Capitolo undecimo - Conversazione sui commensali

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Petronio Arbitro - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Lancetti (1863)
Capitolo undecimo - Conversazione sui commensali
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CAPITOLO UNDECIMO

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conversazione sui commensali.



Io non sapea più che mangiare, onde voltomi ad esso a fin d’informarmi di molte cose, presi da lungi a infilzar molte chiacchere, e a dimandar finalmente chi fosse quella femmina, che andava scorrendo qua e là.

Ella è, rispose, la moglie di Trimalcione, per nome Fortunata, che misura i danari col sacco. E perdonimi il tuo genio,1 se ciò ch’ella era ti celo; tu avresti ricusato il pane dalla sua mano. Ora nè il come nè il perchè sì in alto sia tratta dirò, nè come ella sia il factodo2 di Trimalcione. Insomma, s’ella dicessegli di bel mezzodi, ch’egli è notte, ei le crederebbe. Costui è sì ricco, che non sa egli stesso quanto possieda: ma la buona castalda ha cura di tutto, e la trovi dove non la credi. Secca, sobria, di buon consiglio, ma di pessima lingua, gazza da mercato: ell’ama chi ama, e chi non ama, non ama.

[p. 46 modifica] Trimalcione ha pur tanti fondi, quanti ne volano i nibbj,3 frutti delle sue ricchezze: egli ha più danaro nella camera del suo guardiano, di quel che n’abbia chiunque altro fortunatissimo uomo. Quanto ai suoi famigli, caspita! io non credo, per Dio, che la decima parte conosca nemmanco il padron suo; e che è più, ei potrebbe ficcare codesti mocciconi in una foglia di ruta. Nè pensarti, che gli occorra giammai di comperar qualche cosa: tutto nasce in sua casa, la lana, la creta, il pepe; vi troveresti il latte di gallina se tu il volessi.

Basta il dirti, che lana poco buona gli nascea, ed egli comprò de’ montoni a Taranto, e ridusseli in mandra; e per avere in sua casa il miele attico fecesi portar l’api da Atene, benchè, a dirla fra noi, le domestiche sien talvolta migliori delle greche. Sappi che in questi dì scrisse, che gli si mandasser dall’India semi di fungo, imperocchè egli non ha pure una mula, che non sia nata da un asin selvatico. Vedi tutti quegli origlieri? Nessuno ha tal borra che non sia tinta di porpora o di scarlatto: or mira felicità di costui! guardati però dal farti beffe degli altri suoi liberti. E’ son grassi. Vedi colui, che se ne sta ultimo nell’ultimo luogo? adesso ei possiede i suoi ottocento talenti; pur vien dal nulla: poc’anzi usava portar legna sulle sue spalle. Ma dicono, come ho udito (che io nol so), ch’egli abbia rubato il cappello ad un folletto,4 e che trovò il tesoro. Io non invidio nessuno, a cui Dio sia largo: ma costui è ancor soggetto allo staffile del padrone, il qual però non gli vuol male; cosicchè ultimamente ei mise fuora questo cartello:


CAIO POMPEO DIOGENE

DAL PRIMO DI LUGLIO IN AVANTI

DA’ IN AFFITTO UNA SALA,

AVENDO EGLI COMPERATA LA CASA.


[p. 47 modifica] Che ti dirò io come stia bene colui, che vedi laggiù in quel posto di liberto? Non fo per dir male, ei raddoppiò dieci volte il suo avere, ma poi fallì. Io credo ch’egli abbia ipotecati per sino i capegli, e non per sua colpa, per Dio, perch’egli è il miglior uomo del mondo, ma per colpa de’ suoi scellerati liberti, che si impadroniron di tutto. E tu sai, che quando la caldaia non bolle, e la fortuna declina, scompaion gli amici. Pur qual distinto impiego credi tu che egli esercisse per esser degno di quel posto? Ei fu beccamorti. Egli usava pure di mangiar come un re: cignali interi, pasticci, uccelli, cuochi, fornai: consumavasi più vino sulla sua tavola, di quel che nessuno abbia in cantina.5 Ma ei fu larva e non uomo. Andati poi a male i suoi affari, e nel timore che i creditori non si risolvessero di molestarlo, publicò un’asta con questa cedola:


GIULIO PROCULO

VENDERÀ ALL’ASTA I SUOI MOBILI

SUPERFLUI

ONDE PAGAR I DEBITI.



Note

  1. [p. 295 modifica]Nella religion de’ romani ammettevasi l’assistenza di un genio particolare a ciascuna persona, presso a poco simile a ciò che si ammette da noi rispetto agli Angioli custodi.
  2. [p. 295 modifica]Adopero volentieri questa voce corrispondente alla greca tapanta di Petronio, perchè usolla Lalli nell’Eneide travestita, e credo che trovisi anche nel Malmantile.
  3. [p. 295 modifica]Modo proverbiale per indicare una grande estensione di terreno. Dice Persio nella sat. 4. Dives arat curribus quantum non milvus oberre.
    Giovenale nella 9.
    Dic passer, cui tot montes, tot praedia servas
    Apula, tot milvos intra tua pascua lassos?
  4. [p. 295 modifica]Gli spiriti incubi, giusta l’antica credenza, custodivano i tesori nascosti sotto terra, e portavano un cappellino, che bisognava toglier loro dal capo, onde forzarli a dichiarare dove fosse il tesoro.
  5. [p. 295 modifica]Nella edizione di Bordelot è detto: Nam mihi nihil novi potest adferri; sicut illi fericulo: melleam habuit praxim. Confesso che io non saprei tradurre queste parole, sì che accordassero fra loro. Ma sin dal principio avvertii che non riporto le varie lezioni del mio testo, altrimenti se ne triplicherebbe il volume.