fatti rispondere all’induzione logica. Perchè quasi di repente svegliossi nella scienza, nell’industria, ne’ capitali nostri inusato fervore per ricerche e lavori di metalli, ed a questo fenomeno devono porre seria attenzione i legislatori nostri onde favorire ad ogni potere questo ritorno alle fonti della prosperità, e non aduggiare nel germe, con improvide e precipiti disposizioni, industrie preziose, sorgenti fra i tribuli del dissesto economico, e la prepotente concorrenza di chi ne precedette.

Non sono ancora vent’anni che, nelle statistiche delle produzioni di piombo dell’Europa, era affatto esclusa unicamente l’Italia. Sebbene i Romani facessero largo uso di piombo pei tubi dell’aque [p. 113 modifica]condotte alle fontane, ai bagni, ai teatri, i loro scrittori celebrano le miniere di quel metallo della Britannia, della Spagna, dell’Attica, della Gallia, non ne accennano in Italia. Nel medio evo rado fu l’uso del piombo, quindi esiguo il prezzo di lui, e languida la ricerca. L’uso della polvere in guerra, e lo sviluppo delle leghe metalliche, e di molte industrie, ne ravvivarono le ricerche, ne elevarono il valore.

Dopo che la scienza e l’umanità destarono l’attenzione sulla derelitta Sardegna, nel 1830 l’industria privata fecondò la miniera di piombo a Monteponi in quell’isola, e nel commovimento del 1848 si cercarono altre miniere, e successivamente ne furono aperte tredici principali di piombo argentifero, che ora danno lavoro ad oltre due mila persone, e che nel 1861 produssero 108111 quintali metrici di minerale, che già colloca l’Italia per questo prodotto quarta in Europa, dopo l’Inghilterra, la Spagna, la Germania. L’aumento di quella produzione fu sì ratto che dieci anni prima non era giunta ad una decima parte. Nel 1829 anche a Bottino, presso Lucca, su traccie antiche si prese a cavare galena di piombo in ganga di quarzo, ed ora si lavorano da 150 persone; e poco stante si ritentarono lavori antichi presso Massa; e pur testè nel Monte Calvi, nella Toscana, si tolsero a cavare massi emersi, sparti vastamente, già abbandonati perchè difficili a trattare, ora resi fecondi per applicazione di nuovi trovati del mineralogo Toussaint. Galena piombifera si cava pure da pochi anni in Val di Vezza, pure in Toscana, e ad Agogna presso Domodossola. Nel 1857 su traccie di piombo argentifero a Bondione, in Valle Seriana, si compose a Bergamo società montanistica, che dopo parecchi esperimenti preferì a tale vena quella più ricca e vasta di Rumo nel Trentino, dove, pe’ conforti del valente minerologo cav. Signorile, si ampliarono i lavori così, che ora si costrussero tre piccoli forni, sendovi copia di combustibile, difficile il trasporto lontano della vena.

Ma dopo la Sardegna il luogo d’Italia, che promette maggiore fortuna metallurgica, è la Valsassina, nella provincia di Como. La Valsassina o Pioverna è tramite angusto e scabro in forma di croce tra il lago di Como al braccio di Lecco, e la Val Tellina, e le valli bergamasche Torta, Averrara, Taleggio, e, quantunque aspra di suolo e povera d’agricoltura e di pascoli, fu già celebrata quale passo sicuro per l’Elvezia, quale patria de’ Torriani che dominarono Milano, dove tre erano già consiglieri del commune nel 1124, e per le miniere ed i lavori del ferro che vi fiorivano sino dal secolo X, come si raccoglie da quanto ne scrisse l’amoroso istoriografo di essa, cav. Giuseppe Arrigoni, nelle Notizie storiche della Valsassina (Milano, Pirotta, 1840.) e nei Documenti sulla Valsassina (Milano, Pirola, 1857).

La Valsassina in breve spazio, popolato da non più di ventimila persone, presenta varietà geologica mirabile tra l’uniformità calcarea delle circostanti. Ivi si veggono roccie sedimentarie in gran disordine, dimostranti passaggio per molte torturazioni come dicono le Notizie naturali sulla Lombardia, e fra loro graniti ternari, gneis, schisti argillosi, arenarie rosse, calcare nereggiante, calcare dolomico, e solfuri di ferro, di zinco, di piombo, di rame, piriti [p. 114 modifica]aurifere, ferro spatico, antimonio, mercurio, e galena di piombo argentifero in ganga dolomitica, in quarzite micaceo, in ganga silicea.

