Saggio di rime devote e morali/Dedica
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ALLA NOBIL DONNA
La Signora Contessa
FRANCESCA LEGNANI
ROSSI FAVA.
TOsto che, Nobilissima Dama, noi prima da noi stessi, appresso per avviso di giudiziosi Amici, risolvemmo di pubblicar colle stampe un saggio delle Rime di Marianne nostra madre, quelle volendo ad alcun dedicare, subito ci corse all’animo l’Illustre Persona vostra, verso la quale tanto di ossequio professiamo, quanto ce ne detta il debito, che moltissimo è, e la quale così l’Autrice mentre che visse, come gli studj suoi ch’eranvi cari, con singolar mercè dimostraste. Somigliante onore già procurammo alle Opere d’Alessandro suo Consorte, a personaggi indirizzandole in amplissima dignità costituiti. Non dovrebbe destar meraviglia in veruno se vede da’ figliuoli al buon nome, e decoro de’ lor genitori con quel più che si può d’attenzion, procurarsi. Tuttavolta siccome ci troviamo in tempi assai difficili, però se vi saran di quelli che non sapendo biasimare un tal fatto di per sè onestissimo, pur commendare non ci vorranno, nondimeno sappiano questi che in pace il si porterà da noi, contenti del bene operato; e qualora queste nostre determinazioni a Voi tornare in grado veggiamo. Copia grande di Poesie dettò Marianne, molte delle quali videro la luce; ma più molte quelle furono che non la videro. In quelle prime trattò Argomenti, cui diremo comuni; cioè di quelli che più s’usano nella Città nostra: nelle seconde parlò di quelle materie che puramente erano del suo genio. E a queste (tranne alcune poche, e ciò onde soddisfare ad un certo obbligo che ne ammoniva) ci siamo noi appigliati, da veruno ancora non intese, e ciò per due ragioni: l’una perchè in quegli argomenti cui nominati abbiamo comuni, non pochi valenti Poeti de’ nostri giorni essendosi esercitati, come da lor Canzonieri apparisce, tornar di nuovo a stampar quelle di Marianne, parere ad alcuno poteva in gara di que’ celebri uomini si fosse voluto venire; ciò che fu sempre alieno da’ nostri opinamenti, come dall’intenzione dell’Autrice: l’altra perchè vi dessimo sotto degli occhi cose soltanto conformi alla vostra pietà, e che in un certo modo a cagione della novità loro, se non ci apponghiamo, vi dilettassero. Se i più di coloro, che di professione scrivono poesie, in esse eccellenti riescono, non reca meraviglia. Ove si unisca a grande ingegno lunga fatica di studio, quale ostacolo nascer dee che impedisca che a quel segno non arrivi, cui taluno si è proposto? Ma nostra madre, come vi è noto, alle faccende sue domestiche carpì l’ozio, e l’ore da scrivere; nè sapendo in niun tempo non vedersi occupata, e com’è in proverbio, con le mani in mano, poichè alle cure della Famiglia aveva dato il suo luogo, non altrimenti respirar non sapesse salvo che nello affaticarsi, allora prendeva la penna, e si dava a comporre. Ma a confessar il vero, poichè pur giudiziosa ell’era, così a distornar ciò che aveva scritto, e a mutarlo sovente si rifacea. Quindi è che que’ medesimi Componimenti, cui scritti avea in un libro, si trovano in altri in molte parti mutati; la qual sua diligenza non toglie però che non si vegga che sempre a cose nuove volgea la mente. Perchè concludiamo che se in ischiera co’ più accreditati Rimatori lei porre non si vorrà da taluno, pure (e sia questo conceduto al figlial rispetto nostro) non sarà fuor di ragione se fra’ più devoti, e di ammaestramento alla studiosa gioventù, e particolarmente a quella del suo grado, lei si pone da noi. Ma da qual potissima ragione siamo noi stati mossi, di tante sue Rime, al solo piacer suo scritte, a scieglierne così poche, lungo sarebbe a dire. Pur questo non si tacerà che volendo gradire principalmente a Voi, stimato giusto abbiamo non porvi innanzi sì fatto volume da stancarvi, amando Voi di leggerlo; nè perchè vi crediamo così vacua d’ogni faccenda, se bene della vostra condizione, da potere a questo solo ogni vostro piacer dedicare. Pertanto se le Poesie che vi si presentano al parer di certuni non saran forse di tal valore fornite da star a fronte di quelle di molti altri, la cui fama per tutto suona; nondimeno e per le cose che trattano di non vulgare pietà, e per la persona che le compilò tanto avuta in pregio da Voi, e per quei che ve le dedicano, che sì grandemente obbligati vi si confessano, e in fine per la gentilezza vostra, che non sa se non con somma grazia agli altrui uffizi rispondere, che sieno per esservi accette ci lusinghiamo. Ciò che avvenendo, insieme verrà in qualche modo a scemarsi in noi quel rammarico che nella partenza di lei da questa vita in noi ebbe incominciamento, e tuttavia ci affligge. E per verità di tal perdita allora solo sentiremo alcun ristoro, quando piaccia a Voi, Nobilissima Signora, come per lo addietro, così in avvenire per vostri di riguardarci; ed a Voi stessa, ed al Signor Conte Carlo, erudito, e gentil Cavaliere, e degnissimo Consorte a Voi, ci tenghiate raccomandati.
- Questo dì 20 Settembre 1788.
Umilissimi Devotissimi Obbligatissimi Servitori
Giampaolo, e Don Francesco Fabri.