Sulla vetta del Cumisolo presso il Pizzo de’ Tre Signori, il culmine della valle, ed a’ confini della Valsassina e di Val Torta, si vedono vasti depositi di rifiuti di miniera di piombo argentifero che era coltivata sino dal 1297 quando l’arcivescovo di Milano, con istrumento posseduto dal cav. Arrigoni, vendette ai Botagisi ogni vena d’argento, di ferro e d’altro metallo nella Val Torta. Per l’altro metallo stimiamo volesse accennare specialmente al rame, del quale il Signorile in quel versante trovò antiche scorie. Perchè sebbene l’argento nelle valli bergamasche vada generalmente commisto al piombo, i vescovi di Bergamo e gli arcivescovi di Milano, che furono dai Franchi investiti a titolo feudale di quelle miniere, facevano cavare l’argento, trascuravano il piombo o perchè di prezzo vile, o per insufficiente abilità di scernerlo. E seguirono a cavare argento essi ed i loro concessionari sino a che l’invasione dell’argento d’America non ne invilì il prezzo dopo il 1500, e sino a che la copia del combustibile rese economica la metallurgia. Perchè le vie aspre e difficili ed impraticabili ai carri, rendendo molto costosi i trasporti, induceva a consumare sul luogo i carboni, onde se v’erano metalli nelle selve, vi si aprivano piccioli forni e si tenevano attivi sino alla consunzione del combustibile di quel bacino. Però le frequenti traccie da noi di forni temporari piccioli, di ferro specialmente e di rame e d’argento, ed i molti piccioli cunicoli.

Quando le ricerche delle armi lombarde crebbero nell’Europa e nell’Oriente, e che i Fraini o cavatori del ferro bergamaschi travalicarono anche nella Valsassina intorno il 1500, l’industria del ferro vi soffocò le reliquie di quelle d’argento, di rame e di piombo. Il perchè i cunicoli antichi di questa valle di essi minerali non mostrano traccie di uso della polvere, che, come è noto, si prese a sussidio delle mine metallurgiche a Freyberg nel 1613. Le manifeste traccie di miniere di piombo argentifero e di rame, le tradizioni, li scavi apparenti qua e colà, diedero argomento all’Henninges, al Priorato, a Vandelli, all’Amoretti, a Gioia, a Giovio, all’Arrigoni di accennare quelle miniere della Valsassina. Dove, nel 1802, quando ravvivavasi la vita italiana, Giuseppe Fumeo mise in evidenza una miniera di piombo in Val Rossiga presso Cortenova, e due anni appresso D. Giuseppe Valsecchi ne scoprì una presso Ballabio. Ivi (nell’autunno dello scorso anno 1862) si trovò galleria lunga 30 metri, in miniera di piombo, avvolta in conglomerato in regione dolomitica, galleria fatta senza l’uso della polvere; e Vandelli, il diligente scrutatore delle miniere di Valsassina, già molti anni sono assicurò trovarsene di piombo a Pasturo, a Baiedo, ad Introbio, a Ballabio, e di piombo argentifero a Cortabbio, a Falpiano, al Canale del Ceppo presso Introbio. Queste miniere, di Ballabio poi specialmente, per l’opportunità della postura presso la strada della valle ed a due ore da Lecco, furono coltivate in qualche modo anche nel principio del secolo scorso, come trovò l’Arrigoni nelle annotazioni di registri parochiali, e fu ritentata venti anni sono.

[p. 115 modifica]Pochi anni sono Tommaso Arrigoni d’Introbio, stato scavatore di miniere nel Piemonte, ricercando i monti patrii rinvenne traccie di minerale di piombo sull’ardua cima di Valbona tra il Pizzo dei Tre Signori e la vetta Cam. Morto lui poco appresso, il di lui figlio Pietro, continuatore del mestiere paterno, ne portò saggio al conte Kantarowic che dirigeva i lavori della miniera di piombo dell’Agogna. Il conte Kantarowic, nell’ottobre del 1861 visitato il luogo, si convinse esservi miniera di piombo argentifero ricca ed utile a cavare. Ed esaminati altri luoghi e veduti saggi ed udite relazioni di lavori e di miniere abbandonati, e sussidiato dal buon volere, dall’autorità, dal senno del cav. Arrigoni sindaco d’Introbio, e dal concorso vivace de’ valligiani che intravidero aprimento di sorgente nuova di lavoro a trarli dalla miseria in cui aveanli gettati il languore delle industrie del ferro e della seta, estese le ricerche e venne acquistando molte miniere di piombo ed anche di rame, di cinabro, di antimonio in quella valle.

Il conte Kantarowic ed il visconte di Sequeville con que’ fatti gettarono le basi d’una società per lo scavo delle miniere di piombo, di rame e d’argento nella Valsassina, società che abbozzata a Bergamo nel gennaio del 1862 presso il signor Giacomo Zuppinger ed il signor Giacomo Streiff, fu condotta a compimento indi a sei mesi, mediante statuto 15 maggio 1862. Per esso il signor Streiff costituì società in accomandita denominata La Virginia, con capitale di lire cento cinquanta mila in seicento azioni da lire 250, delle quali solo duecento da alienare, sendo le altre proprietà de’ fondatori per le miniere contribuite. Quella società, donde è gerente lo Streiff, è diretta da consiglio di sorveglianza di cui è presidente lo Zuppinger. Essa deliberò acquistare tutte le miniere di quella valle, e già nel novembre del 1862 ne era venuta in possesso di quaranta, e da più mesi avea costrutta via carreggiabile di otto chilometri da Introbio a Valbona, e casa comoda su quell’ardua vetta pei bisogni de’ minatori, ed andava collocando ad Introbio machine inglesi per lavare e triturare il minerale che intende spedire sui mercati di Swansea, come si vende quello della Sardegna a Genova ed a Marsiglia. A queste machine quel minerale che non è prossimo e sulle vie comode, ma nelle alture sovrastanti, sarà tradotto rotto ed economicamente in slitte raccomandate a corde già collocate.

A Valbona la miniera di piombo argentifero si presenta come filone potente; altrove appariscono grandi e ricchi ammassi superficiali. I saggi delle principali miniere di piombo vennero esaminati specialmente dal professore Enrico Langsdorf di Glarona, e dalla scuola d’applicazione degli ingegneri di Torino, ed i risultati ne furono concordi con lievi divergenze.

Il signor Valerio Careda della scuola di Torino trovò ne’ saggi di Cortabbio galena argentifera con blenda e traccie di pirite ramosa con ganga silicea, e che in tonellata di galena si rinvengono 587 chilogrammi di piombo, 153 grammi d’argento; ed in quelli di Ballabio Superiore galena argentifera con blenda e traccie di solfuro d’antimonio in ganga silicea, e che la tonellata di galena copre 492 chilogrammi di piombo, 230 grammi d’argento.

[p. 116 modifica]Valbona ha galena quasi libera da ganga, come quella di Valmarzia, ed il signor Langsdorf trovò il 70 per cento di piombo nella galena di Ballabio, il 79 in quella del Como e della Valmarzia, il 76 in una di Valbona.

Ed è a considerare per termine di confronto che nelle miniere di Sardegna il piombo varia dal 70 al 78 per cento, e l’argento vi si rinviene nella misura dai 15 ai 55 grammi su cento chilogrammi.

Il signor Streiff mandò all’esposizione di Londra saggi di minerali di rame e di minerale di piombo, che nel relativo catalogo non sono descritti colla diligenza che meritavano; ma il Commissario prussiano, che li vide, ne chiese ed ottenne cessione dal signor Hamillon, depositario, per arrichirne il museo di Bonn.

La società Virginia al principio del dicembre 1862 avea già cavato 84 metri cubi di piombo argentifero, disposto per le machine preparatorie, di cui 40 metri a Ballabio, ed avea impiegati 186 lavoranti, de’ quali ottanta esclusivamente minatori, che in Valbona aveano già aperti pozzi. A tanta attività, stimolata dalla fortuna delle scoperte, corrispose il favore delle azioni salite rapidamente. E mentre scriviamo, un rappresentante della stessa sta negoziando con società inglese la vendita della più opportuna di tali miniere, quella di Ballabio, cui da nuova rilevanza la recente scoperta dell’antica galleria.

Questi fatti mostrano ad evidenza la grave importanza loro, e persuadono quanto meritano che vi si convergano le attenzioni del governo, della scienza, de’ capitali dell’industria italiana.


G. Rosa.